L’eretico
Conte Cagliostro e il rogo di libri maledetti a Santa Maria Sopra Minerva
Uno dei personaggi più controversi del Settecento fu sicuramente quel Giuseppe Balsamo, palermitano, passato alla storia con il ben più famoso appellativo di Conte di Cagliostro.
La storia di Cagliostro a Roma nasce quando
Giuseppe – alias Alessandro, come scelse di chiamarsi in seguito il sedicente
Conte – sposò Lorenza, la figlia analfabeta e a quanto pare bellissima di un
orafo. Il matrimonio si consumò nel giorno dell’anniversario della fondazione
di Roma – il 21 aprile del 1768 - in una
storica chiesa del rione Regola: San Salvatore in Campo.
Cagliostro all’epoca aveva venticinque anni, ma si era già lasciato alle spalle un passato turbinoso fatto di fughe,
ribellioni, piccole truffe che dalla sua Sicilia lo avevano poi portato, dopo viaggi
avventurosi, a Roma. Qui l’intraprendente giovane aveva aperto una
fiorente bottega di falsario (i documenti erano la sua specializzazione) al
Vicolo delle Grotte, sempre in quel quartiere della Regola, a due passi da Via
dei Giubbonari.
A Roma, il
futuro Conte di Cagliostro non si fece certo passare inosservato: venne arrestato
per una rissa scoppiata in una taberna al Pantheon, e dopo qualche giorno venne rilasciato
soltanto grazie all’interessamento di un amico che svolgeva le mansioni di
maggiordomo in una delle case più importanti di Roma, quella abitata dal
Cardinale Orsini
Lorenza e Giuseppe, sposandosi, stipularono una
specie di patto di sangue che li portò nel giro di un trentennio a sconquassare le nobili corti di mezza
Europa: lui imbastendo improbabili traffici, stregonerie, guarigioni
miracolose, pseudo artifici alchemici,
riti esoterici, che gli guadagnarono la fama del più grande furfante del
secolo, lei mettendo a disposizione le sue arti amatorie per sedurre e
ammorbidire mecenati, conti (veri) e marchesi, ricchi gentiluomini, e farli
diventare strumenti in mano all’ingegnoso e mai domo marito. E ciò ovunque: nel
nord Italia – a Bergamo vengono arrestati e poi rilasciati – in Francia, Spagna, a Lisbona, Londra, e ancora in Francia,
Belgio, Germania, Malta, Olanda, Lettonia, San Pietroburgo. Non c’è angolo della
vecchia Europa che non li veda protagonisti di qualche intrigo, di qualche
teatrale messinscena, di qualche fuga rocambolesca, magari seguita ad un
arresto, di qualche scandalo sessuale.
Giuseppe,
chimico e ipnotizzatore, inventore e alchimista, trasforma anche la sua
identità: comincia a farsi chiamare Alessandro e si inventa il titolo di Conte
di Cagliostro. Conosce le grandi personalità del secolo, da Casanova ai sovrani
di Francia e di Russia, si mette in testa anche l’idea di fondare un nuovo rito
massonico egizio che pretende addirittura sia riconosciuto dal papa, organizza
la clamorosa truffa della collana ai danni della Regina Maria Antonietta,
finisce nuovamente in carcere, alla Bastiglia, quattro anni prima della
Rivoluzione Francese, da cui riesce ad uscire grazie all’intervento dei
migliori avvocati del Paese che perorano la sua causa presso il Parlamento.
Ma anche dalla Bastiglia, Cagliostro riesce a
fuggire. Ripara a Londra, e per la prima volta Lorenza comincia a prendere le
distanze da quell’uomo impossibile, fosco e tiranno.
Qualche anno più tardi, quando Giuseppe si presenta
di nuovo a Roma con un prezioso salvacondotto predisposto per lui dal potente
principe di Trento, Pietro Virgilio Thun, il vero scopo di Cagliostro è quello
di ottenere udienza dal papa e di riuscire nell’intento folle di ottenere il
suo riconoscimento dell’ordine egizio da lui fondato.
