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02/09/20

100 film da salvare alla fine del mondo: 71. "Il servo" ("The Servant") di Joseph Losey, 1963




Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo". Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 


100 film da salvare alla fine del mondo: 71. "Il servo" ("The Servant") di Joseph Losey, 1963 


The Servant è considerato a ragione il capolavoro che il grande Joseph Losey ha diretto nel 1963. Il film porta la prestigiosa firma di Harold Pinter, che adattò il romanzo di Robin Maugham del 1948. 

Il servo fu presentato per la prima volta al Warner Theatre di Londra il 14 novembre 1963 ed è la prima delle tre collaborazioni cinematografiche di Pinter con Losey, che includono anche Accident (1967) e The Go-Between (1971).

Il film mette in scena le relazioni tra quattro personaggi centrali alle prese con questioni relative alla classe sociale, servitù e noia delle classi superiori. 

Tony (James Fox) è un giovane londinese ricco che sta lavorando alla costruzione di nuove città in Brasile e si trasferisce nella sua nuova casa, assumendo Hugo Barrett (Dirk Bogarde) come suo servitore. 

Inizialmente, Barrett sembra accettare facilmente il suo nuovo lavoro, e lui e Tony formano un legame tranquillo, mantenendo i loro ruoli sociali. 

Le relazioni iniziano a cambiare, tuttavia, e cambiano con l'arrivo di Susan (Wendy Craig), la ragazza di Tony, che è sospettosa di Barrett e odia tutto ciò che rappresenta. Vuole che Tony licenzi Barrett, ma lui rifiuta.  

Proprio come il biblico Abramo fece due volte con sua moglie Sarah ( Genesi 12: 10-20 e Genesi 20: 1-18), Barrett porta allora la sua amante Vera (Sarah Miles), che presenta come sua sorella, nella casa di Tony come serva. 

Barrett convince Vera a sedurre Tony, così può controllarlo. 

Attraverso le manipolazioni di Barrett e Vera, le coppie invertono i ruoli; Tony diventa sempre più dissipato, sprofondando ulteriormente in quello che percepisce come il livello di Barrett e Vera; mentre Barrett diventa più arrogante e dominante; il padrone e il servo insomma si scambiano i ruoli. 

Nella scena finale, Tony è diventato completamente dipendente da Barrett, e Susan viene esiliata definitivamente dalla casa dal servo che voleva licenziare.

Un film elegante e ambiguo, perfetto ancora dopo quasi sessant'anni.

22/06/20

100 film da salvare alla fine del mondo: 70. "8½" di Federico Fellini (Italia, 1963)


Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo". Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 70. "" di Federico Fellini (Italia, 1963)

E' ormai per la critica unanime uno dei film capitali nella storia del cinema. E talmente conosciuto e singolare - genialmente innovativo all'epoca - nella struttura e nello stesso sviluppo narrativo che non serve tornarvi. 

E' più interessante invece dare voce allo stesso Fellini, che così parlava del suo film - su invito del settimanale - a corredo delle immagini di Tazio Secchiaroli sul set di Otto e mezzo, pubblicate in anteprima assoluta da L'Europeo del 6 gennaio 1963:

Forse questa è solo la storia di un film che non ho fatto.  

Mi ricordo che all'inizio, parlo almeno di un anno e mezzo fa, volevo mettere insieme un ritratto a più dimensioni di un personaggio sui quarantacinque anni che, in un momento di sosta forzata (il fegato, una cura termale in un posto tipo Chianciano, la giornata scandita da orari nuovi e precisi, il riposo, il silenzio, e intorno una folla insolita e malata, sovrani nordici e contadine, vecchi cardinali e mantenute un po' acciaccate), sprofonda pigramente in una specie di verifica intima. 

Quasi inevitabilmente gli passano davanti fantasie e ricordi, sogni e presentimenti.  Non riuscivo, all'inizio, a dargli una carta d'identità, al protagonista.  Restava un personaggio generico, piombato in una certa situazione, e credevo che non fosse necessario definirlo meglio.  

Ma il film non riusciva a fare un passo avanti. Per quanto se ne discutesse con gli sceneggiatori, Flaiano, Pinelli e Rondi, non restava altro che l'idea del film.  Poi il personaggio è diventato finalmente un regista che tenta di riunire i brandelli della sua vita passata per ricavarne un senso e per tentare di capire. Anche lui ha un film da fare, che non riesce a fare.

