Visualizzazione post con etichetta informazione. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta informazione. Mostra tutti i post

25/02/22

Guerra in Ucraina: Le 10 frasi profetiche di Anna Politkovskaja sulla Russia e su Putin

 



Ora che la Guerra in Ucraina è stata dichiarata e l'esercito russo ha invaso quel paese, con conseguenze che al momento non sono prevedibili, è utile ricordare Anna Politkovskaja,  nata a New York, il 30 agosto 1958 e assassinata a Mosca, il 7 ottobre 2006).

Una grande giornalista e una grande scrittrice divenuta una martire della libertà di espressione e di informazione. 

Politkovskaja fu ritrovata morta nell'ascensore del suo palazzo a Mosca il 7 ottobre 2006. La polizia rinvenne accanto al cadavere una pistola Makarov con quattro bossoli ed uno dei proiettili sparati l'aveva colpita alla testa. Si seguì quindi la pista di un omicidio premeditato operato da un killer a contratto. 

Il giorno successivo la polizia russa sequestrò il suo computer e tutto il materiale dell'inchiesta che la giornalista stava compiendo.

Particolarmente attiva sul fronte dei diritti umani, Politkovskaja è nota principalmente per i suoi reportage sulla seconda guerra cecena e per le sue aspre critiche contro le forze armate e il governo russi sotto la presidenza di Vladimir Putin, accusati del mancato rispetto dei diritti civili e dello stato di diritto. 

Vale la pena rileggere 10 sue frasi, tratte dai suoi scritti, che oggi appaiono quanto mai profetiche:

1. L'unico dovere di un giornalista è scrivere quello che vede.

2. Io vedo tutto. Questo è il mio problema.

3. La Cecenia è lo strumento con cui Putin ha conquistato il Cremlino e che lo ha spinto a cercare di soffocare la società civile e la libertà di espressione.

4. La Russia sta per precipitare in un abisso, scavato da Putin e dalla sua miopia politica.

5.  (A proposito delle fonti giornalistiche) Ormai possiamo incontrarci solo in segreto perché sono considerata una nemica impossibile da “rieducare”.

6. Impedire a una persona che fa il suo lavoro con passione di raccontare il mondo che la circonda è un’impresa impossibile.

7. (Sulla guerra in Cecenia) È una guerra terribile; medievale, letteralmente, anche se la si combatte mentre il Ventesimo secolo scivola nel Ventunesimo, per giunta in Europa.

8. Il motivo è semplice: diventato presidente Putin - figlio del più nefasto tra i servizi segreti del Paese - non ha saputo estirpare il tenente colonnello del KGB che vive in lui, e pertanto insiste nel voler raddrizzare i propri connazionali amanti della libertà, come ha sempre fatto nel corso della sua precedente professione.

9. Con il presidente Putin non riusciremo a dare forma alla nostra democrazia, torneremo solo al passato. Non sono ottimista in questo senso e quindi il mio libro è pessimista. Non ho più speranza nella mia anima. Solo un cambio di leadership potrebbe consentirmi di sperare.

10. Certe volte, le persone pagano con la vita il fatto di dire ad alta voce ciò che pensano.

Tristemente profetico, quanto mai oggi.

Fabrizio Falconi - 2022 

07/04/20

Esce il "Dizionario dei tempi incerti". Parole per riflettere al tempo del Covid-19. "INFODEMIA" è la parola scelta da Franco Cardini


E' bellissima l'iniziativa lanciata in queste ore dal  Circolo dei lettori di Torino con il Dizionario dei tempi incerti, una collezione di parole scelte da filosofi, filologi, storici, antropologi e scrittori, protagonisti e protagoniste delle rassegne autunnali Torino Spiritualita' e Festival del Classico, da selezionare tra quelle che riempiono pagine di giornali, miriadi di chat e trasmissioni televisive, bisbigliate o urlate di queste giornate.

Serve a riflettere su quello che stiamo vivendo, come collettività e come individui.

Riporto qui la voce scritta da Franco Cardini: INFODEMIA 


L’età postmoderna ha velocizzato e intensificato in modo esponenziale ogni tipo di comunicazione. Ciò ha comportato un’autentica rivoluzione nei rapporti sociali e nei modi nei quali essi vengono ordinariamente concepiti: tale rivoluzione si è espressa anzitutto e soprattutto ai livelli informatico-telematici. Dove esiste contatto, esiste il pericolo di contagio. I due termini sono praticamente sinonimi, anzi tautologici: indicano la stessa cosa. Ma tra etimologia e semantica come sappiamo, v’è sovente un abisso. 

Il contagio è termine esprimente il concetto di affezione che transita da un individuo all’altro sulla base del contatto fisico, mediato o immediato che sia. Sul piano dei concetti e delle idee avviene la stessa cosa

L’informazione è una delle massime ricchezze di cui disponiamo, ieri come oggi. 

Diceva bene Dario Fo: “Il padrone è padrone perché conosce diecimila parole, mentre l’operaio ne conosce solo mille”. 

Informarsi significa imparare a conoscere meglio al realtà nel suo intimo, saperne conoscere meccanismi e strutture e quindi prevederne lo sviluppo. 

Anche sul piano negativo: una realtà negativa, ove se ne conosca in anticipo lo sviluppo, diviene più facilmente neutralizzabile o attutibile. 

Come dice Dante, “saetta previsa vien più lenta”.

