Dieci grandi anime. 9 . Etty Hillesum (2./)
Ma – prosegue
nella ricostruzione Klaas A.D. Smelik – la pubblicazione a parte di due lettere
che Etty aveva scritto da Westerbork, lo incoraggiò a non demordere. Arrivò
così l’incontro, nel 1979, con l'editore J.G. Gaarlandt. Nel frattempo il padre di Klaas era
morto. L’editore diede ordine di far trascrivere i diari – la
calligrafia di Etty era pessima – e procedette alla pubblicazione di tutti,
tranne due – quelli contrassegnati con il n.6 ed il n.7 che nel frattempo erano
scomparsi. Presentata nel 1981,
l’antologia ebbe un successo immediato, enorme.
In poco tempo si consumarono diciotto ristampe e traduzioni in
Inghilterra, Stati Uniti, Italia, Spagna, Brasile, Svezia, Norvegia, Danimarca,
Finlandia, Israele e Giappone.
Nel frattempo era anche
‘miracolosamente’ tornato alla luce il sesto quaderno – il settimo è a
tutt’oggi introvabile – ed era stata istituita, il 17 ottobre 1983, la Fondazione Etty
Hillesum che si è impegnata in questi anni in un prodigioso recupero dei testi
originali, di quelli mancanti – con il ritrovamento di venti lettere indirizzata
all’amico Osias Korman, detenuto anche lui a Westerbork (4) – nella
pubblicazione di un’edizione integrale dell’opera, critico-scientifica, accessibile a tutti, e nella ricerca dei testimoni, di tutte quelle
persone ancora in vita che ebbero occasione di conoscere Etty Hillesum.
Leggere di queste traversie che accompagnarono la pubblicazione delle
lettere e dei diari – durate 40 anni –
prima che un editore si rendesse conto della eccezionalità assoluta degli
scritti che gli erano capitata tra le mani, lascia solo in parte stupefatti: le pagine di Etty Hillesum, infatti, anche se
destinate a tutti, a ogni potenziale lettore, non sono mai facili.
Etty era quella che si definirebbe infatti, una anima inquieta. Sempre in bilico, sempre alla ricerca di un
equilibrio tra stati di profonda e introspettiva sofferenza ed estasi
improvvise, tra illuminazioni maturate al termine di impietosi percorsi di
autoconoscenza e autoanalisi e cedimento o volontario abbandono al dominio dei sensi.
Un po’ di questa inquietudine l’aveva forse ereditata dallo spirito
russo della madre, Rebecca Bernstein, nata nella provincia del Potsjeb nel
1881, e finita in Olanda a seguito del pogrom del 1907.
Ad Amsterdam cinque anni dopo, nel 1912 aveva
sposato Louis (Levi) Hillesum, anche lui ebreo, insegnante liceale. Dal matrimonio erano nati tre figli, la
primogenita Etty, nel 1914, e poi i due maschi Jacob (Jaap) nato due anni dopo
e Misha nato nel 1920. Una intera
famiglia che fu spazzata via dal nazismo.
Insieme ad Etty, nel lager di Auschwitz trovarono infatti la morte i
genitori e il più piccolo Misha. A Jacob toccò invece l’amaro destino di
sopravvivere loro, scampando al viaggio verso il campo di concentramento, e di
morire dopo la liberazione, nell’aprile del 1945, durante il viaggio di ritorno
a casa.
Una inquietudine, quella di Etty, che risulta dichiarata in modo quasi
programmatico in un passo di una sua lettera: Io credo che nella vita si possa ricavare qualcosa di positivo in tutte
le circostanze, ma che si abbia il diritto di affermarlo solo se personalmente
non si sfugge alle circostanze peggiori. (5)
Dichiarazione che costerà ad Etty una fedeltà totale al suo destino, fino
al consapevole sacrificio finale. Quella
fedeltà che gli farà scrivere, in una delle ultime lettere dalla prigionia di
Westerbork, quando ormai è imminente la partenza per Auschwitz: La vita qui non consuma troppo le mie forze
più profonde. Fisicamente forse si è un po’ giù e spesso si è immensamente
tristi, ma il nostro nucleo interiore diventa sempre più forte (6). E ancora:
Una volta è un Hitler, un’altra è
Ivan il Terribile; per quanto mi riguarda; in un caso è la rassegnazione, in un
altro sono le guerre, o la peste e i terremoti e la carestia. Quel che conta in
definitiva è come si sopporta, e risolve il dolore, e se si riesce a mantenere
intatto un pezzetto della propria anima. (7)
Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata.
4. Korman, ebreo di origine polacca, ha a
sua volta una storia straordinaria: fu
infatti uno dei passeggeri della Saint Louis, la nave salpata dal porto di
Amburgo il 13 maggio del 1939 con
destinazione L' Avana e con 936 ebrei tedeschi in fuga dalla Germania. Il
rifiuto delle autorità cubane e poi di quelle statunitensi di accogliere i
rifugiati costrinse il comandante a tornare in Europa. Osias Korman, quattro
anni dopo finì a Westerbork. In una lettera a lui indirizzata Etty scrive: L'unica cosa che si può fare è di lasciare scaturire in ogni direzione
quel po’ di buono che si ha in sè. Tutto il resto viene dopo. Se Osias
sopravvisse alla difficile esistenza nel campo di transito, fu anche grazie a
Etty.
5. Etty Hillesum, Lettere (1942-1943), a cura
di Chiara Passanti, prefazione di Jan G.Gaarlandt, Adelphi, 1990, pag. 27.
6. E. Hillesum, Lettere, Op.cit. p.88
7. Etty Hillesum, Diario (1941-1943), a cura
di J.G. Gaarlandt, Adelphi, 1985 pag.
161.
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