A un certo punto lo troviamo perfino ai piedi di una gigantesca rampa per missili: da quella rampa, nel suo film, dovrebbe partire un'astronave, con il compito di portare in salvo, verso chissà quale altro pianeta, i resti dell'umanità distrutta dalla peste atomica.    Proprio lì, sotto il castello di tubi e di pedane, il mio protagonista dice a se stesso: 

"Mi sembrava di avere le idee chiare. Volevo fare un film onesto, senza bugie di nessun genere. Mi sembrava di avere qualcosa di molto semplice da dire: un film che servisse, un po' a tutti, a seppellire quello che di morto ci portiamo dentro. Invece sono io il primo a non avere il coraggio di seppellire proprio un bel niente.  E adesso mi trovo qui con questa torre tra i piedi e una gran confusione nella testa. Chissà a che punto avrò sbagliato strada.

Un capolavoro che non smette, dopo 60 anni, di ricevere applausi da ogni parte del mondo.

8 ½ 
Regia di Federico Fellini
Italia, 1963 
con Marcello Mastroianni, Claudia Cardinale, Anouk Aimée, Sandra Milo, Rossella Falk. 
durata 138 minuti 



19/06/20

100 film da salvare alla fine del mondo: 69. "Vacanze Romane" (Roman Holiday) di William Wyler, 1953, Usa




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100 film da salvare alla fine del mondo: 69. "Vacanze Romane" (Roman Holiday)  di William Wyler, 1953, Usa

Il film che per molti ha rappresentato il liberatorio risveglio dopo gli anni della Guerra, il film che guardava con fiducia, ottimismo, ironia, al futuro, in un futuro dove il meglio sembrava possibile.  

In Italia come altrove.

Roman Holiday (il titolo originale) fu realizzato dal grande William Wyler nel 1953 e fu candidato a dieci premi Oscar - ne vinse poi 3 di cui uno a Audrey Hepburn come migliore attrice protagonista. 

La storia, frutto della sceneggiatura di Dalton Trumbo, uno dei più geniali scrittori di Hollywood finito poi nelle liste di proscrizione del maccartismo, racconta le vicende di Ann, una giovane principessa, che gira per le capitali europee, soggetta a un protocollo immutabile. 

Arrivata a Roma, decide di fuggire e lascia il palazzo in cui abita, dopo che un medico le ha somministrato un sedativo, addormentandosi su una panchina del Colosseo e attirando l'attenzione di un giovane e piacente giornalista, Joe Bradley. 

Bradley la porta a casa sua e la mattina dopo scopre che la ragazza non è altro che la Principessa Ann che avrebbe intervistato lo stesso giorno. 

Il palazzo, spaventato ha intanto avviato le ricerche per ritrovare la ragazza. 

Bradley decide di approfittare della situazione, cercando di intervistare Ann e fotografarla, nascondendo il suo lavoro di giornalista. 

Ann, felice di avere una giornata di libertà, si diverte e visita la capitale in Vespa . 

La sera prende la decisione di tornare al Palazzo,  a causa dei compiti derivanti dal suo suo status, nonostante si sia innamorata di Bradley. 

Il giorno seguente, Bradley rinuncia a scrivere e pubblicare un articolo sulla scappatella della principessa, nonostante l'importante somma che ha ricevuto dal suo giornale.

Pochi istanti dopo, Ann, intervistata da una folla di giornalisti, riconosce Bradley tra loro.

Il giornalista gli fa capire che rimarrà in silenzio, e il suo collega fotografo restituisce alla giovane donna le foto che le aveva fatto a sua insaputa. 

Ai giornalisti che le chiedono quale città preferisce tra tutte quelle che ha visitato durante il suo tour, Ann risponde che Roma è la sua città preferita e che la ricorderà per tutta la vita, rompendo così il protocollo che voleva che lei non esprimesse alcuna preferenza. 

Dopo questa conferenza stampa Bradley capisce che fa parte di un altro mondo rispetto al suo, e che, nonostante il sentimento, ognuno deve seguire il suo destino.

I titoli di coda specificano che il film è stato interamente realizzato a Roma (in città e negli studi di Cinecittà ). Il film deve anche il suo successo alle riprese in bianco e nero, una scelta voluta da Wyler che sorprese, nel momento in cui Technicolor era in pieno boom. 

Gregory Peck, già affermato, affascinato dall'esibizione della giovanissima Audrey Hepburn, chiese che il suo nome apparisse accanto al suo sul poster del film. 

La comprensione e la complicità tra i due attori era eccellente e lo si percepisce a distanza di 70 anni, ciò che rende questo film sempre genuino e felice. 

A riprova di questa complicità, la famosa scena della Bocca della Verità, con Gregory Peck che mette la mano nella Bocca della Verità, come è tradizione, e fa credere ad Audrey Hepburn che sia stata tagliata. 

La reazione spontanea dell'attrice è stata catturata in una ripresa dal regista che ha deciso di includerla nel montaggio.

Tra i luoghi di Roma ripresi nel film: il Colosseo , la Bocca della Verità, il ponte e il Castel Sant'Angelo, la Fontana di Trevi, il Pantheon, Piazza Venezia, Piazza di Spagna, la Galleria Colonna (dove si tiene la conferenza stampa alla fine del film).  


