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25/04/25

Il nuovo libro di Raoul Precht: "Lo scrittore infedele"

 



Nato a Roma nel 1960, ma trapiantato a Lussemburgo dal 1990, Raoul Precht è uno degli autori più interessanti della scena contemporanea italiana, come dimostrano i suoi ultimi volumi pubblicati, Quintetto romano Il mare dei poeti (entrambi per Bordeaux Edizioni, 2022 e  2023), Stefan Zweig. La fine di un mondo (Edizioni Ares 2025) e ora questo Lo scrittore infedele, uscito per i tipi di Editoriale Scientifica. 

Stavolta Precht racconta in prima persona la sua vera ossessione per Carl Sternheim, maturata già negli anni universitari (a Roma, dove si è laureato in lingue e letterature straniere moderne con una tesi sul conflitto padre-figlio in Calderón de la Barca, Hofmannsthal e Pasolini). Al drammaturgo espressionista tedesco, misconosciuto in Italia e quasi del tutto intradotto, Precht aveva già dedicato un prezioso volumetto pubblicato dall'editore La Camera Verde, cimentandosi nella traduzione di un racconto di Sternheim, Schuhlin, (arricchito dalle fotografie di P. Dimpflmeier) in cui si narra della carriera di un giovane musicista immaginario, dall'infanzia, ai timidi esordi, fino alla consacrazione presso un pubblico ristretto di aristocratici e intenditori, come eccellente pianista.

Ne Lo scrittore infedele, invece, Precht, descrive il suo viaggio sulle (labili) tracce di Sternheim, lasciate dallo scrittore a Bruxelles e in Belgio, dove riparò nell'ultima parte della sua vita per scampare alla persecuzione nazista in patria. In pieno inverno dunque, approfittando di una noiosa trasferta di lavoro, lo scrittore di oggi muove i suoi passi dalla tomba dello scrittore di ieri, nel cimitero di Bruxelles. Nato a Lipsia nel 1878, Sternheim ha infatti trovato la morte a Bruxelles il 3 novembre del 1942, quand'era ancora considerato tra i narratori e drammaturghi più importanti del suo tempo, maestro e precursore fra gli altri di Bertolt Brecht. In realtà il vero successo Sternheim lo aveva consumato nei primi anni del Novecento, quand'era diventato popolarissimo, anche e soprattutto per i suoi drammi (vincitore fra l'altro del premio Fontane, che decise di devolvere al giovane Franz Kafka, allora semisconosciuto).

La vita e l'opera di Sternheim, da quel punto in poi, sembrarono essere saliti sulle montagne russe. Un mondo apparentemente dorato e certamente inebriante che Sternheim attraversò senza riserve, seminando donne, amanti, mogli, figli e figlie, delusioni e tragedie, fallimenti e successo, fino a un tiepido oblio che a un certo punto sembrò avvolgerlo insieme agli eventi tragici che divampavano in Europa e ai quali - forse per fortuna - non fece in tempo ad assistere fino in fondo.

Precht però qui gioca su un doppio registro: Sternheim è il pretesto per un romanzo interrogativo e interrogante che non si può liquidare sotto la generica etichetta di autofiction

Il centro di questo romanzo atipico è infatti la scrittura, lo scrivere. Demone e diletto di Precht, come di chiunque abbia contratto il morbo e si interroghi profondamente - e non soltanto per divertimento narcisistico - sul senso di una cosa che può apparire sommamente insensata come lo scrivere - e in particolare lo scrivere di sè.

Il problema è che non si finisce mai di conoscersi. E Precht, come ogni autore vero, non ha fatto ancora i conti pienamente con la propria interiorità, con le ansie, con i turbamenti, con il senso del fallimento o dell'incompiutezza e cerca in un eponimo che non può essere per lui altri che Sternheim, lo scrittore che ha giocato tutto, ha raggiunto tutto, ha toccato tutto e alla fine ha sperimentato la rovina e la caduta. 

La rovina infatti, è il segno che si è vissuto. E allora dunque, forse ci si può rivolgere alla vita di un altro per capire meglio qualcosa della nostra. Perché, come scrive Barthes, "solo l'Altro potrebbe scrivere il mio romanzo." Forse nella galleria di questi personaggi che raccontano (a Precht) le loro storie, orbitando intorno a quella del grande scrittore oggi trascurato, si trovano riflessi propizi, si scoprono echi o similitudini, diffrazioni, spostamenti che riguardano oggi e che riguardano noi stessi.

Nella polvere del tempo che non smette di cadere, Precht racconta le sue notti insonni, il suo agitarsi, il suo non riuscire a carpire, a dipanare, il suo non poter concludere. Ma in questo c'è la bellezza di un piccolo romanzo di meno di 200 pagine, che contiene tante storie, tanto tempo, tante vite. 

