Dieci grandi anime. 1. Dag Hammarskjold (3)
E’ questo un primo orientamento importante, sul quale Hammarskjold ritorna quando in una pagina del 1952 citando nuovamente Joseph Conrad e i personaggi del suo Lord Jim, scrive: Al limite dell’inaudito. L’inaudito; forse solo l’ultimo incontro di Lord Jim con Doramin, quando egli è giunto all’assoluto coraggio, e all’assoluta umiltà, in assoluta lealtà verso se stesso. Con vivi sensi di colpa, ma cosciente a un tempo di aver assolto il debito, per quanto possibile in questa vita, attraverso quanto ha fatto per coloro che ora chiedono la sua vita. Tranquillo e felice. Come quando si vaga solitari in riva al mare. (4)
Assoluto coraggio dunque, assoluta umiltà,
assoluta lealtà verso se stesso. Sono
queste le condizioni per consentirsi di giungere con animo tranquillo e felice
all’appuntamento con la morte.
Hammarskjold ci pensa da sempre.
Lo scrive eloquentemente nel 1955 – e mancano soltanto sei anni alla
fine della sua vita: Un tempo la morte
faceva sempre parte della compagnia. Ora è la mia vicina di tavola: me la devo
fare amica. In questa “riscoperta” intuitiva divenuta il filo di Arianna della
mia vita – passo per passo, giorno dopo giorno – ora la fine è divenuta
altrettanto palpabile quanto il dovere che mi spetta per domani. (5)
E il dovere per Hammarskjold è mettere le
ali ad un organismo internazionale – le Nazioni Unite – ancora giovane,
sprovvisto di poteri e fragile, in un mondo diviso in grandi blocchi
contrapposti. E’ proprio durante il
doppio mandato di Hammarskjold che per la prima volta nella storia dell’ONU –
il 10 dicembre del 1954 - viene votata
una risoluzione per conferire un mandato diretto al Segretario Generale per
gestire una crisi internazionale. (6)
Sarà un crescendo di impegni e fatiche
per Dag, che passano attraverso l’invasione sovietica dell’Ungheria e la crisi
di Suez (1956), la creazione, per iniziativa del Segretario Generale della
prima forza armata di peace keeping
delle Nazioni Unite, e la riconferma con
il secondo mandato nel 1958 (ctrl.), fino all’ultima crisi, quella congolese,
che costerà la vita ad Hammarskjold, apertasi nel luglio 1960 e culminata nelle
richieste di dimissioni arrivate direttamente da Nikita Chruscev. (7)
Rimarrò al mio posto per quanto resta del
mio mandato come un servitore dell’Organizzazione - risponde orgogliosamente al presidente
sovietico Hammarskjold, in un celebre discorso tenuto all’Assemblea Generale,
il 3 ottobre del 1960 - nell’interesse di tutte le altre nazioni,
fin quando esse vorranno che io faccia così. (8)
E’ nell’attraversamento di queste dure
prove che si esprime, in parallelo, il peculiare misticismo di
Hammarskjold. La sua ricerca di Dio
diventa il cammino in controluce di una carriera, di una vita, perennemente
esposta alla luce dei riflettori del mondo Già da bambino, Hammarskjold ha
fatto l’abitudine al silenzio, alla meditazione. Sa che questo e soltanto
questo può salvarlo, in definitiva, dall’assordante chiasso del mondo. Viene da terre fredde, ha trascorso lunghi
anni, bambino, al seguito del padre, prima capo del governo, poi governatore di
Uppsala, in una grande e bellissima casa da cui si domina la città. La sua famiglia di provenienze nobili, è
conosciuta e ammirata in tutta la
Svezia. Il padre è intimo amico dell’arcivescovo Nathan
Soderblom, grande teologo
svedese, uno dei fondatori del movimento ecumenico moderno, e vincitore a sua volta del premio Nobel perla
Pace nel 1930. Dag cresce in questo clima, e non è difficile
immaginarlo come una sorta di Alexander, il protagonista del celebre film di
Ingmar Bergman (9), ambientato proprio a Uppsala. Riceve i rudimenti della fede luterana,
sviluppa un carattere timido, introverso, la passione per l’arte, la
letteratura, la musica. Non si sposerà mai, non metterà su famiglia, forse
anche obbedendo a quel pre-sentimento di
avere di fronte a sé una vita breve.
svedese, uno dei fondatori del movimento ecumenico moderno, e vincitore a sua volta del premio Nobel per
La solitudine interiore, l’isolamento,
sempre e comunque, anche nonostante una vita convulsa, diventano l’habitat necessario per una ricerca che
non si interrompe mai, per il dialogo più difficile con un Interlocutore
presente, ma silenzioso.