VACANZE ROMANE 
(Roman Holiday)
Regia di William Wyler 
Usa 1953 
con Gregory Peck, Eddie Albert, Audrey Hepburn, Artley Power, Hartley Power, Harcourt Williams, Margaret Rawlings
durata 119 minuti




09/06/20

100 film da salvare alla fine del mondo: 67 "Il piccolo grande uomo" (Little Big Man) di Arthur Penn, USA, 1970


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100 film da salvare alla fine del mondo: 67 "Il piccolo grande uomo" (Little Big Man) di Arthur Penn, USA, 1970

Il primo film che, insieme a Soldato Blu, diretto da Ralph Nelson nello stesso anno, 1970, affrontò con approccio completamente diverso il tema del più grande genocidio dell'umanità, quello dei nativi americani compiuto dai colonizzatori inglesi, francesi, nel nord America e spagnoli, portoghesi, olandesi, nel centro e sud America. 

Piccolo Grande Uomo fu realizzato da Arthur Penn (fratello minore del grande fotografo Irving Penn) dopo alcuni film che ne avevano già decretato la statura artistica: Furia selvaggia - Billy Kid (The Left Handed Gun) (1958), Anna dei miracoli (The Miracle Worker) (1962), La caccia (The Chase) (1966) Gangster Story (Bonnie and Clyde) (1967) e Alice's Restaurant (1969).

Il film, oggi registrato per meriti artistici nel National Film Registry per essere conservato presso la Library of Congress è un adattamento del romanzo di Thomas Bergers, pubblicato nel 1964. 

Il 121enne Jack Crabb ( Dustin Hoffman ) ripercorre il suo passato e racconta a uno storico (William Hickey) la sua vita avventurosa, dalla sua adozione da parte dei Cheyennes nel 1860, quando era solo un ragazzo, fino alla sua partecipazione alla sconfitta del Generale Custer (Richard Mulligan) alla battaglia di Little Big Horn il 25 giugno 1876. 

Il film consiste quindi in lunghi flashback intervallati da ritorni alla storia del vecchio.

Little Big man è un western a tutti gli effetti ma sconvolge i codici della rappresentazione del confine e delle due culture che si oppongono

Per la prima volta, gli indiani di Arthur Penn non sono associati ai selvaggi, ma piuttosto rappresentati come vittime della conquista dell'Occidente guidata dall'esercito americano., con 
una rappresentazione positiva degli indiani, i Cheyennes , che vivono in armonia 

Con il loro nome (la tribù degli "esseri umani"), Penn dà loro l'umanità e non esita a mostrare aspetti della vita indiana che lo spettatore non oserebbe immaginare: un "Heemaney" indiano è vale a dire omosessuale, vive nella comunità indiana senza essere giudicato per la sua sessualità e in totale accettazione degli altri, mentre a quel tempo nella civiltà occidentale l'omosessualità rimase un argomento tabù. 

Gli indiani sembrano quindi più saggi dei bianchi raffigurati come dissoluti e allettati dal guadagno, dalla violenza o persino dai piaceri della carne 

Jack Crabb (un grandioso Dustin Hoffman) è un uomo che oscilla tra due culture, due civiltà: è americano di nascita ma cresce a fianco del popolo Cheyenne . Per tutto il film, sarà diviso tra la sua vita con i nativi e con i bianchi. 

Ogni episodio è scandito da un viaggio di andata e ritorno tra questi due popoli. 

Sebbene sia cresciuto nella tribù Cheyenne, Jack rimane un americano. 

A differenza della maggior parte dei film occidentali , l'obiettivo non è quello di ingrandire il destino manifesto , una missione sacra intrapresa dagli americani, ma piuttosto di evidenziare una parte trascurata della storia. 

La conquista dell'Occidente rappresentata da Arthur Penn mette in discussione la storicità di questo periodo, in particolare attraverso il personaggio del generale Custer , personaggio storico, morto nella battaglia di Little Big Horn, considerato un eroe americano. 

Uscito nelle sale durante la guerra del Vietnam, Little Big Man fu percepito come pieno di rimandi all'attualità: il comportamento autoritario e bellicoso del generale Custer e dei suoi eserciti contrasta con il discorso non violento di Peau de la Vieille Hutte nella battaglia di Little Bighorn . 

Questo contrasto fu ampiamente paragonato all'impegno contestato delle truppe americane in Vietnam un secolo dopo. Arthur Penn ha dichiarato " Custer ha massacrato gli abitanti di un villaggio mentre massacravamo gli abitanti dei villaggi vietnamiti " .