Raoul Precht
Lo scrittore infedele
Editoriale Scientifica
2025


19/06/23

"La Famiglia dei Diamanti" - saga familiare Netflix nel quartiere ortodosso di Anversa


La Famiglia dei Diamanti (Rough Diamonds), visibile sulla piattaforma Netflix, serie belga, del 2023, si inserisce sulla scia delle diverse serie che, dalla meravigliosa Shtisel a Unorthodox, si sono addentrate nel mondo della cultura e della vita delle comunità ebree ortodosse.

In questo caso siamo in Belgio, ad Anversa, da sempre "la città dei diamanti", lì dove cioè hanno prosperato da secoli commercianti - non solo ebrei - che si sono specializzati nel mercato delle preziose pietre provenienti dalle miniere dell'Africa.
Il pretesto narrativo è il suicidio - perché coinvolto in debiti di gioco - di un giovane membro della famiglia Wolfson, una delle più blasonate del quartiere dei diamanti.
Al capezzale del morto accorre anche il più classico figliol prodigo: Noah, che venti anni prima ha lasciato la famiglia, lasciando la fede ortodossa. Noah, che è fratello del suicida, vive a Londra e si occupa di affari poco puliti.
La morte del fratello lo spinge però a riconnettersi con la comunità Haredi e con la sua famiglia, che si trova adesso in guai molto seri - ricattata dalla malavita albanese - e che lui si sente in dovere di aiutare.
Coprodotta dagli israeliani Keshet, la serie, solida e ben scritta si segue volentieri fino all'ultima delle 8 puntate.
I punti deboli sono gli attori, in particolare Kevin Janssens, il protagonista, dall'espressione fissa e stolida, modesto come modesti sono anche altri nei ruoli secondari; i personaggi fra l'altro, tranne quello del fratello maggiore, Eli, non "crescono" ; e una inconcludenza generale della vicenda, specie nell'epilogo, irrisolto e tirato via senza convinzione, soltanto per preparare il terreno a una probabilissima seconda stagione.

Fabrizio Falconi - 2023

07/04/16

Torna in Italia la "Testa di Augusto" rubata negli anni '70.




E' pronta a tornare a casa sua, a Nepi, una testa in marmo di Ottaviano, futuro imperatore Augusto, rubata negli anni '70 e ora ritrovata in Belgio. 

Il prezioso reperto romano sara' ufficialmente riconsegnato all'Italia e alla cittadina laziale dal museo reale d'arte e di storia di Bruxelles con una apposita cerimonia, il prossimo 28 aprile. 

Una storia a lieto fine, fra quelle dei tanti tesori nazionali trafugati e scomparsi per anni, oltre che una testimonianza concreta di una collaborazione fruttuosa fra le autorità belghe e italiane

"Per noi si tratta di un ritorno importante - spiega Pietro Soldatelli, sindaco di Nepi - visto che si tratta di un pezzo ben conservato, che penso potrà essere visibile al nostro museo gia' da maggio". 

Il museo belga aveva regolarmente acquistato la scultura nel 1975, da un antiquario di Zurigo, non risultando all'epoca il pezzo come mancante. 

Da allora la testa in marmo del futuro imperatore romano è rimasta al sicuro a Bruxelles nella 'galleria dei ritratti', di fronte ad un ritratto di Livia e vicino a quello di Druso

La comunicazione del furto di fatto e' avvenuta solo di recente, grazie ad una vecchia fotografia scattata dall'Istituto di archeologia tedesco che custodiva l'origine del reperto: il togato che ornava negli anni '70 il portico del palazzo comunale della piccola città laziale non era acefala, ma sfoggiava un ritratto di Augusto velato

Una volta appurata la reale provenienza "il museo di Bruxelles ha dato subito la sua disponibilita' alla restituzione - racconta Soldatelli - e lo stesso re del Belgio ha dato il via libera all'operazione di rientro", che sara' festeggiata da una analoga cerimonia anche in Italia

 Alta quaranta centimetri e mezzo, leggermente girata verso destra, la testa ritrovata presenta i tratti di un uomo giovane e magro, una delle prime rappresentazioni di Ottaviano (68 a.C.), il futuro imperatore Augusto (27 a.C. - 14 d.C.), all'epoca in cui si batteva per recuperare l'eredita' di Cesare, suo padre adottivo, prima della decisiva vittoria di Azio (31 a.C.)

Il giovane Ottaviano e' togato e con la testa coperta, ritratto sia come sacerdote (pontifex) che come uomo pio.