A Roma comunque Cagliostro ricevette la massima attenzione
dai circoli massonici dell’epoca (frequentati in gran parte da diplomatici
stranieri) e in particolare dai Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme che
avevano la loro sede a Villa Malta, nell’odierno quartiere pinciano.
A Villa Malta Cagliostro diede spettacolo:
organizzando sedute massoniche, dando prova delle sue doti di medium e di
veggente, convertendo nuovi adepti al neo ordine da lui fondato.
Questi movimenti però non passarono inosservati agli
emissari della Inquisizione, nei cui ambienti si sospettava fortemente che
Cagliostro fosse un agente segreto (o un commissario mandato dagli Illuminati
di Weishaupt) inviato nella capitale per sobillare le migliaia di massoni che,
nascosti, attendevano un segnale per ribellarsi al potere papale.
Non contento, nello studio del pittore francese
Augustin Belle, Cagliostro allestì una specie di tempio della sua nuova
religione: una stanza completamente ricoperta di drappi neri, e ornata di
colonne e simboli massonici, nella quale venivano compiuti i riti di
iniziazione.
Ed è a questo punto della vicenda, nel settembre del
1789, quando il conte si sente ormai spiato e seguito ovunque, che Lorenza
rompe gli indugi e lo denuncia ad un chierico, parroco della chiesa di Santa
Caterina della Rota, a due passi dalla sua casa avita.
La denuncia viene immediatamente spedita al temibile
Sant’Uffizio. Lorenza, in un estremo empito di pentimento si rifiuta di
firmarla, ma ormai è troppo tardi; le autorità pontificie hanno già deciso la
sorte del Conte: bisogna mettere fine alla sua pericolosa intraprendenza, alle
sue scandalose e oscure trame.
Il 27 dicembre di quell’anno il Papa (Pio VI) firmò l’istanza
speciale per l’arresto di Cagliostro e un manipolo di soldati pontifici fece
irruzione negli alloggi del pittore Belle e prese il Conte in flagranza di
reato, incatenandolo e portandolo a Castel Sant’Angelo.
Le accuse contenute dalla denuncia della moglie e
quelle derivate dagli stessi scritti del Conte, sequestrati, oltre che le
delazioni dei molti nemici, causarono al Conte l’imputazione per reati
gravissimi che andavano dall’eresia alla pratica di magia nera, al falso contro
la Chiesa.
Per scongiurare il pericolo di una nuova fuga, venne
raddoppiata la guardia alle segrete di Castel Sant’Angelo, dove Cagliostro era
detenuto in totale isolamento.
Nel processo di fronte al Sant’Uffizio l’imputato
viene anche coinvolto in dispute teologiche delle quali egli non poteva minimamente
disquisire.
Cagliostro fu interrogato, nel corso di un anno, per
ben quarantatre volte e torturato a fuoco dagli inquisitori.
La sua rovina era ormai completa, e il Conte cercò di
difendersi in ogni modo riversando ogni
colpa sulla moglie, e sui suoi costumi licenziosi, e giunse fino al punto di scrivere
direttamente al Papa, negando ogni accusa di massoneria e chiedendo la
grazia.
Ma la sentenza, pronunciata il 21 marzo 1791 fu di
colpevolezza, con la pena prescritta per eretici, eresiarchi e maestri di magia
nera, ovvero il rogo.
Pio VI però, per evitare di trasformare il truffatore
in un martire, decise di trasformare la sentenza di morte in ergastolo. Il frate cappuccino Fra’ Giuseppe di San
Maurizio, ritenuto corresponsabile (si era fatto convincere ad aderire alla
società massonica dal Conte) viene condannato a dieci anni, mentre una
assoluzione piena viene dispensata a Lorenza, la cui testimonianza è stata
decisiva per l’arresto e la condanna del furfante.
I documenti del processo però sono rimasti segreti per
secoli e gli archivi del Vaticano non hanno mai messo a disposizione i
documenti: quel che sembra certo è che il Conte arrivò anche a confessare un
incontro segreto con gli Illuminati di Weishaupt allo scopo di convertire la
massoneria francese alla nuova causa.
