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12/09/22

E' morto il grande Javier Marìas. Il ricordo

 


Si è spento ieri sera, alla soglia dei 71 anni, il grande Javier Marìas, uno degli scrittori più importanti degli ultimi decenni. 

Non sapeva mai cosa sarebbe accaduto nei suoi libri, scopriva le cose che succedevano nel momento in cui le raccontava Javier Marias, il grande scrittore spagnolo morto oggi a 70 anni per una polmonite.

Dato piu' volte tra i favoriti alla vittoria del Premio Nobel, traduttore, giornalista, autore di 'Tutte le anime', 'Domani nella battaglia pensa a me' e 'Berta Isla' aveva raccontato lui stesso di scrivere senza una mappa, avendo pero' una bussola: "Non e' che non sappia dove voglio andare, ma non conosco la strada da percorrere, comincio senza sapere molto di quello che raccontero', non cambio nulla dei miei romanzi, come non possiamo cambiare nulla del nostro passato". 

Le zone d'ombra, il non detto, il non rivelato, l'impossibilita' di conoscere se stessi e le persone piu' vicine sono la materia che ha sempre stimolato la sua scrittura dove temi universali come il matrimonio, il tradimento, l'amore, i segreti si sono sempre accesi di una nuova e a volte inquietante luce. Figlio del filosofo Julián Marías e dell'insegnante Dolores Franco, nipote del singolare regista Jesús Franco, Javier Marias era nato il 20 settembre 1951 a Madrid in una famiglia di intellettuali anti-franchisti. 

Ha trascorso lunghi periodi dell'infanzia negli Stati Uniti dove il padre insegnava. Laureato in letteratura inglese all'Universita' Complutense di Madrid ha insegnato per un periodo all'Universita' di Oxford e negli Stati Uniti e ha tradotto in spagnolo importanti autori di lingua inglese da Thomas Hardy a Joseph Conrad e da Yeats a Stevenson. 

Fin dall'esordio nel 1971 con 'I territori del lupo', un romanzo particolare in cui 85 pellicole cinematografiche nordamericane visionate a Parigi erano diventate un 'opera letteraria, e' stato evidente il suo sperimentalismo e la rottura con la tradizione letteraria spagnola. Sono seguiti 'Traversare l'orizzonte' e nel 1978 El monarca del tiempo. Tra i suo romanzi, tutti pubblicati in Italia da Einaudi: 'Un cuore cosi' bianco', 'Gli innamoramenti', 'Cosi' ha inizio il male'. 

Il grande successo internazionale e' arrivato con 'Tutte le anime' che ha per protagonista un docente spagnolo a Oxford, con lo shakesperiano 'Domani nella battaglia pensa a me' in cui un ghost writer va a casa della donna sposata con cui ha una relazione e lei muore all'improvviso tra le sue braccia e con 'Il tuo volto domani'. 

Con il suo ultimo romanzo, 'Tomas Nevinson', uscito in Italia nel 2022 per Einaudi, aveva vinto a giugno il Premio Gregor Von Rezzori. "Quasi un monito che ci ricorda di continuare a coltivare i pensieri larghi" come sottolineava la motivazione della giuria. Il libro non e' un seguito ma "forma una coppia" con il fortunatissimo 'Berta Isla', il suo primo romanzo ad avere come titolo il nome di un personaggio. 

Un romanzo incentrato su una spia, con cui aveva raggiunto l'apice di un percorso intorno al segreto da cui tutti, piu' o meno, siamo toccati. "Bisogna nascondere una parte di se stessi, non le cose terribili, non ingannare, ma non bisogna mai rivelare tutto di se" aveva raccontato lo scrittore all'ANSA al Salone del Libro di Torino nel 2018. 

Nell'ultimo romanzo di 600 pagine Tomas Nevison, scomparso da dodici anni e dato per morto anche dalla moglie Berta Isla, torna nei servizi segreti e l'ordine che deve eseguire e' dei piu' atroci: individuare e uccidere una donna che nel 1987 aveva preso parte ad alcuni attentati dell'Ira e dell'Eta

Tanti i riferimenti e le citazioni letterarie - da Shakespeare a Baudelaire, da William Blake a Dante - come accade spesso nei viaggi che si compiono con le opere di Marias. Tanti i prestigiosi premi ricevuti dallo scrittore spagnolo tra cui il prestigiosissimo Rómulo Gallegos, il Prix Femina Etranger e molti i riconoscimenti avuti in Italia come il Premio Internazionale Bottari Lattes Grinzane e il Nonino. Marias, che parlava molto bene in italiano, era convinto che "non bisogna mai raccontare tutto, ma lasciare una parte di mistero per sorprendere sempre chi ti sta accanto" ed e' quello che ha fatto con la sua vita e con la straordinaria opera di creativita' che sono i suoi romanzi. 

05/09/22

Quando gli scrittori si odiano (e si sfidano perfino a duello): Ungaretti/Bontempelli, Garcia Marquez/Vargas Llosa, Naipaul/Theroux, Neruda/Huidobro

La celebre foto del duello a filo di spada tra Giuseppe Ungaretti e Massimo Bontempelli

Se non sono particolarmente ipocriti non è facile trovare due scrittori famosi che si amino. Spesso si ignorano. Perché l' invidia, la rivalità, l' arroganza sono sentimenti inconfessabili che, se scoperti, rimpiccioliscono l' anima di chi li prova. 

Così, quando si picchiano, come fu il caso di Garcia Marquez e Vargas Llosa il 12 febbraio del '76, finiscono per nasconderlo anche ai biografi. L’episodio tra i due è leggendario e misterioso. Avvenne a Città del Messico, luogo che per entrambi aveva significati speciali, nel Palazzo delle Belle Arti. Mario Vargas Llosa, il più grande scrittore peruviano di sempre, si avvicinò a Gabriel García Márquez, il più grande scrittore colombiano di sempre. Gli urlò: “Questo è per quello che hai fatto a Patricia a Barcellona!”. E diede a Márquez un pugno in faccia così forte da farlo cadere a terra, lesionargli il volto e una spalla, lasciarlo con un occhio nero per giorni. 

Vargas Llosa se ne andò, Márquez non reagì. 

Racconta Elena Poniatowska, grande scrittrice messicana, che García Márquez andò in un ristorante vicino a farsi dare una bistecca congelata da mettersi sulla faccia, e poi andò via anche lui a bordo di una Volkswagen. 

Da allora nessuno parlò più. Non una parola sul pugno più famoso della letteratura latinoamericana, non una parola su Patricia, che era la moglie di Vargas Llosa con cui, nell’ultimo periodo, García Márquez era diventato amico stretto. Ma soprattutto, non una parola tra le due più grandi penne dell’intero continente. Era il 1976 e per i successivi quarant’anni, fino a che Gabo non è morto nel 2014, i due non si sono mai più rivolti la parola

Un duello molto famoso fu quello fra Giuseppe Ungaretti e Massimo Bontempelli che incrociarono le spade il 9 agosto del 1926. 

I due scrittori dopo un incontro casuale nel quale si erano accusati a vicenda di «maldicenze letterarie» si diedero appuntamento nella villa romana di Luigi Pirandello. Vinse Bontempelli che infilò la spada nell' avambraccio destro di Ungaretti procurandogli una ferita di «tre centimetri». 

Più recente è lo sgarbo che ha messo fine all' amicizia fra lo scrittore di origine indiana Naipaul, premio Nobel per la letteratura nel 2001, e l' americano Paul Theroux

L' avventura è succosa perché Theroux aveva addirittura scritto nel 1998 Biografia di un' amicizia, un libro di memorie nel quale il soggetto era proprio Naipaul. 