Al di là della sua valenza ideologica, Piccolo grande uomo è un grande film, meravigliosamente sceneggiato, fotografato, e interpretato da attori in stato di grazia.

PICCOLO GRANDE UOMO 
Little Big Man
Regia di Arthur Penn. 
Usa, 1970 
con Dustin Hoffman, Faye Dunaway, Martin Balsam, Richard Mulligan, Jeff Corey, Aimée Eccles. durata 150 minuti. 


03/06/20

100 film da salvare alla fine del mondo: 67. 'Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto' di Elio Petri, Italia, 1970



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100 film da salvare alla fine del mondo: 67. 'Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto' di Elio Petri, Italia, 1970

Uno dei film politici più duri di sempre. 

Il film del grande Elio Petri, uscito nel 1970 e da lui sceneggiato insieme a Ugo Pirro è una satira drammatica, feroce e psicologica sulla corruzione e l'abuso del potere, che racconta la storia di un alto ufficiale di polizia che uccide la sua amante, e quindi - in un meccanismo dostoevskijano - vuole verificare se la polizia sarà davvero disposta ad accusarlo di questo crimine.

Comincia così a manipolare le indagini spargendo indizi evidenti che alcuni poliziotti ignorano, intenzionalmente o no.

Il film ebbe enorme risonanza e si aggiudicò l' Oscar per il miglior film in lingua straniera di quell'anno.

Gian Maria Volontè interpreta - con prodigioso talento - l'ispettore di polizia recentemente promosso che uccide la sua amante (Florinda Bolkan), e quindi copre il suo coinvolgimento nel crimine.

Il "dottore" (di cui non sappiamo il nome) si insinua nelle indagini, fornendo indizi per guidare i suoi ufficiali subordinati verso una serie di altri sospetti, tra cui il marito gay della donna e uno studente radicale di sinistra.

Quindi esonera gli altri sospetti e conduce gli investigatori verso di lui per dimostrare che è "al di sopra dei sospetti" e può cavarsela con qualsiasi cosa, anche mentre viene indagato.

Alla fine, confessa il crimine di fronte ai suoi superiori - che si rifiutano di credergli.

Ormai certo di essere al sicuro da ogni coinvolgimento, ritira la sua confessione e riceve l'approvazione del commissario di polizia.

Il film sconvolse parecchio l'Italia di allora e continua ad essere, rivisto anche oggi, di una modernità impressionante, mettendo in scena gli stessi, eterni meccanismi, con il cui il potere usa menzogne e sopraffazione per perpetrare i suoi piani.

La critica internazionale lo lodò, anche negli USA dove il  New York Times definì il film "un melodramma di suspense con le preoccupazioni morali della vera satira contro il regime. La storia avanza con uno slancio implacabile. È una parabola politica e un film straordinario. "
Altri critici hanno definito il film come "un paranoico poliziesco procedurale , una parabola perversa sugli elementi corruttivi del potere" e "preoccupante oggi come quando è uscito nel 1970. Forse di più".


INDAGINE SU UN CITTADINO AL DI SOPRA DI OGNI SOSPETTO 
Regia di Elio Petri. 
Italia 1970 
con Gian Maria Volonté, Florinda Bolkan, Orazio Orlando, Gianni Santuccio, Salvo Randone. 
durata 118 minuti. 



25/05/20

100 film da salvare alla fine del mondo: 66. "Hereafter" di Clint Eastwood, Usa 2010


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100 film da salvare alla fine del mondo: 66. "Hereafter" di Clint Eastwood, Usa 2010 


E' abbastanza difficile scegliere un'opera in particolare nella variegata e qualitativa filmografia di Clint Eastwood, i cui film hanno segnato la cinematografia americana degli ultimi trent'anni, raccogliendo, soprattutto in Europa, ma anche in patria, successo di critica e ottimi risultati agli incassi. 

Scelgo questo, che forse è il più coraggioso, visto che nel 2010 il rude Clint, il prosaico Clint, decise di affrontare un tema scivoloso come l’aldilà e la vita dopo la morte, ponendolo all'evidente rischio stroncature da parte di molti suoi estimatori, abituati a un cinema molto maschile, forte, poco incline alla filosofia. 

Rischiando, Eastwood, realizzò un film importante, destinato a rimanere. Un film che libera lo spettatore dalla dittatura dell’hic et nunc con una storia tratta dal vero che riprende le drammatiche vicende dello tsunami in Indonesia del 2006,  e raccontando di una bella anchorman che è rimasta sospesa tra la vita e la morte,  pretendendo di aver avuto percezione diretta, in quegli istanti, dell’aldilà, e mettendo definitivamente al centro della sua vita e dei suoi interessi questa esperienza; la stessa cosa accade a Marcus, il ragazzino sopravvissuto alla tragica morte del suo gemello, che pretende di mettersi in contatto con lui, con il fratello morto, pretende di proseguire a dialogare con lui, a farlo parte della sua vita.

