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25/02/17

Pedro Calderòn de la Barca - L'Anno Santo di Roma (1650) - un magnifico testo finora inedito in Italia.




E' un volume prezioso quello uscito da poco per La Camera Verde: la pubblicazione di un auto sacramental scritto da Calderon de la Barca per il Giubileo del 1650, inedito in Italia. 

Pubblico qui di seguito il testo scritto dal curatore e traduttore del volume Raoul Precht per Succede oggi, poco prima dell'apertura del Giubileo della Misericordia. 

Tra qualche giorno verrà dato il via alle celebrazioni dell’Anno Santo straordinario della Misericordia, fortemente voluto dall’attuale Pontefice e deciso, a quanto pare, in piena autonomia, senza alcuna consultazione con le autorità comunali e statali per le quali l’evento avrà un impatto anch’esso straordinario, in termini di entrate ma anche di uscite e di complicazioni organizzative.

Sulle ripercussioni per la città di Roma del probabile afflusso di un ingente numero di pellegrini è già stato scritto abbastanza, e sebbene le stime possano variare, e anche di molto, di certo l’avvenimento, che oltre tutto si protrae per quasi un anno, non migliorerà le condizioni di vita già difficili dei romani.

C’è però da chiedersi se questi ultimi dal 1300 (anno del primo Giubileo) in poi ne abbiano mai tratto vantaggi, ma questa sarebbe una questione complessa e fors’anche oziosa.

 Di certo, a Bonifacio VIII più che il benessere della città ospite premeva all’epoca la buona riuscita del traffico delle indulgenze, elargite ai pellegrini che avessero compiuto il viaggio a Roma e visitato le basiliche prescritte; quel traffico che avrebbe tra l’altro contribuito al disgusto provato due secoli dopo da un sacerdote per qualche mese di passaggio a Roma, tale Martin Lutero, e alla nascita dello scisma protestante.

Pure, ai tempi di Bonifacio VIII il Giubileo viene istituito ancora come misura straordinaria, addirittura ogni cento anni; sarà Clemente VI, nel 1342, ad abbreviare il lasso di tempo fra un Anno Santo e l’altro a cinquant’anni, seguendo alla lettera quanto prescritto dal Signore a Mosè sul Monte Sinai (Levitico: 25, 8-55, lettura tra l’altro interessante per chi si occupi di agricoltura e messa a maggese delle terre); peggio di lui (o meglio, a seconda dei punti di vista) faranno Urbano VI nel 1390, diminuendo la distanza fra un Giubileo e l’altro a 33 anni, e Paolo II, che nel 1475 la riduce a 25 anni.

Fino a quando, nel 1500, Alessandro VI la riporta a cinquant’anni e definisce una volta per tutte le cerimonie di celebrazione, con l’apertura e la chiusura delle quattro Porte Sante a S. Pietro, S. Giovanni in Laterano, Santa Maria Maggiore e S. Paolo fuori le mura.

Se gli aspetti commerciali dell’operazione sono innegabili – e non è un caso che ai Giubilei ordinari oggi se ne aggiungano di straordinari, come questo che ci attende –, dal punto di vista dottrinale la celebrazione del Giubileo induce a una riflessione approfondita su diversi aspetti della fede, riflessione che fra l’altro ha portato alla nascita di un genere teatrale a sé stante.

E se parlo di teatro, è perché di sicuro in passato il Giubileo permetteva al popolo anche di divertirsi un po’, sia pure nei limiti imposti dalla devozione, con spettacoli e feste sfarzose da cui altrimenti sarebbe stato escluso.

Viene in mente, a mo’ d’esempio, la grande festa offerta dagli spagnoli a Piazza Navona nel 1650, con spettacolari fuochi d’artificio e una scenografia provvisoria con due grandi cappelle (una dedicata al Resuscitato, l’altra alla Vergine) davanti alla Chiesa di Nostra Signora del Sacro Cuore (in passato San Giacomo degli Spagnoli, appunto, chiesa del Regno di Castiglia, ricolma di statue e altari dedicati a Santiago).

Va detto che l’architettura barocca della piazza non era ancora ultimata, in quanto la fontana del Bernini è dell’anno successivo e della chiesa di Borromini non c’erano neanche i progetti: in un certo senso Piazza Navona offriva quindi uno spazio scenico ideale, lasciando mano libera agli organizzatori dello spettacolo e permettendo alle folle di goderne pienamente.

Un esempio di questi spettacoli è offerto dal genere teatrale cui accennavo poc’anzi, gli autos sacramentales, genere nato nel Medioevo (il primo è la Representación de los Reyes Magos, nel 1145), ma perfezionatosi poi nella Spagna della Controriforma.