Sta di fatto che un giorno, spulciando lo scaffale di un rigattiere, Theroux trovò un suo libro di viaggi con tanto di dedica in prima pagina al suo amatissimo amico. Quando chiese spiegazioni Naipaul confesso s' era disfatto del libro, come di tutti gli altri, che Theroux gli aveva gelosamente donato. 

L' invidia verso la fama meritata o immeritata poi può far di peggio: due grandi poeti e grandi amici come i cileni Pablo Neruda e Vicente Huidobro smisero di parlarsi quando in un' antologia il secondo ricevette qualche riga in più di biografia rispetto al primo. Mentre il terzo incomodo, Pablo De Rokha, morì suicida espulso dal partito comunista dagli amici di Neruda.

29/06/22

Elogio di James Salter, un grande scrittore americano che merita di essere scoperto



Ha scritto soltanto sette romanzi, nella sua vita ma James Salter è uno degli scrittori più interessanti del Novecento americano, anche se purtroppo da noi è ancora poco conosciuto. 

Tra gli editori, non solo italiani, va di moda il detto secondo cui Salter è "il tipico scrittore che piace molto agli scrittori", con questo intendendo implicitamente che forse non è adatto ai gusti di un pubblico ampio. 

Ma non è così. Tra le molti doti, la prosa di Salter, ha quella di poter essere apprezzata da chiunque, senza per questo essere facile o banale. 

Ma chi è James Arnold Horowitz che prese il nome d'arte di James Salter? 

E' nato nel New Jersey nel 1925, e morto pochi anni fa, il 19 giugno 2015.

Ex ufficiale di carriera e pilota dell'Aeronautica Militare degli Stati Uniti , si dimise dall'esercito nel 1957 in seguito alla pubblicazione di successo del suo primo romanzo, I cacciatori

Dopo una breve carriera nella sceneggiatura e nella regia cinematografica, nel 1979 Salter pubblica il romanzo Solo Faces. Ha vinto numerosi premi letterari per le sue opere, compreso il tardivo riconoscimento di opere originariamente criticate al momento della loro pubblicazione. 

Suo padre era un agente immobiliare e uomo d'affari che si era laureato a West Point nel novembre 1918 e aveva prestato servizio nel Corpo degli ingegneri sia con l'esercito che con la riserva dell'esercito. 

Il giovane James, sebbene avesse intenzione di studiare all'Università di Stanford o al MIT, entrò a West Point il 15 luglio 1942, su richiesta del padre, che si era arruolato nel corpo degli ingegneri nel luglio 1941, in previsione dello scoppio della guerra.

Come suo padre, il tempo trascorso a West Point da Horowitz fu breve a causa dell'aumento delle classi in tempo di guerra e della drastica riduzione del programma di studi. Si diplomò nel 1945 dopo soli tre anni, classificandosi al 49° posto per merito generale nella sua classe di 852 allievi. 

Completò l'addestramento di volo durante il suo primo anno di corso, con l'addestramento primario a Pine Bluff, Arkansas, e l'addestramento avanzato a Stewart Field, New York.

Durante un volo di navigazione nel maggio 1945, il suo volo si è disperso e, a corto di carburante, ha scambiato un cavalletto ferroviario per una pista, facendo atterrare il suo T-6 Texan contro una casa a Great Barrington, nel Massachusetts. 

Forse a causa di questo ciò, fu assegnato all'addestramento multimotore sui B-25 fino al febbraio 1946. 

Ricevette il suo primo incarico nelle Filippine, alla base aerea di Naha, Okinawa, e alla base aerea di Tachikawa, in Giappone. 

Nel marzo 1950 è stato assegnato al quartier generale del Tactical Air Command a Langley AFB, in Virginia, dove è rimasto fino a quando si è offerto volontario per la guerra di Corea.

Arrivò in Corea nel febbraio 1952 dove volò in più di 100 missioni di combattimento tra il 12 febbraio e il 6 agosto 1952 e gli è stata attribuita una vittoria su un MiG-15 il 4 luglio 1952. 

Successivamente Salter fu dislocato in Germania e in Francia, promosso maggiore e assegnato alla guida di una squadra di dimostrazione aerea; divenne ufficiale operativo di squadriglia, in linea per diventare comandante di squadriglia.

Nel tempo libero scrisse il suo primo romanzo, The Hunters, pubblicandolo nel 1956 con lo pseudonimo di "James Salter". I diritti cinematografici del romanzo permisero a Salter di lasciare il servizio attivo nell'aeronautica statunitense nel 1957 per scrivere a tempo pieno. 

Dopo aver prestato servizio per dodici anni nell'aeronautica militare statunitense, di cui gli ultimi sei come pilota di caccia, Salter trovò difficile il passaggio a scrittore a tempo pieno.

L'adattamento cinematografico del 1958, I cacciatori, interpretato da Robert Mitchum, fu acclamato per le sue potenti interpretazioni, la trama commovente e la rappresentazione realistica della guerra di Corea. 

Pur essendo un adattamento eccellente per gli standard hollywoodiani, era molto diverso dal romanzo originale, che trattava della lenta autodistruzione di un pilota di caccia trentunenne, che un tempo era stato considerato un "pezzo grosso", ma che trovava solo frustrazione nella sua prima esperienza di combattimento, mentre altri intorno a lui raggiungevano la gloria, in parte forse inventata. 

Il suo romanzo del 1961, "Il braccio di carne", si basa sulle sue esperienze di volo con il 36° stormo di caccia alla base aerea di Bitburg, in Germania, tra il 1954 e il 1957. 

Salter, tuttavia, in seguito disdegnò entrambi i suoi romanzi "Air Force" come prodotti della giovinezza "che non meritano molta attenzione". Dopo diversi anni di servizio nella riserva dell'aeronautica, nel 1961 si dimise completamente dall'incarico dopo che la sua unità fu richiamata in servizio attivo per la crisi di Berlino. 

Si trasferì a New York con la famiglia. Salter e la sua prima moglie Ann divorziarono nel 1975, dopo aver avuto quattro figli: le figlie Allan (1955-1980) e Nina (nata nel 1957), e i gemelli Claude e James (nati nel 1962). 

A partire dal 1976 ha vissuto con la giornalista e drammaturga Kay Eldredge. Hanno avuto un figlio, Theo Salter, nato nel 1985, e Salter ed Eldredge si sono sposati a Parigi nel 1998.

Salter si è dedicato alla scrittura cinematografica, prima come autore di documentari indipendenti, vincendo un premio alla Mostra del Cinema di Venezia in collaborazione con lo scrittore televisivo Lane Slate (Team, Team, Team). Ha scritto anche per Hollywood, pur disdegnandola. La sua ultima sceneggiatura, commissionata e poi rifiutata da Robert Redford, è diventata il suo romanzo, Solo Faces.

Scrittore molto apprezzato della narrativa americana moderna, Salter è stato critico nei confronti del proprio lavoro, avendo affermato che solo il suo romanzo del 1967, A Sport and a Pastime, si avvicina ai suoi standard. 

Ambientato nella Francia del dopoguerra, A Sport and a Pastime è un'opera erotica che coinvolge uno studente americano e una giovane francese, raccontata sotto forma di flashback al presente da un narratore senza nome che conosce a malapena lo studente, desidera la donna e ammette liberamente che la maggior parte della sua narrazione è frutto di fantasia. 

Molti personaggi dei racconti e dei romanzi di Salter riflettono la sua passione per la cultura europea e, in particolare, per la Francia, che egli descrive come una "terra santa secolare".

La prosa di Salter mostra l'apparente influenza di Ernest Hemingway e Henry Miller, ma nelle interviste con il suo biografo, William Dowie, Salter afferma di essere stato influenzato soprattutto da André Gide e Thomas Wolfe. 