Le loro vicende si intrecciano con quelle del sensitivo George Lonegan (Matt Damon), il quale, in un mondo come il nostro, materiale e prosaico, deve addirittura rinnegare le sue qualità di tramite con i morti, per poter vivere tranquillo e avere una vita normale.

Eastwood affronta la vicenda con il consueto rigore, e la sua prospettiva non è né eretica, né pagana, né new age. E’ la più vicina, anzi, al buon senso. Il fatto che non sia corrispondente a una logica ‘confessionale’ cioè religiosa, non toglie nulla al rigore di un’opera che va letta semplicemente per quello che è.

E ancora una volta Clint riesce ad unire l'utile al dilettevole, in un film che intrattiene ma fa molto pensare. 

Hereafter

11/05/20

100 film da salvare alla fine del mondo: 65. "2001: Odissea nello Spazio" ("2001: A space Odyssey") di Stanley Kubrick, 1968


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100 film da salvare alla fine del mondo: 65. "2001: Odissea nello Spazio" ("2001: A Space Odyssey") di Stanley Kubrick, 1968


A pochi registi, in questa lista iniziata ormai diversi mesi fa, toccherà l'onore di avere più di un film nell'elenco dei 100 che abbiamo scelto. 

Uno di questi è senza dubbio Stanley Kubrick, di cui abbiamo inserito già l'altro capolavoro, Barry Lyndon, nell'elenco, al numero ordinale 2 (ma ricordiamo che l'elenco non segue un ordine di merito).

Per Kubrick però la cosa è quasi scontata, visto che si tratta di uno dei registi più importanti della storia del cinema, e che ciascuno dei film che ci ha lasciato, è un'opera capitale. 

Scelgo comunque come secondo titolo, 2001 Odissea nello Spazio, il suo masterpiece del 1968 (!), che ormai viene pressoché unanimemente considerato uno dei film più importanti nella storia del cinema e figura sempre nei primissimi posti - o al primo posto - delle liste compilate dagli specialisti del settore e/o dai semplici spettatori.

Un film che incredibilmente non è ancora invecchiato - nonostante sia stato realizzato nel 1968, ovvero più di 50 anni e sia un film decisamente giocato sui termini della tecnologia e della ricerca scientifica, spaziale.  Anche se, come sanno tutti quelli che l'hanno visto almeno una volta, i contenuti tecnologici o scientifici (o fanta-scientifici) sono al servizio di quelli filosofici (o mistici) che riguardano l'essenza stessa dell'essere umano e la sua misteriosa presenza di essere senziente, nel cosmo. 

Basti pensare che uscito per l'ennesima volta nelle sale italiane, in occasione del cinquantenario, 2001 Odissea nello spazio ha fatto registrare al botteghino un risultato clamoroso, con il primo incasso,  davanti a film di freschissima produzione come "Solo: A Star Wars Story" di Ron Howard e "Deadpool 2" di David Leitch.  

Su questo film sono stati scritti montagne di articoli, saggi e libri. 
Dunque in questa sede ci limitiamo a riepilogarne qualcuno dei mille motivi di interesse che riguardano anche il modo in cui fu realizzato: 

Dopo tre mesi di isolamento totale nella sua casa-laboratorio di Abbots Mead, in aperta campagna non lontano da Londra, Stanley Kubrick presenta al pubblico e alla critica il suo lavoro piu' ambizioso, 2001: Odissea nello spazio tratto da un soggetto del guru della fantascienza Arthur C. Clarke

E' un progetto rivoluzionario e un film che entra di prepotenza nella storia del cinema: oggi si può anche leggerlo come un'icona di quell'utopia esistenziale che innerva la stagione dei grandi cambiamenti e dei fermenti che, dall'America all'Europa, segnano il fatidico anno 1968

Fin dalla concezione il film di Kubrick è una novita' assoluta: alla ricerca di un soggetto di fantascienza per continuare il suo viaggio artistico nei generi piu' popolari dell'immaginario visivo, il regista contatta Arthur C. Clarke e i due condividono a tal punto l'idea di partenza da far correre in parallelo il romanzo e la sceneggiatura. Kubrick si fa assistere dalla Nasa e da un pool di scienziati per mostrare un futuro tanto lontano quanto possibile in cui l'incontro-scontro tra l'uomo e l'intelligenza artificiale (il computer Hal 9000) abbia valenza di riflessione etica e teoretica.