Basti pensare che alla quiete Dag
Hammarskjold edificherà un vero e proprio monumento: la stanza per la
meditazione fu infatti fortemente voluta dal Segretario Generale delle Nazioni
Unite, che ne seguì personalmente ogni fase, dalla progettazione (al centro
della stanza un raggio di luce proveniente dall’alto colpisce la nuda
superficie di una pietra), all’arredamento, fino all’inaugurazione, nel 1957,
occasione per la quale Hammarskjold scrisse un testo, intitolato Una stanza di
quiete, che ancora oggi compare nel depliant distribuito alle migliaia di
persone che ogni anno visitano il Palazzo delle Nazioni Unite di New York. Nelle intenzioni questo doveva essere un
luogo “le cui porte possano essere aperte agli spazi infiniti del pensiero e
della preghiera. “ Hammarskjold fu uno
dei primi statisti a rendersi conto che uno dei maggiori rischi per l’uomo
politico è quello di distaccarsi dalla realtà e da se stesso. Di non avere tempo per stare solo e
riflettere. Una esigenza simile è stata
sottolineata ed espressa recentemente da Barack Obama, prima della sua
elezione, in un incontro a Londra con l’allora primo ministro inglese Tony
Blair. La quiete come presupposto ultimo
per cercare se stessi, per rimanere un
“humus aperto, umido nel fertile buio dove cade la pioggia e cresce il grano.”
E’ questo del resto, anche il senso di
ogni ricerca mistica, che per Hammarskjold non è mai fuga dal mondo.
“L’esperienza mistica”. Sempre qui e ora… in quella libertà che è
tutt’uno con il distacco, in quel silenzio che nasce dalla quiete. Ma questa
libertà è una libertà nell’azione, questa quiete è quiete tra gli uomini. Il
mistero è perenne realtà per chi è libero da se stesso nel mondo, è realtà in
una tranquilla maturità nell’attenzione ricettiva e acconsenziente.
Nel nostro tempo la via della santità
passa necessariamente attraverso l’azione.
Bisogna dare tutto per tutto.
(10) (-segue 3./).
Fabrizio Falconi © - proprietà riservata
5. Op. cit. pag.125
6. Si tratta della vicenda degli aviatori americani dipendenti dalle forze ONU in Corea, fatti prigionieri e condannati poi dalla Cina per spionaggio, che verranno rilasciati il 1. agosto dell’anno seguente – 1955 – grazie proprio alla paziente opera di Hammarskjold che visita diverse volte Pechino, ricavando dal governo cinese ripetuti rifiuti fino alla improvvisa liberazione, esattamente due giorni dopo il cinquantesimo compleanno di Dag Hammarskjold (29 luglio 1955).
7. Il 30 giugno 1960, a solo un anno e mezzo dai primi violenti scontri con Bruxelles, il Congo divenne stato indipendente. Iniziò un lungo e sanguinoso periodo di lotte tra fazioni e guerra civile, culminante con la presa del potere da parte del colonnello Mobuto, dopo l’arresto e la condanna a morte nel gennaio del 1961 di Patrice Lumumba, colui che era stato uno degli artefici principali della liberazione e della lotta per la indipendenza dal Belgio.
8. Cit. tratta da Foote, Wilder, ed., Servant of Peace: A Selection of the Speeches and Statements of Dag Hammarskjöld, Secretary-General of the United Nations 1953-1961. New York, Harper & Row, 1962.
9. Fanny e Alexander (Fanny och Alexander), film del 1982 di Ingmar Bergman, con Pernilla Allwin e Bertil Guve, vincitore di 4 premi Oscar. In Italia è edito su dvd dalla Sanpaolo Audiovisivi.
10. Op. cit. pag. 139.