La sua scrittura è spesso descritta dai recensori come "succinta" o "compressa", con frasi brevi e frammenti di frase, e il passaggio tra prima e terza persona, così come tra il tempo presente e passato. I suoi dialoghi sono attribuiti solo quando è necessario per chiarire chi sta parlando, altrimenti lascia che il lettore tragga deduzioni dal tono e dalle motivazioni. 

Il suo libro di memorie del 1997, Burning the Days, utilizza questo stile di prosa per raccontare l'impatto che le sue esperienze a West Point, nell'aeronautica e come pseudo-espatriato in Europa hanno avuto sul modo in cui ha visto i suoi cambiamenti di stile di vita. 

Sebbene sembri celebrare numerosi episodi di adulterio, in realtà Salter sta riflettendo su ciò che è accaduto e sulle impressioni che ha lasciato su di lui, proprio come la sua struggente reminiscenza sulla morte della figlia. 

Un verso de I cacciatori esprime questi sentimenti: "Non sapevano nulla del passato e della sua santità". 

Salter ha pubblicato una raccolta di racconti, Dusk and Other Stories, nel 1988. La raccolta ha ricevuto il PEN/Faulkner Award e uno dei suoi racconti ("Twenty Minutes") è diventato la base del film Boys del 1996. Nel 2000 è stato eletto membro dell'American Academy of Arts and Letters. Nel 2012, la PEN/Faulkner Foundation lo ha selezionato per il 25° PEN/Malamud Award affermando che le sue opere mostrano ai lettori "come lavorare con il fuoco, la fiamma, il laser, tutte le forze della vita al servizio della creazione di frasi che scintillano e fanno bruciare le storie"

Il suo ultimo romanzo, All That Is (qua sotto la traduzione italiana), è considerato il suo capolavoro. 

È morto il 19 giugno 2015 a Sag Harbor, New York.

In Italia l'editore Guanda sta pubblicando la sua intera opera. Che merita davvero di essere conosciuta. 

Fabrizio Falconi - 2022 



05/05/22

Quella volta che Bruce Chatwin fece ridere Jorge Luis Borges

 


E' la foto che documenta un incontro raro, tra due delle personalità più notevoli del Novecento letterario Bruce Chatwin e il grande Jorge Luis Borges. 

Nell'ottobre 1983 infatti, Chatwin fu intervistato per un talk show televisivo della BBC da Frank Delaney, e insieme a Bruce, c'erano anche Borges e Mario Vargas Llosa. 

Di quella storica registrazione, resta anche il ricordo di un curioso aneddoto.

Nello studio, nel momento in cui arrivò Borges, Chatwin disse di lui all'intervistatore:  'È un genio. non puoi andare da nessuna parte senza portarti dietro Borges. È come prendere lo spazzolino da denti"

Borges, sentendo questo, rispose divertito: "Che poco igienico!" -

C'era del resto un sicuro, grande timore reverenziale. Borges aveva 84 anni, mentre Chatwin, ancora giovanissimo, soltanto trentatré. 

06/12/21

Il celebre incidente che rischiò di spezzare la carriera e la vita di Stephen King nel '99. Cosa accadde esattamente?

 


E' un incidente ormai quasi leggendario quello che rischiò di spezzare per sempre la carriera e la vita di Stephen King, uno degli autori più letti e più amati al mondo. 

Ma cosa accadde esattamente, quel giorno? 

Il 19 giugno 1999, verso le 16:30, Stephen King stava camminando sul ciglio della Maine State Route 5, a Lovell, nello stato del Maine. 

L'autista Bryan Edwin Smith, distratto da un cane sfrenato che si muoveva nel retro del suo minivan, colpì King, che atterrò in una depressione nel terreno a circa 14 piedi (quattro metri) dal marciapiede della Route 5. 

I primi rapporti all'epoca dal vicesceriffo della contea di Oxford Matt Baker, affermarono che King fu colpito alle spalle e alcuni testimoni affermarono che l'autista non stava accelerando, non guidava in modo spericolato e non stava bevendo. 

Tuttavia, Smith fu successivamente arrestato e accusato di guida pericolosa e aggressione aggravata

Smith all'epoca si dichiarò colpevole dell'accusa minore di guida pericolosa e fu condannato a sei mesi nel carcere della contea (pena sospesa) e gli fu sospesa la patente di guida per un anno. 

Nel suo libro Sulla scrittura, King afferma che si stava dirigendo a nord, camminando contro il traffico. 

Poco prima che avvenisse l'incidente, una donna a bordo di un'auto, anche lei in direzione nord, ha superato prima King e poi il furgone Dodge azzurro

Il furgone stava zigzagando da un lato all'altro della strada e la donna ha detto al suo passeggero che sperava "quel tizio nel furgone non lo colpisse". 

Appena colpito e soccorso, King fu abbastanza cosciente dal riuscire a dare alla polizia i numeri di telefono per contattare la sua famiglia, ma soffriva notevolmente. 

Fu trasportato al Northern Cumberland Hospital di Bridgton e poi trasportato in aeroambulanza al Central Maine Medical Center (CMMC) di Lewiston. 

Le sue ferite - un polmone destro collassato, fratture multiple della gamba destra, lacerazione del cuoio capelluto e un'anca rotta - lo hanno tenuto al CMMC fino al 9 luglio

Le sue ossa delle gambe erano così frantumate che i medici inizialmente hanno pensato di amputargli la gamba, ma hanno stabilizzato le ossa della gamba con fissatore esterno, come si vede nella foto in apertura, relativa alla convalescenza dello scrittore.  

Dopo cinque operazioni in 10 giorni e la terapia fisica, King riprese a lavorare su On Writing a luglio, anche se la sua anca era ancora in frantumi e poteva stare seduto solo per circa 40 minuti prima che il dolore diventasse insopportabile. 

Su disposizione dello stesso scrittore, l'avvocato di King e altri due soci acquistarono il furgone di Smith per 1.500 dollari, secondo quanto riferito per impedire che fosse rivenduto come reperto su eBay. 

Il furgone è stato poi schiacciato in una discarica, con disappunto di King, poiché aveva fantasticato di romperlo lui personalmente con l'uso di una mazza da baseball. 



29/11/21

La lettera di Saskia a suo padre Tiziano Terzani

 



Rileggendo i meravigliosi diari di Tiziano Terzani, che descrivono la sua vita avventurosa e incredibile, e i suoi moltissimi tormenti interiori, si scopre come il grande giornalista, sempre in giro per il mondo, accenni spesso alle lettere (spedite prima per fax, poi per email) della figlia Saskia. Terzani dalla moglie Angela Staude, ebbe due figli, Fosco e Saskia. Nelle pagine dei diari, Terzani racconta quanto gli facesse piacere ricevere quei messaggi, a volte risponde, a volte commenta le notizie ricevute. I testi, però, non sono riportati. 
In una intervista di qualche anno fa a Vanity Fair, Saskia ha ritrovato un fax, che inviò al padre da Hong Kong, in occasione della morte della nonna Lina, la madre di Tiziano. È datato 24 novembre 1996, all’epoca lei aveva 25 anni.
La Elvie di cui si parla nella lettera è l’amatissima filippina, che ha vissuto con la famiglia dal 1983 fino alla pensione, nel 2005.
E' assai interessante leggere questa lettera che descrive un frammento intimo della vita di Terzani, della piccola grande epopea della sua famiglia, profondamente radicata nella vita del borgo di Orsigna, in Toscana, nel quale Terzani si ritirò nell'ultimo periodo della sua esistenza, lasciando testimonianza nei suoi ultimi bellissimi libri.