"Fin dagli anni '50 - commento' George Lucas - la scienza ha prevalso sulla fantasia e il romanzesco e' stato piu' o meno abbandonato, man mano che i viaggi nello spazio e la tecnica venivano in primo piano. In questo filone, il capolavoro e' 2001: Odissea nello spazio, uno dei miei film preferiti, in cui tutto e' scientificamente esatto e immaginato partendo dal possibile. E' veramente l'apice della fantascienza"

E ancora oggi molti scienziati sostengono che se i programmi nello spazio di Usa e Urss avessero mantenuto il ritmo previsto da Kubrick, buona parte delle ipotesi rese realistiche nel film si sarebbero effettivamente realizzate nello stesso tempo. Con un salto temporale che ancora oggi lascia senza fiato, l'inizio di 2001: Odissea nello spazio trasporta l'uomo dall'alba della preistoria al futuro usando una metafora di offesa e conquista (l'osso scagliato verso il cielo) come simbolo di una violenza ancestrale che si trasforma in astronave e quindi in uno sguardo verso la possibile evoluzione della razza umana. 

"Ognuno e' libero di speculare a suo gusto sul significato filosofico e allegorico del film - ha dichiarato Kubrick -. Io ho cercato di rappresentare un'esperienza visiva, che aggiri la comprensione per penetrare con il suo contenuto emotivo direttamente nell'inconscio". 

Per questo il racconto e' diviso in quattro parti. 

Nella prima, all'alba della storia, una tribu' di ominidi tocca la conoscenza grazie al contatto con un misterioso monolite nero venuto dallo spazio. 

Nella seconda, ambientata sulla Luna nel 1999, viene rinvenuto un analogo monolite che fara' da porta verso il futuro per gli astronauti di Discovery One. 

La terza parte, ambientata 18 mesi dopo, vede la squadra spaziale guidata dal comandante Bowman e dal computer Hal 9000 in viaggio verso Giove sulle tracce del segnale radio emesso dal misterioso monolite. 

Nell'epilogo Bowman, rimasto ormai solo a bordo dell'astronave in vista di Giove, incontra di nuovo il monolite che fluttua nello spazio profondo e, grazie a questo, viene trascinato oltre il tempo fino a una misteriosa camera da letto dove si vede vecchio e morente per poi tornare neonato, feto cosmico evoluto da essere umano in una forma superiore. 

Nonostante le mille interpretazioni date al cuore filosofico del film, 2001: Odissea nello spazio rimane prima di tutto un'esperienza visiva e auditiva (e per questo emozionale) che non invecchia come si capisce bene dai mille ritorni della pellicola (rinata a nuova vita anche grazie alle tecnologie digitali) e dal suo sempreverde successo

Costato 12 milioni di dollari di 50 anni fa, il film ha più che centuplicato i suoi incassi attraverso le generazioni e continua ad affascinare e sedurre gli spettatori, generando anche molte leggende

La piu' celebre e' quella per la quale, entrato in rapporto con la Nasa, Kubrick avrebbe poi barattato l'uso di alcune tecnologie futuribili (lenti e cineprese di avanzata concezione) in cambio di una ripresa in studio dell'allunaggio del 1969: garanzia per la Nasa ove qualcosa fosse andato male durante la documentazione di quello storico successo nella corsa spaziale.

(per questo breve riassunto, notizie tratte da Askanews e  Giorgio Gosetti per  ANSA



20/04/20

100 film da salvare alla fine del mondo: 62. "Tutto su mia madre" (Todo sobre mi madre) di Pedro Almodovar, 1999



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100 film da salvare alla fine del mondo: 62. "Tutto su mia madre" (Todo sobre mi madre) di Pedro Almodovar, 1999 

Nella complessa e fenomenale filmografia di Pedro Almodovar, Tutto su mia madre ha un posto di rilievo, per i molti richiami al cinema classico, da Joseph L. Mankiewicz (Eva contro Eva) a  John Cassavetes (La sera della prima), al cinema di Douglas Sirk e per il fatto che questo film è valso a Almodovar il premio Oscar per il miglior film straniero nell'anno 2000.

E' forse il film più intimista di Almodovar e quello più drammatico.

L'infermiera ed ex attrice Manuela lascia il suo lavoro e Madrid, dopo la morte accidentale del figlio diciassettenne Esteban, per cercare il padre del ragazzo, che originariamente si chiamava Esteban (come il figlio) e che, dopo una operazione per cambiare sesso, ha preso il nome di Lola, e non sa nulla dell'esistenza di suo figlio.

Il figlio aveva precedentemente scritto una sceneggiatura intitolata "Todo sobre mi madre", in cui si pentiva di non aver mai incontrato suo padre.

A Barcellona, dove vive Lola, Manuela incontra Agrado, una vecchia amica che, come Lola, è una donna trans.

Da quel momento in poi gli avvenimenti e le storie dei vari personaggi si sovrappongono in modo vorticoso. Manuela conosce Rosa, una suora destinata ad andare in missione, che si trova però sieropositiva e incinta.