Il sottogenere che ci interessa qui, l’auto allegorico, trova il suo primo rappresentante in Lucas Fernández, con il suo Auto de la Pasión, intorno al 1500, ma avrà consacrazione definitiva con Pedro Calderón de la Barca (nell’illustrazione).

In pratica, il misterio o moralidad medievale va pian piano approfondendo i contenuti dottrinali, anche in conseguenza del Concilio di Trento, e sul palcoscenico compaiono personaggi simbolici chiamati a incarnare concetti astratti.

Sembrerebbe qualcosa di estremamente asciutto e poco attraente, non fosse stato per l’apparato scenografico, le trappole teatrali e gli effetti speciali, che facevano di questi spettacoli qualcosa di simile ai nostri film in 3D sui dinosauri.

Con una piccola differenza: i temi centrali erano di volta in volta l’esaltazione dell’eucaristia, l’ultima cena, la vita dei santi, episodi dell’Antico Testamento, parabole evangeliche, e così via. In altre parole, essendo il plot meno che avvincente, gli ultimi ritrovati della pittura, della scultura, dell’architettura e, perché no, della musica diventavano imprescindibili per la fruizione di questo tipo di rappresentazioni, che non a caso si sviluppano solo in Spagna, mentre in tutto il resto d’Europa il teatro religioso attraversa una profonda crisi.

La maestria di Calderón sta nel saper conciliare elementi teologici e dottrinali con le correnti letterarie alla moda (concettismo e gongorismo) e soprattutto con gli espedienti spettacolari offerti dalle macchine teatrali di allora.

 Proprio nel 1650 Calderón scrive e fa mettere in scena L’Anno Santo di Roma, il cui protagonista, l’Uomo, assistito dai dieci comandamenti, si mette in viaggio da pellegrino per poter raggiungere Roma e ottenere l’indulgenza.

Il viaggio si fa davvero drammatico quando il Mondo, all’uomo se non ostile, indifferente, gli fa incontrare la Lascivia, ovvero il principale fra i vizi, e Lucifero, che rappresenta il Demonio e che con la sua complice tenterà in tutti i modi di allontanarlo dalla retta via.

Oggi può sembrarci un’impresa improba, ma all’epoca su questo canovaccio si era capaci di costruire un evento spettacolare, con danze, musica, oggetti scenici bizzarri, costumi, battute (quasi sempre affidate al libero arbitrio che fa le veci del gracioso nella commedia classica), effetti speciali e sorprese a non finire, con cui intanto il drammaturgo veicolava sornione la visione del peccato, delle passioni e del riscatto che Santa Madre Chiesa imponeva ai suoi sudditi.

Chissà se in Vaticano qualcuno ci ha pensato, o ci sta pensando: recuperare Calderón e metterlo in scena sarebbe davvero uno spettacolo, senz’altro più degno di quelli a cui certi monsignori e cardinali ci hanno abituato negli ultimi secoli.

Pedro Calderòn de la Barca
L'Anno Santo a Roma (1650)
La Camera Verde
Roma, 2017

21/11/15

"A capo della congiura, il tempo", le poesie di Raoul Precht.




Dopo la traduzione e la cura di Schulin di Sternheim, ancora inedito in italia, sempre per La Camera Verde,  e dopo le poesie de I viaggi dell'Ofiuco, portati anche in uno spettacolo a Roma, torna Raoul Precht, con una nuova raccolta poetica, appena pubblicata sempre da La Camera Verde, A capo della congiura il tempo. 

Nella consueta eleganza della veste grafica di queste edizioni, Precht propone due poemetti, Oscure dimore e La festa, già pubblicati nella Italian Poetry Review (VIII, 2013, pp.91-98) e una nuova raccolta di dodici liriche, A capo della congiura, il tempo, scritta nel gennaio del 2015.

Tutti e tre i lavori sono molto interessanti. La voce poetica di Precht è sempre più limpida, nuda ed essenziale. 
In Oscure Dimore, la tentazione di un bilancio di vita - Scoprirò le strade che ho già percorso/ritroverò i ciottoli/ i dolori di un tempo, mummie/ che imperlano il cammino verso la comune/ partenza - si mischiano ad annunci di contese non solo esistenziali (che in questi giorni d'Europa risultano quanto mai profetici): Sussulti di battaglie e la gente / - uno sciame - che s'apre/ alla violenza di ogni ora, / comodamente acquattata tra i tavoli/ del bar, in attesa che tutto taccia.  