Carissimo babbo, carissima mamma,
la Elvie mi ha appena telefonato per dirmi che la nonna si è spenta. Le emozioni di questo momento sono tante, forti, indescrivibili, quanto indecifrabili.
Un passaggio come il suo non lascia perplessità o sgomento profondo. La Nonna nella sua estrema fragilità fisica e apparente lontananza mentale, ha gestito la sua uscita di scena con la massima dignità e calibrazione. Non c’è stata una sbavatura.
Seduta eretta nel suo salotto a Firenze dove ha vissuto con l’uomo che ha amato, dove ha fatto nascere suo figlio, dove è diventata donna, e poi madre, nonna e saggia, si è presa il tempo che ha voluto e poi, nel momento giusto, lo ha lasciato andare.
Non ha mai manifestato né la sofferenza né la paura – conosceva i limiti di sopportazione del suo carattere – e così si è lasciata appassire per attutire il travaglio dell’ultima ora.

Con questo finale sereno ed elegante non solo dà un senso al lungo periodo di lento distanziamento, ma chiude in bellezza. Non più penseremo al suo indebolirsi come un segno della sua graduale perdita di controllo. Ci lascia invece un ricordo di una vita completa, non sfilaccicata in fondo.
La presenza della Elvie al suo fianco è stata fondamentale. Era la sua custode – dotata di tanta pazienza e soprattutto di un fiuto per i ritmi della vita che diventano i ritmi della morte.
Ha seguito la nonna passo passo, «sentendo» con lei le voci dei suoi parenti defunti lontani che la chiamavano, accudendo a ogni suo bisogno.

Non c’è miglior ultimo regalo che uno possa fare a un’altra persona. La nonna si è sicuramente sentita accompagnata lungo questo misteriosa e magica strada che è di tutti ma che nessuno conosce.
Per tutte queste ragioni la notizia di stasera mi ha trasmesso uno strano senso di tranquillità. Non sembra per niente la parola adatta, e comunque nessuna parola può comunicare la sensazione che mi sento aleggiare intorno e dentro.
Sento la pace ma anche un vuoto. È come essere in una grande stanza spoglia e sentire una porta che finora era socchiusa, chiudersi. Lascia l’eco, ma anche quella si affievolisce, e poi non sai più se la senti ancora o se è rimasta semplicemente sospesa nella tua mente.

La nonna se n’è andata e con lei sembrano di un tratto allontanarsi anche tutti i miei ricordi d’infanzia, delle estati che passavamo, felici, con lei e il nonno. Sembra allontanarsi tutta la mia infanzia italiana, quella che sognavamo dai Paesi lontani, e che era composta di poche cose – l’Orsigna, le passeggiate con lo zaino in paese, le polpettine, i letti a castello – e a ognuna di queste si ricollegavano il nonno e la nonna. Lei era rimasta come il recipiente tangibile di questi ricordi. Ne era stata la garante e così la sua presenza ce li manteneva vivi, anche attraverso le diverse età, e anche attraverso l’aggiungersi di nuovi ricordi. L’Orsigna sarà diversa senza la nonnina.

Però non c’è verso di dimenticarla. Me la ricorderò nell’immagine con la quale ha voluto lasciarci: A capotavola, con la sua pelle sempre morbida, i suoi bei capelli bianchi e vaporosi, e quell’espressione che di tanto in tanto s’illuminava di un sorriso e di una scherzosa strizzata d’occhio. Addio Nonna.



Una foto giovanile di Tiziano Terzani, in barca in Asia con i figli piccoli, Folco e Saskia


20/11/21

Davvero oggi scrivendo libri si può aspirare all'immortalità ?



Chi e come si guadagna l'immortalità letteraria

Il vecchio sogno idealista o infantile di scrivere libri per consegnarsi alla posterità si dovrebbe infrangere brutalmente quando si conosca almeno per grandissime linee, la storia della fortuna letteraria. 

Se si scorre l'elenco dei vincitori del premio Strega degli ultimi 70 anni, per esempio, si può fare un bilancio, scoprendo che molti dei premiati non hanno superato la prova della notorietà neanche a distanza di qualche decennio.

Chi oggi legge in Italia romanzi di Giovanni Battista Angeletti, vincitore nel 1949? Quanti volumi troverebbe, entrando oggi in una libreria, un potenziale lettore, dello scrittore Michele Prisco (vincitore nel 1966)? Quanti di Raffaello Brignetti (vincitore nel 1971), di Giuseppe Dessì (1972), di Guglielmo Petroni (1974), di Vittorio Gorresio (1980), oppure dei più recenti Ernesto Ferrero (2000) o di Ugo Riccarelli (2004)?? 

Tutti ottimi scrittori, sicuro. Ma già precipitati nell'oblio, almeno per quanto riguarda la ristampa o pubblicazione dei loro libri

E che dire, allargando il campo, dei celebrati Premi Nobel? 

Chi legge oggi o chi ha mai sentito nominare oggi Sully Prudhomme , vincitore nel 1901, Bjørnstjerne Bjørnson (1903), Frédéric Mistral (1904), José Echegaray y Eizaguirre (1905), Rudolf Christoph Eucken (1908), Selma Lagerlöf (1909), Paul Johann Ludwig Heyse (1910), Maurice Polidore Marie Bernhard Maeterlinck (1911), Gerhart Hauptmann (1912), Carl Gustaf Verner von Heidenstam (1916), Karl Adolph Gjellerup (1918), Henrik Pontoppidan (1920), Władysław Stanisław Reymont (1924), Sigrid Undset (1928), Erik Axel Karlfeldt (1931), Roger Martin du Gard (1937)Frans Eemil Sillanpään (1939), Halldór Laxness (1955), Saint-John Perse (1960), Harry Martinson (1974) ??? 

L'elenco è lunghissimo e pare rispondere chiaramente che non basta proprio vincere un premio Nobel per guadagnarsi l'immortalità (a meno che non si consideri immortale l'aver vinto un premio Nobel, cosa di cui dubito molto

Se scrittori premiati col Nobel appena trenta, quaranta, cinquanta anni fa sono precipitati nell'oblio (sopravvivendo le loro opere solo nelle polverose biblioteche o in rari brani di antologie scolastiche), è legittimo chiedersi anche se recentissimi premiati come Olga Tokarczuk (2018) o Louise Gluck (2020) o Abdulrazak Gurnah (2021) saranno, tra quindici o venti anni letti da qualcuno, presenti con le loro opere nelle librerie e soprattutto stampati da qualche editore. 

Insomma, chi cerca l'immortalità con la produzione letteraria, ma più in generale con quella artistica, dovrebbe rassegnarsi prima ancora di provarci, alla irrilevanza: l'immortalità, la vera immortalità spetta a quella razza "aliena" nata con un codice speciale e la cui piena espressività è stata riconosciuta da tutti, erga omnes, contemporanei, posteri e sopravvissuti. 

Quindi se non si è nati Michelangelo, Dante, Shakespeare o Proust, abbandonate i vostri sogni di gloria e bagnatevi sovente, cioè tutti i giorni, nelle acque dell'umiltà. La vostra grande opera, è assai probabile, non vi sopravviverà.

Fabrizio Falconi - 2021 

12/11/21

Il suicidio di David Foster Wallace nelle parole di sua moglie



Karen Green è una donna eccezionale. 

E oltre ad essere una donna eccezionale è anche una artista vera. 

E oltre ad essere una donna eccezionale e anche una artista vera è stata anche la moglie di un genio, David Foster Wallace, considerato uno degli scrittori più importanti degli ultimi 50 anni e suicidatosi il 12 settembre del 2008, a soli 46 anni, impiccandosi ad una trave della sua abitazione. 

In tutti questi anni, dopo la morte del marito, la Green ha compiuto ogni sforzo per comprendere la morte di David, ma in una intervista a The Guardian, ha ribadito la volontà di negare l'idea che il suicidio sia in qualche modo un atto significativo, ancor meno comprensibile in termini artistici – il mito del depressivo romantico – come invece molti commentatori della morte di Wallace, mettendolo insieme ad altri suicidi celebri come Kurt Cobain, hanno voluto vederlo. 