Il padre del bambino, con sorpresa e dolore di Manuela, è ancora Lola.

Agrado, grazie a Manuela, lascia il marciapiede per lavorare da Huma, come assistente tuttofare.

Manuela, infatti, era riuscita a conoscere Huma e a raccontarle la storia di Esteban. Anche Huma sta vivendo una storia travagliata, essendo in ansia per Nina, un'attricetta tossicomane, con cui ha intessuto una storia d'amore.

Rosa partorisce quindi un bimbo, fortunatamente sano, a cui dà il nome di Esteban (il terzo Esteban del film), e che affiderà a Manuela prima di morire. Al funerale di Rosa finalmente compare Lola, che, debilitata dall'HIV, subisce il carico dei suoi errori, fra cui la consapevolezza d'essere padre di un figlio ormai morto e di uno appena nato.

Un dramma che non diventa mai farsa, e che rispetto ai film precedenti di Almodovar è messo in scena in modo più silenzioso e non spettacolare; persino l'umorismo è stato sacrificato ai gravi episodi di malattia e morte, amore e obiettivi di vita.

Rigoroso e commovente.

TUTTO SU MIA MADRE 
(Todo sobre mi madre)
Regia di Pedro Almodóvar. 
Spagna, 1999 
con Penélope Cruz, Cecilia Roth, Marisa Paredes, Candela Peña, Antonia San Juan. 
durata 105 minuti




16/04/20

100 film da salvare alla fine del mondo: 61. Rosso Sangue (Mauvais Sang) di Leos Carax, 1986


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100 film da salvare alla fine del mondo: 61. Rosso Sangue (Mauvais Sang) di Leos Carax, 1986


Mauvais Sang, tradotto in Italia con Rosso Sangue, fu diretto da Leos Carax  nel 1986 e andrebbe la pena di rivederlo oggi, anche perché tratta di tematiche molto contemporanee che riguardano la misteriosa diffusione di un virus (all'epoca, ovviamente, tutti pensarono all'AIDS

Il titolo originale del film si riferisce alla poesia di Arthur Rimbaud "Mauvais Sang" (in Una stagione all'inferno ) e il film è denso di riferimenti a lui e all'opera di Louis-Ferdinand Céline.

La storia, come d'abitudine nella filmografia di quell'originalissimo e genialmente stravagante autore che è Leos Carax non segue un andamento regolare e ordinato. 

Le vicenda prende spunto da Marc e Hans, due vecchi gangster, che si ritrovano con i coltelli sotto la gola, dovendo ripagare un debito da uno squalo mutuo soprannominato "l'americano". 

Stanno pianificando il furto in un laboratorio di un vaccino contro una nuova malattia, chiamata STBO, che colpisce le coppie che fanno l'amore senza amarsi. 

Dopo la morte di Jean, che doveva essere l'elemento centrale del colpo, si appellano ai talenti del prestigiatore Alex, suo figlio. Alex, che vuole volare verso nuovi orizzonti dopo la morte di suo padre, lascia la giovane Liza e accetta di far parte della squadra.

Sulla strada per unirsi a loro nel loro nascondiglio, è attratto da una giovane donna in abito bianco, che il caso gli mette davanti nella persona di Anna, l'amante di Marc. 

Alex è sotto l'incantesimo di Anna che rappresenta un amore impossibile. Il furto delle colture dei virus va male: tradito da un amico, Alex viene colto in flagrante. 

Riuscendo a fuggire Alex si unisce a Marc e Hans, non senza incrociare il suo cammino gli scagnozzi americani, che gli spararono allo stomaco e gli rubano il bottino. 

Alex riesce al momento a sopravvivere e la squadra parte per l'aeroporto che deve portarli in Svizzera; lungo la strada, Alex vede la donna vestita di bianco che non era Anna, seduta al suo fianco. Ferito comunque a morte, collassa tra le braccia di Marc e Anna che manterranno una traccia indelebile del loro amore platonico.

Un film esteticamente ricchissimo, quasi estremo, come nello stile di Carax, che qui però raggiunge il massimo della sua efficacia espressiva collegata al tema dell'angoscia e dell'inquietudine che gli è familiare.  

Memorabile l'incredibile piano sequenza con la corsa del protagonista (attore-feticcio di Carax) Denis Lavant, sulle note di Modern Love di David Bowie.

Il film che ha lanciato Juliette Binoche.




06/04/20

100 film da salvare alla fine del mondo: 60. "Reds" di Warren Beatty (1981)



Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo". Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 60. "Reds" di Warren Beatty (1981)

Reds  fu girato nel 1980 da Warren Beatty, con uno straordinario cast tra cui figurano come protagonisti lo stesso regista e Diane Keaton .