Ne La Festa - cinque parti compatte - il desiderio o l'ambizione di estraniarsi dal gioco dissennato del mondo - il biglietto d'invito, l'ho bruciato/ Chi è di spuria origine resti fuori/ dalla mischia: solitudine esigo/ come un flagello, ma è falso il piacere - è colmo di malinconia e sofferenza. 

Infine, nell'ultima parte, A capo della congiura, il tempo, Precht offre una meditazione filosofica e poetica sul tempo, con straordinarie immagini (nella savana dei nostri rimpianti; potrei ritirare le truppe biancorosse/e del mondo tutte le tastiere scordare; un piano inclinato d'alabastro - così/ m'immagino l'amore, che vive di macchie) sui suoi beati inganni e sulla sua imperdonabile condanna. Ma è solo con il tempo, sembra suggerire Precht, che si può gabbare il tempo.  Altro non (ci) è dato, e forse non è poco. 

Fabrizio Falconi 


18/06/15

"Schuhlin" di Carl Sternheim - un prezioso volume di Camera verde a cura di Raoul Precht.




E' un prezioso volume, questo pubblicato da La Camera Verde di Roma. 

Frutto del lavoro e della cura di Raoul Precht, il libro ha, tra gli altri, il merito di portare all'attenzione del pubblico italiano il nome di Carl Sternheim, nato a Lipsia nel 1878 e morto a Bruxelles il 3 novembre del 1942. Considerato uno tra i narratori e drammaturghi più importanti del suo tempo, viene considerato maestro e precursore fra gli altri di Bertolt Brecht.

Nei primi anni del Novecento, Sternheim fu popolarissimo, anche e soprattutto per i suoi drammi (vincitore fra l'altro del premio Fontane, che decise di devolvere al giovane Franz Kafka, allora semisconosciuto).

Per la pubblicazione, è stato scelto uno dei racconti meno conosciuti, inedito in Italia, Schuhlin, scritto nel 1915.

Si tratta di un breve racconto in cui Sternheim evoca la carriera di un giovane musicista immaginario (che si chiama Schuhlin, per l'appunto), dall'infanzia, ai timidi esordi, fino alla consacrazione presso un pubblico ristretto di aristocratici e intenditori, come eccellente pianista

Schuhlin però ha ambizioni sempre più grandi. Sogna di conquistare il mondo. La sua fame di fama è smisurata.  Finirà per coinvolgere in questo personale gioco al massacro, la compagna Klara, e un giovane completamente attratto dalla vena creativa del Maestro, il quale nel frattempo - dopo i parziali insuccessi e un declino repentino di notorietà - si è ritirato dal mondo, in una dimora di campagna. 

Schulhlin, comportandosi come una vera sanguisuga, usufruisce del consenso, dell'adulazione incondizionata, e del sostegno economico dei due, si nutre di loro e riesce anche a metterli uno contro l'altro in un crescendo di dissoluzione e di nevrotizzazione dei rapporti.

Al volume di Camera Verde ha collaborato il fotografo Peter Dimpflmeier, il quale si è liberamente ispirato al testo di Sternheim per creare una sequenza d'immagini che ne  mette in luce l'ambivalenza e la crudeltà. 

Precht, oltre a curare la splendida traduzione dal tedesco, dedica 21 variazioni su un tema di Sternheim : sorta di catalogo alfabetico in cui vengono illustrati gli aspetti salienti della vita e dell'opera dell'autore tedesco. 

In seguito, anche a causa del divieto di rappresentare i suoi lavori teatrali ad opera del nazismo, la stella di Sternheim declino' rapidamente e nel dopoguerra fu completamente dimenticato, fino alla riscoperta avvenuta negli anni Sessanta e Settanta. 

Per il suo umorismo, spesso anche nero, e per la sua incisiva lucidita', oltre che a Brecht, Sternheim e' stato paragonato anche ad Ernst Lubitsch. 

La sua satira tagliente dell'ascesa della piccola borghesia benpensante e del proletariato nell'era guglielmina ha lasciato il segno e posto le basi per un rinnovamento del linguaggio teatrale. La stessa incisività si ritrova nella narrativa e in particolare nei racconti, di cui Schuhlin rappresenta un esempio eloquente, 

Il volume oltre a rappresentare la prima traduzione in italiano del racconto, esce a cent'anni esatti dalla prima edizione nella collana "Der jungste Tag" dell'editore Kurt Wolff, lo stesso di Kafka, Brod, Benn, Werfel e molti altri autori di spicco della prima meta' del secolo. 

Si tratta quindi di una vera e propria celebrazione, e di un'occasione rara per fare conoscenza con un autore poco letto e rappresentato in Italia.