"È stato un giorno nella sua vita", dice la Green "ed è stato un giorno nella mia. Il problema per me è che c'è uno stress post-traumatico che deriva dal trovare qualcuno che ami in quel modo, come ho fatto io. È un cosa reale. Un vero cambiamento al tuo cervello, a livello cellulare, a quanto pare. La gente mi dice che avrei dovuto essere preparata, a causa della storia di David con la depressione. Ma ovviamente non ero affatto preparata. Non me ne sarei andata, lasciando lui solo in casa, mai, se avessi sospettato che sarebbe potuto succedere. Sento ancora che è stato commesso un errore". 

Confessa di evitare ancora dopo tanto tempo Google: "Cosa fai quando il referto dell'autopsia di tuo marito è su Internet ed è considerato un argomento degno di una fottuta critica letteraria?" 

Sono rarissime le volte in cui la Green ha parlato del suicidio del marito. "L'ho fatto solo quando sapevo che l'articolo non avrebbe incluso le parole "impiccato" o "corpo scoperto", dice. 

"Ma mi sono sbagliata e l'hanno fatto lo stesso. Sono un'idiota, ovviamente. So che il giornalismo è giornalismo e forse la gente vuole leggere che ho scoperto il corpo più e più volte, ma questo non definisce David o il suo lavoro. Tutto questo lo trasforma in uno scrittore di celebrità, il che penso lo avrebbe fatto molto arrabbiare, o almeno avrebbe fatto arrabbiare la parte buona di lui. Ma adesso ha definito anche me, e sto davvero lottando con questo". 

Se ha deciso di parlarne è stato perché si è sentita in dovere di pubblicare The Pale King , l'ultima opera di David, uscita postuma, e in parte perché ha la sensazione che parlare della sua esperienza possa essere di aiuto ad altre persone che sono state lasciato indietro a convivere con l'ossessione o l'incubo del suicidio. 

Non è sicura di molte cose riguardo alla morte di suo marito ma è certa di una cosa: che Wallace voleva che il Re Pallido fosse pubblicato, anche nel suo stato incompiuto. "Gli appunti che ha preso per il libro e i capitoli che erano completi, sono stati lasciati in una pila ordinata sulla sua scrivania nel garage dove lavorava. E le sue lampade erano accese sopra. Quindi non ho dubbi nella mia mente questo è quello che voleva. Era in uno stato organizzato molto insolito per David. " 

"Forse l'ottusità è associata al dolore psichico", ha scritto Wallace in una delle pagine del Re Pallido, uscito con enorme successo dopo la sua morte, "perché qualcosa di opaco o opaco non riesce a fornire abbastanza stimoli per distrarre le persone da qualche altro tipo di dolore più profondo che è sempre presente, anche se solo ad un livello inferiore, e da cui la maggior parte di noi spende quasi tutto il proprio tempo e le proprie energie cercando di distrarsi."

Una delle molte pagine profetiche dell'opera di un grande scrittore.

17/04/21

Elsa Morante: Esce in libreria la attesissima biografia scritta da De Ceccatty: "Una vita per la Letteratura"




«La vita privata di uno scrittore è pettegolezzo; e i pettegolezzi, chiunque riguardino, mi offendono»: così Elsa Morante in un’intervista concessa a Enzo Siciliano nel 1972.

Una lapidaria affermazione, che René de Ceccatty - nato a Tunisi nel 1952, narratore e drammaturgo, è già autore di importanti saggi letterari su Moravia e Pasolini - non manca di citare nelle pagine di questo libro per mostrare quanto sia arduo il compito del biografo se ha come oggetto la vita di una scrittrice che», come scrive Sandra Petrignani nell’introduzione, «ha più di una volta depistato i curiosi, mescolando le acque su fatti e date della propria esistenza».

Ogni esperienza vissuta è, com’è noto, ben poca cosa rispetto alle ambizioni della letteratura, che non possono essere mai ricondotte ai meri fatti di un’esistenza. 

Tuttavia, se la biografia è anch’essa un genere letterario, illuminare l’esistenza di uno scrittore non ha nulla a che fare con il pettegolezzo, ma con quel punto oscuro tra la vita e la forza dell’immaginazione che è il luogo proprio della letteratura.

È quanto fa René de Ceccatty in questo libro quando, senza alcun timore, si avventura nell’infanzia di Elsa Morante per descrivere il suo ambivalente rapporto con la madre e quello complicato con i due padri, i fratelli e la sorella. 

Un’incursione che serve a svelare da quale zona d’ombra sorgerà poi una scrittura che «si insinua nei meandri della passione, del delirio, del terrore imposto o subíto», per celebrare «il trionfo dell’immaginazione» sulla deperibilità e sui compromessi triviali del mondo.

Oppure quando narra, ed è uno dei pregi maggiori di quest’opera, degli amori e delle amicizie della scrittrice. Amori per uomini impossibili, come Luchino Visconti e Bill Morrow, e amicizie grandiose e infime, prima fra tutte quella con Pier Paolo Pasolini, destinata a «spezzarsi nel risentimento e nella vendetta letteraria». 

Elsa Morante. Una vita per la letteratura, recita il titolo di questo libro, traducendo perfettamente il suo contenuto: il racconto della vita di una grande scrittrice, in cui le speranze, gli inganni e le illusioni proprie di ogni esistenza si mutano, nella trasfigurazione letteraria, in una sorgente infinita di narrazione e fascinazione.


31/03/21

Arriva la biografia di Philip Roth ed è subito polemica

 


"Philip Roth" di Blake Bailey, un volume che Roth aveva immaginato in qualche forma per più di 20 anni, esce il 7 aprile. 

Sempre disposto a provocare o amplificare una discussione, l'autore di "American Pastoral", "Sabbath's Theatre" e altri romanzi aveva pensato a una biografia sin da quando la sua ex moglie, l'attrice Claire Bloom, lo aveva descritto come infedele, crudele e irrazionale nel suo libro di memorie del 1996 "Leaving a Doll's House"

Roth era determinato a far emergere la sua verità, ma voleva che qualcun altro lo facesse

Ha reclutato per primo Andrew Miller, un professore di inglese e nipote del drammaturgo Arthur Miller, ma è diventato così insoddisfatto di quello che credeva fosse l'ambito ristretto di Miller che i due hanno avuto un pesante diverbio

Così, nel 2012, Roth ha puntato su Bailey, concedendogli pieno accesso ai suoi documenti, ai suoi amici e, l'ostacolo più alto, all'autore stesso. Bailey inoltre avrebbe avuto l'ultima parola.

"Philip ha capito qual era l'accordo", ha detto Bailey all'Associated Press, "e per lo più lo ha rispettato".

Nei sei anni successivi, fino alla morte di Roth nel 2018, lui e Bailey sono stati collaboratori, amici e talvolta combattenti. 

Come scrive Bailey nei ringraziamenti del libro, il loro tempo insieme è stato anche "complicato, ma raramente infelice e mai noioso". 

A un certo momento, Roth poteva scherzare o sfogliare allegramente un album di foto di vecchie amiche - ce n'erano molte - e il momento dopo poteva ribollire per i presunti crimini di Bloom. 

L'autore britannico Edmund Gosse una volta definì una biografia come "il ritratto fedele di un'anima nelle sue avventure attraverso la vita"

Il libro di Bailey è più di 800 pagine e avrebbe potuto durare centinaia di più.

Roth ha completato più di 40 libri e ha vissuto molte vite in 85 anni

Bailey assume i ruoli di critico, confessore, psicologo e persino consulente matrimoniale. 

