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08/05/23

"Il Sol dell'Avvenire" - RECENSIONE - Moretti vive, Nanni non tanto


"Il sol dell'Avvenire" è un ritorno, o meglio un tentativo di ritorno - dopo film piuttosto convenzionali culminati nel brutto "Tre piani" - al Nanni delle origini e della prima maturità (per intenderci, fino ad Aprile compreso).

Moretti celebra il Nanni che fu, con tutti i suoi topos - la coperta patchwork, la fissa sulle scarpe, Battiato, il giro in monopattino (al posto dello scooter), i calci al pallone - ma sarebbe meglio dire che ne celebra le rovine. Perché - come avviene a tutti - anche Moretti è invecchiato, e quel Nanni che fu, non può più essere lui, ma solo una nostalgia di quello.
Detto questo, il film è efficace e ben scritto, ma è opera sostanzialmente di un lavoro a tavolino, con ben tre sceneggiatrici che si sono affiancate a Moretti per scrivere il copione, fin troppo didascalico, dialogato (con dialoghi che appunto sembrano scritti e letti, parola per parola, non naturali), soppesato.
Ciò che manca qui, come mancava molto più drasticamente nei precedenti film a questo - quelli del dopo "Aprile" - è la vera ispirazione, cioè la poesia.
Moretti la tenta, ma non c'è più lo scatto folgorante di Nanni, l'invenzione folle, c'è solo la ripetizione dei già conosciuti cliché, che vanno bene per il suo pubblico, che lo ama da sempre, e che se ne sente consolato e rassicurato (e in fondo anche lui).
Ci sono le strizzate ai francesi, che lo adorano - dal personaggio di Pierre, alla comparsa di Renzo Piano, che ai cugini d'oltralpe ha regalato il Beaubourg. C'è il pieno omaggio a Fellini (vero riferimento di Nanni dai tempi di Ecce Bombo), con un circo dove però nulla è realmente felliniano, ma solo imitazione del felliniano, e con la citazione esplicita del finale di La Dolce Vita e il meraviglioso primo piano finale di Valeria Ciangottini, che è uno dei momenti più felici del Sol dell'Avvenire.
C'è un film nel film - anzi tre - sui fatti d'Ungheria visti dall'Italia, ci sono i soliti Silvio Orlando e Margherita Buy, bravi ma convenzionali (la migliore è di gran lunga Barbora Bobulova). Ci sono i soliti "giovani" che vanno per conto loro, con la figlia improbabilissima innamorata del grande Jerzy Stuhr che fa la parte dell'ambasciatore polacco. Ci sono troppe canzoni che strizzano l'occhio allo spettatore. C'è la sequenza imbarazzante del cast e Moretti che cominciano a roteare per un'ora come i dervisci tourner. C'è l'immancabile crisi matrimoniale di Moretti, uno psicologo da barzelletta, un finale nostalgico girato ai Fori Imperiali (il film non deve essere costato poco) con elefanti veri e corteo dove ricompaiono molte delle figure di attori dei film del vecchio Nanni.
Tutto fatto bene, tutto che scorre (anche se a tratti devo dire purtroppo di essermi anche annoiato), ma senza mai spiccare veramente il volo.
Ci sono almeno un paio di scene molto belle dove per qualche secondo si scorge dietro questo bel vestito compunto, il vero vecchio Nanni: la prima, il piano sequenza al termine della bellissima tirata di Moretti contro la violenza gratuita nei film, ormai dilagante. La macchina da presa lascia sullo sfondo l'orrenda esecuzione con la pistola e Nanni si allontana lentamente sulla musica di Franco Piersanti; la seconda è il monologo "suggerito" da Nanni dal finestrino della macchina a una bravissima giovane attrice - Blu Yoshimi che ho scoperto essere figlia d'arte e sembra un reale talento - che sta lasciando il suo fidanzato.
Insomma, Moretti vive (Nanni no, o poco). Il voto è 6.5. E tutto il bene per Nanni-Moretti resta immutato.

Fabrizio Falconi