Il film gira intorno alla vita di John Reed, attivista comunista americano, giornalista e scrittore che ha raccontato la rivoluzione russa del 1917 e autore del celebre Dieci Giorni che Sconvolsero il Mondo, il libro che raccontò in Occidente la rivoluzione russa d'Ottobre. 

Warren Beatty ha ricevuto l' Oscar (edizione 1981) come miglior regista per il film. E 'stato anche in lizza per il miglior film, battuto da Momenti di Gloria (Chariots of Fire) di Hugh Hudson, primo film non americano (inglese) ad aggiudicarsi nella storia la statuetta di miglior film.

Il film racconta la storia di John Reed e Louise Bryant dal loro incontro nel 1915 fino alla morte di Reed nel 1920. La vicenda ricostruita sullo schermo è intrecciata con testimonianze di persone che hanno realmente vissuto quel periodo.

Louise Bryant, scrittrice sposata con un dentista di Portland, si incontra in una conferenza con il giornalista John Reed che è appena tornato dall'aver raccontato con i suoi reportages la Rivoluzione messicana .

Lascia il marito e si unisce a Reed a New York, nel distretto di Greenwich Village, dove inizia a frequentare artisti e attivisti, in particolare l'anarchica Emma Goldman , il drammaturgo Eugene O'Neill (interpretato sullo schermo da Jack Nicholson) e lo scrittore Max Eastman .

Reed e Bryant decidono di andare a Pietrogrado (ora San Pietroburgo) nel settembre del 1917 e sono testimoni diretti e  entusiasti della rivoluzione di ottobre da cui Reed trarrà la sua opera più famosa Dieci giorni che sconvolsero il mondo .

Questo è il secondo film diretto dall'attore Warren Beatty, che interpreta anche il ruolo principale.

Beatty aveva iniziato a preparare Reds negli anni '70, iniziando a realizzare interviste con autentici "testimoni " che hanno vissuto la rivoluzione bolscevica durante la loro vita.   

Il film è stato per lungo tempo l'ultimo ad essere stato nominato contemporaneamente nelle quattro categorie di attori (miglior attore, migliore attrice, miglior attore in un ruolo secondario e migliore attrice in un ruolo secondario) 

Il film ha vinto tre Oscar per: Miglior regista (Warren Beatty) Migliore attrice non protagonista (Maureen Stapleton nel ruolo di Emma Goldman ) Migliore fotografia, andato allo straordinario Vittorio Storaro, che in questo film realizzò uno dei suoi capolavori. 

Complessivamente il film ricevette DODICI nominations. Le altre, oltre alle tre categorie vinte, sono: Miglior film Miglior attore (Warren Beatty) Migliore attrice (Diane Keaton) Miglior attore non protagonista (Jack Nicholson) Migliore direzione artistica Miglior design del costume Miglior montaggio Il miglior suono Migliore sceneggiatura originale .

Reds
Regia di Warren Beatty. 
Stati Uniti, 1981 
con Diane Keaton, Jack Nicholson, Warren Beatty, Maureen Stapleton, Bessie Love, Gene Hackman.  durata 200 minuti




31/03/20

100 film da salvare alla fine del mondo: 59: La mia vita a quattro zampe (Mitt liv som hund) di Lasse Hallström, Svezia, (1985)


Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo". Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 59: La mia vita a quattro zampe (Mitt liv som hund) di Lasse Hallström, Svezia, (1985) 


Io vivo nella possibilità scriveva quasi due secoli fa Emily Dickinson. 

Ci sono due modi di vivere. 

Quello del sentirsi intero a se stesso, di calcolare la possibilità solo come opportunità, e quello del sentirsi realmente e concretamente aperto al mondo, di vivere cioè la possibilità in quanto tale. 

Possibilità è attraversamento del mondo. Con le sue paludi, le sue zone d'ombra, i suoi territori pericolosi, le sue estasi. 

Non è necessario viaggiare, non è necessario esplorare.  E' necessario aprire il cuore. 
Una operazione niente affatto semplice, niente affatto banale.

E' quello che è chiamato a fare il piccolo Ingemar ne La mia vita a quattro zampe (purtroppo titolo italiano infelicissimo, bruttissimo), di Lasse Hallstrom, Golden Globe per il miglior film straniero nel 1988, quando rimane tristemente orfano.  Il quale avrebbe ogni giustificazione per chiudere, barricare il suo cuore e non desiderare più alcuna possibilità. 

Invece Ingemar imparerà a vivere, nonostante tutto. L'istinto di vivere è più forte in lui del dolore e del lutto e della pesantezza apparentemente insostenibile della vita. 

Io vivo nella possibilità. 

E se io non fossi questo, non sarei nemmeno vivo.  E' questa la grande lezione di un film stilisticamente impeccabile. Da vedere e rivedere.