Traccia la vita di Roth dalla sua infanzia stabile ma inibitoria della classe media a Newark, nel New Jersey, agli anni adulti di disciplina letteraria e libertà personali, e ai suoi ultimi anni di pensionamento autoimposto. 

Il "vero" Philip Roth è stato una ricerca per innumerevoli critici - e lo stesso autore - sin dal suo bestseller "Portnoy's Complaint" del 1969 ha lasciato molti lettori a credere che Roth e il suo appassionato narratore fossero la stessa cosa. 

Così era e non era. 

"Mi aspettavo battute insipide, oscenità e così via", dice Bailey del tempo passato con Roth. "Ciò che mi ha sorpreso è stata l'essenziale benevolenza dell'uomo.

Poche biografie letterarie sono state così attese. Il libro di Bailey è un punto d'incontro tra uno degli autori più tempestosi e dibattuti del mondo e uno dei suoi biografi più celebri, le cui opere su John Cheever e Richard Yates sono state presentate come modelli di prosa elegante, critica incisiva, ricerca approfondita e un disponibilità ad affrontare il peggio nei suoi sudditi senza condannarli. 

"Pensavo che Blake avesse fatto un lavoro brillante, incredibilmente completo, intelligente e amorevole con mio padre", ha detto in una recente e-mail all'Associated Press Susan Cheever, la figlia di John Cheever. "La biografia è una strada difficile, tutti gli adattamenti del contesto e del personaggio, ma ho pensato che avesse bilanciato tutto perfettamente e penso che sia un segno del genio di Philip che abbia scelto anche Blake."

La maggior parte delle prime recensioni, da Kirkus a The Atlantic, sono state positive. Claire Bowden, scrivendo su The Sunday Times, ha elogiato Bailey per aver documentato la lotta di Roth "per essere visto come un romanziere serio e non un demone del sesso, che combatte le sue ex mogli, i critici e il suo corpo fallimentare". 

David Remnick del New Yorker, che ha conosciuto Roth, ha elogiato Bailey come "industrioso, rigoroso e senza scrupoli". 

Altri erano più critici. 

Parul Seghal del New York Times ha trovato Bailey più interessato al pettegolezzo che alla letteratura e ha definito il libro "un'apologia tentacolare per il modo in cui Roth ha trattato le donne, dentro e fuori dalla pagina". 

Anche Laura Marsh di The New Republic ha trovato Bailey troppo indulgente nei confronti dei vizi di Roth, dai suoi rapporti con le donne al suo risentimento contro i critici, e ha concluso che il risultato "non è una vittoria finale della discussione, come Roth avrebbe potuto sperare". 

Bailey dice che il suo scopo era quello di seguire il motto di Roth come autore - di "far entrare il repellente" e riconoscerlo come un "essere umano complicato e disordinato". 

È probabile che il biografo saluti "Pastorale americana" quanto biasimare opere minori come "Il grande romanzo americano" e "L'umiltà". 

Nel libro di memorie di Roth "The Facts", il suo alter ego immaginario Nathan Zuckerman lo ha rimproverato definendolo "il meno completamente interpretato di tutti i tuoi protagonisti". 

Bailey non è mai stato meno che affascinato, anche quando è atterrito. Roth "non aveva un solo osso monogamo nel suo corpo", disse, poteva serbare rancore come se fossero cimeli di famiglia ed era spesso fatalmente fuorviante nel suo giudizio sulle persone.

Ma c'era un lato di Philip che era del tutto ammirevole. Aveva una vena gigante di pietà filiale verso (Saul) Bellow e (Alfred) Kazin e vari scrittori che ammirava", ha aggiunto Bailey. "Se un amico di Philip fosse stato in difficoltà, lui si sarebbe messo al telefono e avrebbe iniziato a organizzare il supporto, assicurandosi che il suo amico potesse pagare le spese mediche".

"Era un uomo adorabile in molti modi." 

I bambini raramente crescono sognando di diventare un biografo letterario, e Bailey, nativo di Oklahoma City e laureato alla Tulane University, sperava per la prima volta di scrivere narrativa.

Ha completato una manciata di romanzi, tra cui uno intitolato "Bourbon In the Bathtub", ma alla fine si è reso conto che era più a suo agio nello scrivere saggistica e nel lasciarsi fuori dalla storia. Le sue ispirazioni includono il biografo britannico Lytton Strachey, che secondo Bailey considera l'umanità "ridicola, ma anche commovente". 

Le biografie di soggetti viventi _ almeno viventi all'inizio del progetto _ hanno una storia lunga e travagliata. 

Possono andare dalle valutazioni non autorizzate di Kitty Kelly di Frank Sinatra e Nancy Reagan a innumerevoli agiografie in cui il soggetto ha l'ultima parola sul manoscritto. 

Bailey ha contattato Roth su suggerimento di James Atlas, il cui libro su Bellow è spesso citato come un avvertimento che i biografi potrebbero arrivare a non amare i loro soggetti. 

 Alla domanda se la morte di Roth lo facesse sentire più libero di scrivere a suo piacimento, Bailey ha risposto che Roth "sapeva che il peggio (su di lui) stava arrivando" nel libro, citando le feroci molestie di Roth nei confronti di un amico della figlia di Bloom e la sua relazione extraconiugale con una donna identificato come "Inga"

Bailey ha ricordato un incontro con Roth pochi mesi prima della sua morte, nell'appartamento dell'autore a Manhattan. Roth era esausto, riusciva a malapena a stare in piedi, ed era arrabbiato. 

"Continuavo a fargli domande a cui non voleva rispondere." Non è nel mio interesse rispondere a queste domande, quindi devi cambiare argomento "," Bailey ricorda di aver detto Roth. "E nel bel mezzo di questo, ha detto, 'Sai, questo è il meglio che ho sentito da settimane, tu (imprecazione)'! E scoppiò a ridere."

14/12/20

E' morto John Le Carré, maestro assoluto della Spy-Story


In 'Una spia che corre sul campo', uscito poco piu' di un anno fa, aveva raccontato gli anni della Brexit, immaginando un'alleanza tra i servizi segreti di Londra e l'America di Trump con il duplice scopo di minare le istituzioni democratiche europee e smantellare il sistema internazionale dei dazi. 

"E' mia convinta opinione che per la Gran Bretagna, per l'Europa e per la libera democrazia in tutto il mondo, l'uscita della Gran Bretagna dalla Ue al tempo di Trump e la conseguente dipendenza senza riserve sugli Stati Uniti in un'era in cui gli Usa hanno imboccato la strada del razzismo istituzionale e del neo-fascismo e' un disastro senza precedenti", aveva fatto dire a uno dei personaggi del romanzo. 

E per manifestare contro la Brexit era sceso in piazza, John Le Carre', maestro della spy story acclamato nel mondo, celebre per le sue storie di spionaggio intrise di realismo e critiche nei confronti della societa' moderna, dalla Guerra Fredda ai fallimenti della globalizzazione, morto all'eta' di 89 anni. 

Vero nome David J. M. Cornwell, nato a Poole, nella regione inglese del Dorsetshire, nel 1931, Le Carre' insegna all'universita' di Eton, prima di diventare un funzionario del ministero degli Esteri britannico ed essere reclutato dall'MI5 e poi dall'MI6. 

Dall'esperienza nei servizi segreti predera' spunto per creare il personaggio di George Smiley, leggendario protagonista di numerosi suoi romanzi.

L'esordio, in quell'anno, e' con 'Chiamata per il morto', poi verra' 'Un delitto di classe', ma sara' la sua terza fatica letteraria, 'La spia che venne dal freddo', uscito nel 1964, a regalargli la fama planetaria. 

Oltre 20 milioni di copie vendute nel mondo, racconta la storia di Alec Leamas, agente britannico trasferito nella Germania dell'Est, che sara' interpretato sul grande schermo da Richard Burton nel primo di una lunga serie di adattamenti delle sue opere, tra cinema e tv. 

