Quando il grande regista russo Andrej Tarkovskij, esule dal suo paese, nei
primi anni ’80 girava per l’Italia accompagnato dall’amico Tonino Guerra, alla
ricerca di luoghi ideali dove ambientare il suo nuovo film – quello che si
chiamava Nostalghia, vero e proprio
atto d’amore per il suo paese forzosamente abbandonato – restò folgorato dalla
campagna senese e in particolare da quello spettrale monumento che si erige a
pochi chilometri da Chiusdino: l’Abbazia di San Galgano.
Confessò a Guerra che quella antica basilica in rovina, rimasta senza
copertura, immersa nella brughiera, invasa dalle nebbie autunnali, gli
ricordava i paesaggi misteriosi del suo paese.
A San Galgano, dunque – dopo aver ambientato la famosa sequenza della passeggiata esoterica del pazzo con la candela in mano nella vasca vuota di Bagno Vignoni – Tarkovskij dedicò l’ultima scena del suo film.
fotogramma da Nostalghia di Andrej Tarkovskij, 1983
Prima di lui, nel 1962, quel luogo aveva stregato anche Roger Vadim, che
l’aveva utilizzato anch’egli per l’ultima scena del suo film, Il riposo del guerriero, quando sullo
sfondo della grande Abbazia volteggiano nell’aria i biondi capelli di Brigitte
Bardot.
Il fascino di San Galgano e della sua Abbazia, oramai così diffuso, non è però legato alle celebrazioni tributate da film anche illustri: affonda piuttosto le sue radici in nove secoli di storia, in vicende molto complesse e difficili per noi da decifrare, legate alle vicende di un Santo minore di cui sappiamo molto poco e la cui notorietà è di gran lunga legata al mito di una spada nella roccia, ancora esistente– apparentemente conficcata nello stesso punto da 900 anni – e custodita sotto una teca di vetro, all’interno della cosiddetta Rotonda di Montesiepi, la cappella adiacente all’Abbazia, dedicata a San Galgano, ed edificata nel luogo esatto dove si ritirò e morì nell’anno 1181.
Ma chi era Galgano ? Perché il suo nome è legato a quello di una spada nella roccia ? E in quale modo questa storia è legata al mito celtico di Artù e di Lancillotto ?
Dovremo scoprirlo anche per capire per quale motivo all’eremo e alla grande Abbazia a cielo aperto, siano legate molte credenze, molti elementi misteriosi, come fili intrecciati di un’unica grande storia che parla di montagne sacre, di centri del mondo, di cammini iniziatici di consapevolezza alla ricerca di un altrove, di un oltre, di un contatto con le forze nascoste del Cielo.
Tutto quello che sappiamo di certo riguardo la vita di Galgano Guidotti è quello che ci è pervenuto attraverso gli atti dell’inquisitio del 1185: deposizioni di testimoni che di fronte a delegati pontifici permisero di ricostruire la vita e le opere dell’uomo, facendogli meritare l’elevazione alla gloria degli altari.
Oltre a questi preziosi documenti esiste ben poco di certo, soltanto racconti agiografici che magnificano imprese più o meno mirabolanti del Santo e che si diffusero lungamente in epoca medievale.
Ricapitolando, Galgano Guidotti nacque intorno al
La sua vicenda però si interruppe in modo simile a quella di altri santi
medievali, compreso lo stesso San Francesco di Assisi, con una chiamata
mistico-religiosa, che per Galgano si manifestò sotto forma di diverse visiones, che ebbero per protagonista
l’arcangelo Michele. Nella prima, a
Galgano veniva richiesto di lasciare i genitori e di abbandonare la vocazione
cavalleresca. La seconda – un grande sogno – sta invece all’origine
dello stesso mito della spada nella roccia.
L’arcangelo, stavolta, gli fa strada, lo conduce presso un grande fiume,
sormontato da un ponte, oltrepassato il quale gli appare un prato fiorito prima
e una specie di profonda grotta, poi, che lo conduce miracolosamente in un
luogo sconosciuto – scoprirà dopo essere proprio la collina di Montesiepi - dove
a Galgano appaiono i dodici apostoli seduti in domo rotunda, all’interno di una casa rotonda. Gli apostoli si dispongono a cerchio intorno
a lui e gli offrono un libro aperto, che Galgano non riesce a decifrare.
Dopodiché, con un grande boato, gli si manifesta la Maestà divina che gli
ordina di costruire in quel preciso luogo una casa in onore di Dio, della beata
Maria, di San Michele Arcangelo e dei Dodici Apostoli.
Dopo il sogno, Galgano vaga alla ricerca del posto dove lo ha condotto l’Arcangelo durante la visione, e lo trova quando il suo cavallo – che si rifiutava di obbedirgli – lo conduce proprio a Montesiepi.
Galgano si ferma, scende da cavallo, si inginocchia. E qui compie quel gesto che darà origine alla leggenda.
Ha l’idea di farsi una croce di legno e di impiantarla proprio in quel luogo, ma non trova il necessario.
Decide allora di piantarvi la spada. E l’arma si conficca così bene nel terreno – con l’elsa che disegna una croce perfetta nell’aria – che né Galgano, né nessun altro riesce più ad estrarla.
E’ la conversio dell’ipotetico
cavaliere, che rinuncia a tutto e decide, da quel momento di vivere e
trasformare quel luogo nella domus
che la Maestà divina gli ha indicato.
Su questa base storica – Galgano come abbiamo visto muore nel 1181 - si sviluppa la leggenda alimentata poi dall’agiografia dei monaci cistercensi che nei pressi dell’eremo di Montesiepi decidono di costruire, nel 1220, la grande Abbazia, sul modello di quella fondata da Bernardo da Chiaravalle ai piedi delle Ardenne in Francia, a sua volta ispirata da quella di Citeaux.
La Cappella costruita sull’eremo di Montesiepi, invece, seguirà fedelmente
il sogno di Galgano: un cerchio, una rotonda,
con al suo centro il punto esatto della visione divina, dove è stata piantata
la spada nella roccia, che diventa un asse cosmico, un centro del mondo che “pone in comunicazione le tre aree cosmiche:
terra, cielo e quella sorta di inferi costituiti
dalla sottostante caverna che Galgano ha attraversato.” (1)
1.
F. Cardini, San Galgano e la spada nella roccia, Cantagalli, Siena, 2000, pag. 100.
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