Per umiliare in pubblico Cagliostro, fu deciso di
costringere il condannato a camminare scalzo e con abiti laceri, tenendo una
candela tra le mani, tra due file di monaci, lungo le vie di Roma, da Castel
Sant’Angelo e fino a Santa Maria sopra Minerva, la chiesa sorta sui resti del
tempio romano dedicato ad Iside. Giunto
nel sacro edificio, Cagliostro fu obbligato ad inginocchiarsi di fronte
all’altare e a rendere pubblica abiura delle sue eresie.
Poi, in piazza, proprio di fronte all’Obelisco – il
cosiddetto Pulcino della Minerva – fu
dato alle fiamme il manoscritto di Cagliostro, nel quale enunciava i principi
del suo nuovo Ordine, gli altri testi (andati perduti) e tutti gli emblemi
massonici sequestrati nel Tempio del
pittore Belle.
Questo rito fu particolarmente simbolico: l’Ordine di
Cagliostro, tutto fondato sui crismi della sapienza massonica egizia, veniva
eloquentemente distrutto proprio nel luogo di Roma che ricordava più da vicino
i contenuti del paganesimo orientale-egizio.
Dopo l’umiliazione pubblica, il Conte venne
trasferito a piedi (e al buio, temendo che la presenza del noto prigioniero
fosse notata da qualcuno), nella fortezza di San Leo, in cima alle montagne di
Montefeltro, la prigione più malfamata d’Italia, dove i detenuti si diceva
impazzissero: la cella a lui destinata fu il terribile Pozzetto, un cilindro di
pietra sprovvisto di porta (il detenuto venne calato da una fessura in alto),
con una sola misera feritoia e un nudo letto di paglia.
Qui, in questa oscura e spaventosa prigionia,
Cagliostro trascorse gli ultimi cinque anni di vita, in un alternarsi di crisi
mistiche ed estatiche (durante le quali finirà perfino nel credersi un santo,
mandato sulla Terra per convertire gli infedeli), deliri disperati, e una
febbrile attività di pittura delle pareti della sua stessa cella, con immagini
sacre, e autoritratti.
Nel giugno del 1795 riuscì a diffondere il suo ultimo
annuncio profetico: “Sarò l’ultima vittima dell’Inquisizione, perché quando
raggiungerò l’aldilà pregherò talmente tanto che su questa terra ci sarà un
nuovo Ordine.”
Morì il 26 agosto del
Quel che la leggenda tramanda è che nel dicembre del
1797 la fortezza di San Leo fu occupata dai soldati della legione polacca della
repubblica cisalpina di Napoleone. Liberati tutti i prigionieri, i soldati si
misero alla ricerca della sepoltura di Cagliostro, la cui fama continuava a
propagarsi in tutta Europa, anche post-mortem,
e trovato il suo teschio, lo usarono
come coppa per bere il vino.
Qualche tempo dopo, quando le truppe francesi del
generale Massena fecero irruzione a Roma, a Castel Sant’Angelo scoprirono un
misterioso manoscritto sequestrato a Cagliostro il giorno del suo arresto: un
prezioso testo, decifrato nel XX secolo che conteneva e descriveva un rituale
autentico della Confraternita dei Rosacroce, opera si disse, del Conte di
Saint-Germain, pieno di riferimenti alchimistici e cabalistici.
Circostanza che alimentò a lungo la fama oscura del Conte e la leggenda del suo fantasma: di Cagliostro si continuerà a sostenere per decenni che il Pozzetto di San Leo non fu affatto la sua ultima dimora terrena, e che egli invece, riuscito a fuggire travestendosi con il saio del frate, venuto per confessarlo e ucciso a mani nude, continuò ad imperversare a lungo, sotto mentite spoglie, nelle corti nobili di Roma. Ma di questo, ovviamente non v’è alcuna prova documentale.
Tratto da Fabrizio Falconi - Roma Segreta e Misteriosa, Newton Compton, 2015
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