Basso, tozzo, occhiali spessi, paranoico, ma dotato di intelligenza acuta, una sorta di anti James Bond, come lo descrive lo scrittore in 'Candele nere' (1962), Smiley resta l'eroe preferito di Le Carre'. 

Ne La Talpa (1974) questo formidabile ufficiale dei servizi segreti smaschera una talpa sovietica infiltrata nelle sue fila. 

I sequel, 'L'onorevole scolaro' e 'Tutti gli uomini di Smiley', vengono portati in tv e al cinema con Gary Oldman nel ruolo di Smiley. 

Tra gli altri romanzi celebri, 'La tamburina', 'La spia perfetta', 'La casa Russia', 'Il direttore di notte', diventato di recente un serial di successo (con il titolo originale The Night Manager) con Tom Hiddleston e Hugh Laurie

Con la fine della Guerra Fredda nel 1991, Le Carre' mette alla berlina nelle sue opere gli eccessi del nuovo ordine mondiale costruito sulle rovine del muro di Berlino: mafia, traffico di armi e droga, riciclaggio di denaro e terrorismo. 

Sono gli anni di 'Il sarto di Panama' e 'Il giardiniere tenace', approdato anche al cinema, che denuncia gli abusi delle multinazionali farmaceutiche in Kenya. 'Il nostro traditore tipo' e 'Una verita' delicata' tracciano una satira feroce dei padroni del mondo e delle manovre costruite nei salotti di ambasciate, ministeri e banche. 

Negli ultimi Le Carre' ha scelto una vita ritirata, tra Cornovaglia e Hampstead. Sposato due volte, ha avuto quattro figli e tredici nipoti. 

Nel 2011 ha lasciato in eredita' tutti i suoi archivi alla Bodley Library, fondata all'inizio del XVII secolo a Oxford, dove ha studiato lingue negli anni '50. "Per Smiley, come per me, Oxford e' la nostra casa spirituale", spiega. "E mentre ho il massimo rispetto per le universita' americane, la Bodley Library e' il luogo dove riposerei il piu' felice possibile". 

"John Le Carre' e' scomparso a 89 anni. Questo anno terribile ha portato via un gigante della letteratura e uno spirito umanitario". Cosi' lo scrittore americano Stephen King ha reso omaggio su Twitter, all'autore di La spia che venne del freddo. 



11/12/20

Libro del Giorno: "Il libro del riso e dell'oblio" di Milan Kundera

 


E' un esperimento interessante quello di rileggere oggi i primi romanzi di Milan Kundera - e in particolare questo, uscito per la prima volta nel 1978, più di quarant'anni dopo. 

Come è noto, Kundera, nato a Brno, nell'allora Cecoslovacchia (attualmente in Repubblica Ceca), il 1º aprile del 1929, venne colpito in occidente da improvvisa e roboante popolarità dopo la pubblicazione del suo romanzo L'insostenibile leggerezza dell'essere, nel 1985 (in Italia da Adelphi). 

In un periodo storico di enorme interesse, in Occidente, per la Cortina di Ferro che stava per essere rottamata dalla Storia di lì a poco (crollo del Muro di Berlino, 1989), i romanzi di Kundera aprirono uno squarcio accessibile a tutti sulla vita e le sofferenze in uno dei paesi invasi dai sovietici, in questo caso la Cecoslovacchia, la cui effimera Primavera di Praga nel 1968 era stata soffocata dall'arrivo dei carri armati russi. 

Kundera, che nel frattempo nel 1975 era emigrato in Francia, a Parigi (riuscì poi a ottenere la cittadinanza francese nel 1981 grazie all'interessamento personale del presidente francese François Mitterrand) divenne così letto che le case editrici occidentali si affrettarono a pubblicare tutti i suoi romanzi precedenti a quello, scritti ovviamente nella sua lingua, il ceco, e esattamente: Lo scherzo (Žert, 1967); Il valzer degli addii (Valčík na rozloučenou, 1972); La vita è altrove (Život je jinde, 1973);  e per l'appunto, Il libro del riso e dell'oblio (Kniha smíchu a zapomnění, 1978) che fu tradotto da Serena Vitale per Bompiani nel 1980 e successivamente ristampato da Adelphi nel 1991.

L'ammirazione grande per questi primi romanzi, scoperti in occidente, portarono così la critica (e anche il pubblico) a distinguere nettamente l'opera di Kundera antecedente all'esilio (il cosiddetto periodo ceco), dall'opera seguente quando Kundera cominciò, a partire dal romanzo La lentezza (1995) a scrivere in lingua francese e non più in ceco. 

La critica internazionale, che era stata entusiasta e ammirata per i romanzi della prima fase, cominciò a stemperarsi, a raffreddarsi nei confronti del "Kundera francese", ancor maggiormente quando nel 2008 fu rinvenuto un documento a Praga negli archivi della Polizia e ritenuto attendibile, che testimoniava di una delazione da parte del futuro scrittore, nel 1950, nei confronti di un ventenne impegnato in un'ingenua operazione di "spionaggio" tra Germania Ovest e Cecoslovacchia; il giovane venne poi condannato a 22 anni di lavori forzati. Kundera ha sempre negato ogni responsabilità nella vicenda, che però ha continuato a pesare molto sulla sua immagine pubblica e probabilmente ne ha anche compromesso le sue chances di approdare al Nobel per la letteratura. 

Oggi che Kundera ha 91 anni e che è lontano da ogni polemica letteraria è allora forse il momento giusto per rivalutare con più freddezza il patrimonio letterario che ci ha consegnato. 

E' noto che il padre di Kundera Ludvík (1891-1971) fu direttore dell'Accademia musicale di Brno, la JAMU, e un noto pianista. Fin da piccolo Kundera studiò musica, in particolare pianoforte, e la passione per la musica tornerà spesso nei suoi testi letterari, in particolare in questo Il libro del riso e dell'oblio, che si conferma un grande romanzo del novecento europeo. Scritto all'indomani del suo arrivo a Parigi, e finalmente libero dunque, di esprimersi con maggiore crudezza sul regime politico del suo paese, dal quale si era allontanato, il romanzo è un affresco composito, o meglio ancora, come scrive Kundera stesso nelle pagine, un corpus di "variazioni" su un tema, esattamente come avviene in musica classica. 

Come scrisse lo stesso autore, qualche anno più tardi: «Nel Libro del riso e dell’oblio, la coerenza dell’insieme è data unicamente dall’unicità di alcuni temi (e motivi), con le loro variazioni. È un romanzo, questo? Io credo di sì»

E lo stesso vale per i numerosissimi lettori che questo libro ha avuto dal 1979 a oggi e che vi hanno riconosciuto una delle più audaci imprese letterarie del nostro tempo: un «romanzo in forma di variazioni». 

Cambiano totalmente i personaggi e le situazioni, in ciascuna delle sette parti in cui (come d’obbligo in Kundera) il libro si divide.

Ciascuna è autosufficiente – e tutte si susseguono «come le diverse tappe di un viaggio che ci conduce all’interno di un tema, all’interno di un pensiero, all’interno di una sola e unica situazione la cui comprensione, per me, si perde nell’immensità». Su tutto, un gesto si mostra con peculiare insistenza: il tentativo di sottrarsi alla cancellazione di ciò che è avvenuto. Come dice un personaggio del romanzo: «la lotta dell’uomo contro il potere è la lotta della memoria contro l’oblio».