Le informazioni, però, hanno due difetti. Primo, per essere adeguatamente e vantaggiosamente gestite hanno bisogno di una verifica che diviene tanto più complessa quanto più la notizia che ne costituisce l’oggetto è importante; e le notizie, quanto più sono o appaiono importanti, tanto più si diffondono accompagnate da una problematica che le rende complesse; per cui il tempo di arrivo di una notizia e quello d’una sua certa e proficua fruizione attraverso adeguata verifica sono inversamente proporzionali. 

Secondo, le informazioni dispongono di una massa volumetrica concettuale che, come qualunque altra massa volumetrica, tende a saturarsi più o meno rapidamente: unico antidoto metodologico a ciò sarebbe un’adeguata gerarchizzazione e selezione delle notizie che dipende da due fattori, vale a dire la competenza del soggetto chiamato a selezionarle e la loro obiettiva complessità. 

Quando una notizia complessa s’incontra (o, come più opportuno sarebbe dire, si scontra) con un destinatario incompetente a valutarla, la deflagrazione delle conseguenze negative di ciò può essere dirompente. 

 Conseguenza di ciò è che, come il rumore violento dell’acqua che precipita da una cascata finisce per produrre un effetto simile al silenzio, l’accesso della quantità delle notizia che si riversano su un qualunque soggetto finisce con l’annullare la loro qualità impedendone l’analisi selettiva e producendo ignoranza, incompetenza, incapacità di giudizio. 

L’infodemia è l’incontenibile e incontrollabile abbondanza qualitativa e quantitativa delle notizie: il primo aspetto di ciò, il qualitativo, ostacola o addirittura impedisce la loro gerarchizzazione e quindi la loro verifica selettiva; il secondo travolge chi ne è oggetto seppellendolo sotto una massa di dati ch’egli è impossibilitato a recepire e a ordinare. 

Risultato primario dell’infodemia è l’incapacità individuale e collettiva di accedere allo scopo primario dell’informazione: la possibilità di accortamente servirsene. 

12/04/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 11. "Quarto Potere" ("Citizen Kane") di Orson Welles (1941)


Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 11. "Quarto Potere" (Citizen Kane) di Orson Welles (1941)

Quarto potere (Citizen Kane) non è soltanto un capolavoro assoluto della storia del cinema, ma anche una formulazione esaustiva del puro talento artistico: basti pensare che fu scritto, diretto, prodotto e interpretato, nel 1941 da Orson Welles, che all'epoca aveva solo 25 anni ed era alla sua opera prima, al suo primo lungometraggio, una cosa che lascia allibiti e che specie oggi è difficilmente immaginabile. 

La cosa che lascia sbigottiti ancora oggi non sono soltanto il talento visionario e la straordinaria padronanza tecnica del giovane Welles, ma anche le formidabili implicazioni di un'opera che ancora oggi affascina, inquieta, suscita domande senza risposta, e che rappresenta una delle più profonde meditazioni sulla natura umana, sul rapporto tra potere e informazione, sulla politica e sulla incapacità d'amare. 

Per realizzarlo, Welles si ispirò alla biografia del magnate dell'industria del legno e dell'editoria William Randolph Hearst, che il regista ribattezzò Charles Foster Kane (interpretato dallo stesso Welles).

Attraverso una incredibile - per l'epoca, e primo esempio assoluto - struttura narrativa che analizza la figura di Kane attraverso cinque racconti e cinque prospettive diverse, con continui flashback e inserti, Welles ricostruisce la vita del magnate, la sua solitudine nella  gigantesca residenza dove abita (Xanadu, nella versione italiana Candalù), incapace di amare veramente  qualcuno o qualcosa che non sia il potere, e dove muore abbandonato da tutti.

Jorge Luis Borges definì il maestoso affresco come un "giallo metafisico", e tale in realtà è, perché Citizen Kane, alla stregua di un moderno biopic, mostra e approfondisce la figura e la vita di Kane, senza mai arrivare a conclusioni definitive, anche perché il nucleo fondativo della sua personalità - si scopre lungo la narrazione - è rappresentato da un enigmatico trauma infantile: l'allontanamento dai suoi genitori, fortemente voluto dalla madre allo scopo di affidarlo alla tutela di un uomo d'affari, incaricato di amministrare la sua smisurata eredità. 

Lo spettatore scopre così che Kane, giovanissimo erede di una colossale fortuna, è stato letteralmente strappato al suo mondo d'infanzia, elaborando nel suo mondo interiore una concezione dell'amore come possesso, come proprietà, come merce. 

Ribelle, direttore straordinario, megalomane, marito arido di sentimenti, padrone ferocemente eccentrico, pazzo: Kane è tutto questo, ma il suo mistero, collegato al vaneggiamento che ruota intorno ad una parola ("Rosebud" in inglese, "Rosabella" in italiano), verrà svelato solo molto parzialmente in una memorabile scena finale. 

Quella parola che Kane aveva pronunciato al termine di una terribile scena in cui il magnate distrugge la camera da letto della moglie Susan sotto gli occhi di lei, fermandosi solo quando il suo sguardo si fissa su una boule à neige, una palla di vetro con la neve.

Geniale decostruzione del Sogno Americano, Quarto Potere, il film fu un clamoroso fiasco al botteghino, e fortemente boicottato dai media e dai giornali che erano in mano al vero Hearst, e vinse incredibilmente una sola statuetta nella corsa agli Oscar (nonostante 9 candidature): quella minore per la sceneggiatura.

Il film, però, a partire dal dopoguerra, si prese una grande rivincita, lanciata soprattutto dalla critica europea, divenendo in breve tempo un punto di riferimento assoluto, essendo considerato uno dei migliori film in assoluto della storia del cinema.

Fabrizio Falconi