E' questo il tema del romanzo, ed è questo che resta intatto dopo 42 anni. Esattamente come la protagonista, la giovane Tamina, che ha perso il marito, e che ritorna nelle diverse parti del libro, il compito di Kundera è quello di non disperdere la memoria, anzi, di rendere la memoria un compito di sopravvivenza.  Seppure nella piena consapevolezza che alla fine è proprio grazie all'oblio, alla leggerezza di cui parlerà molto nel romanzo seguente, al riso dell'ironia che questa vita diventerà sopportabile, anche nella tragedia della perdita, nella circostanza della sconfitta, che ha segnato l'esistenza nella sua parte più autentica, quella della gioventù.

Fabrizio Falconi - 2020

Milan Kundera 

Il libro del riso e dell’oblio 

Traduzione di Alessandra Mura 

Fabula, 51 1991, 3ª ediz., pp. 273 

 € 24,00 

14/11/20

La grafomania, ovvero l'ossessione di scrivere libri come epidemia di massa - Milan Kundera


 Suona come una profezia questa pagina scritta da Milan Kundera nel lontano 1977, in uno dei suoi romanzi più belli. La profezia di un mondo dove si diffonde sempre più una nuova epidemia: la grafomania di massa. Eccolo:

Questa conversazione mi ha di colpo chiarito la natura dell'attività di scrittore. 

Scriviamo libri perché i nostri figli non si interessano a noi. Ci rivolgiamo al mondo anonimo perché nostra moglie si tura le orecchie quando parliamo. 

... 

La donna che ogni giorno scrive all'amante quattro lettere non è una grafomane, è una donna innamorata. Ma il mio amico che fa le fotocopie delle lettere d'amore che spedisce per poterle un giorno pubblicare è un grafomane. 

La grafomania non è il desiderio di scrivere lettere, diari, cronache di famiglia (cioè scrivere per sé o per le persone a noi più vicine), ma lo scrivere libri (cioè avere un pubblico di lettori sconosciuti).  

In questo caso la passione dell'autista che scrive e quella di Goethe sono identiche. Quello che distingue Goethe dall'autista non è una passione differente, ma un differente risultato della passione. 

La grafomania (l'ossessione di scrivere libri) prende fatalmente le dimensioni di una epidemia di massa quando il progresso di una società raggiunge tre condizioni fondamentali:

1) l'alto livello del benessere generale che permette alla gente di consacrarsi a un'attività inutile;

2) l'altro grado di atomizzazione della vita sociale e il conseguente, generale isolamento degli individui;

3) la radicale mancanza di grandi cambiamenti sociali nella vita sociale della nazione (da questo punto di vista, mi sembra sintomatico che in Francia, dove non succede assolutamente nulla, la percentuale degli scrittori sia ventun volte maggiore di quella di Israele. Del resto Bibi si è espressa benissimo quando ha detto che, "visto dal di fuori" non ha vissuto nulla.  E' proprio questa assenza di contenuto vitale, è questo vuoto il motore che spinge a scrivere). 

Ma l'effetto si ripercuote di ritorno sulla causa.  L'isolamento generale crea la grafomania, ma la grafomania di massa generalizza e aggrava a sua volta quell'isolamento.  

L'invenzione della stampa permise un tempo agli uomini di comprendersi a vicenda.  Nell'epoca della grafomania universale, il fatto di scrivere libri assume un significato completamente opposto: ognuno si circonda dei propri segni come di un muro di specchi che non lascia filtrare alcuna voce all'esterno. 

Tratto da: Milan Kundera, Il libro del riso e dell'oblio, Bompiani 1980, traduzione di Serena Vitale, pagg.101 e 102


11/11/20

La mania di scrivere libri (che nessuno leggerà) - Milan Kundera

 


Suona come una profezia questa pagina scritta da Milan Kundera nel lontano 1977, in uno dei suoi romanzi più belli. La profezia di un mondo sempre più sordo, dove tutti scrivono e nessuno legge. Eccolo:

Chi scrive libri è tutto (un universo unico per se stesso e per gli altri) o nulla.  E siccome a nessuno sarà mai dato di essere tutto, tutti noi che scriviamo libri siamo nulla.

Siamo sottovalutati, gelosi, feriti e ci auguriamo la morte dell'altro. In questo siamo tutti uguali: Banaka, Bibi, io, Goethe. 

L'irresistibile aumento della grafomania tra uomini politici, autisti di taxi, partorienti, amanti, assassini, ladri, prostitute, prefetti, medici e malati mi dimostra che ogni uomo, senza eccezione, porta in sé lo scrittore come sua potenzialità.  Tutta la specie umana potrebbe a buon diritto scendere in strada e gridare: siamo tutti scrittori!

Poiché tutti soffrono all'idea di scomparire senza essere stati visti, né uditi in un universo indifferente e vogliono, finché c'è ancora tempo, trasformare se stessi in un universo di parole. 

E il giorno (vicino) in cui dentro ogni uomo si sveglierà lo scrittore, saranno tempi di sordità e incomprensione generali. 

Tratto da: Milan Kundera, Il libro del riso e dell'oblio, Bompiani 1980, traduzione di Serena Vitale, pag.116


22/09/20

Il misterioso viaggio di Fellini in Messico e l'incontro con il mito Castaneda


Lo scrittore Andrea De Carlo, 67 anni, parla sul Venerdì di Repubblica di Federico Fellini, rivelando particolari inediti del famoso viaggio, compiuto insieme al grande maestro riminese in Messico, sulle tracce di Castaneda.

Fellini aveva chiamato De Carlo come aiuto regista sul set de La Nave Va, nel 1983, e l'amicizia tra i due era culminata nel viaggio messicano che Fellini voleva fortemente compiere sull'onda delle suggestioni esoteriche che aleggiavano intorno a Carlos Castaneda, scrittore di origini peruviane, trasferitosi negli USA e poi in Messico, personaggio fantomatico e inafferrabile, letterato eclettico e iniziato allo sciamanesimo mesoamericano.
Il viaggio si rivelò, come prevedibile, un fallimento: Castaneda dopo un paio di brevi incontri, si dileguò, rendendosi irrintracciabile come era il suo stile: non solo. Nell'albergo dove dormivano Fellini e De Carlo, all'indirizzo del regista cominciarono ad arrivare messaggi misteriosi e minacciosi.
Racconta oggi De Carlo: "C'è Frank Horton, un giornalista americano, che ha ricostruito la storia; secondo lui fu proprio Castaneda a organizzare le minacce per troncare il progetto (di un film sceneggiato proprio da Castaneda e girato da Fellini). Chissà. Certo fu l'incontro tra due grandi bugiardi affascinati dell'esoterico, in un momento critico della carriera di tutti e due."
Al ritorno dal Messico, l'amicizia tra De Carlo e Fellini si incrinò quando lo scrittore decise di scrivere un romanzo, "Yucatan" ispirato a questo viaggio, "bruciando" di fatto l'idea di Fellini, che non glielo perdonò.
Il film comunque, secondo De Carlo, difficilmente si sarebbe realizzato: " Fellini era troppo inquietato da tutta la storia. A Chichen Itzà, camminando intorno a quelle piramidi maya, dove un tempo si svolgevano sacrifici umani, e il sangue colava dalle gradinate di pietra, era sconvolto.
In lui c'era anche l'umiltà che incontri solo negli artisti veri, di chi sa che rispetto ai misteri dell'universo non siamo nulla. In quel viaggio non era giovane, non era in forma, forse fu l'episodio di maggior coraggio fisico della sua vita. Prendere l'aereo, arrivare a Cancùn, girare in jeep seguendo indicazioni misteriose..."
Insomma, sarebbe bello ricostruire per bene, un giorno questo viaggio. La cosa ancor più sorprendente - e in perfetto climax con la vicenda e con il personaggio di Castaneda - è che non esiste una sola foto pubblica di questo viaggio, e di Fellini in Messico (io almeno non sono riuscito a trovarla).

Fabrizio Falconi - 2020