Fonte di saggezza popolare ripete che si invecchia quando si smette di innamorarsi. Cioè, non si riesce più. Soltanto ampliando lo sguardo, si dovrebbe ammettere che si invecchia, e cioè ci si avvicina, preparandosi, alla morte, quando si smette di meravigliarsi.
Nulla è infatti più vicino alla meraviglia dell'innamoramento, che della meraviglia è solo una delle manifestazioni.
L'albero rinnova i colori, si piega sotto il peso della pazienza, non smette di credersi legato indissolubilmente alla terra, anche quando muoiono le radici e il legno vecchio si disperde nell'apparente niente che è la dissoluzione degli atomi, degli amminoacidi, delle diverse variazioni chimiche chiamate 'albero'.
Così noi, dovremmo essere capaci di rinnovare i colori. Farci nuovi per il riposo degli uccelli, splendenti per le piogge di giugno, nudi per la paura di gennaio, tenui per l'alba nuova d'autunno, intrepidi per l'ultima primavera che verrà a visitarci.
Lo sguardo è quello che siamo capaci di essere.
Quando tutto è fermo, senti una madida coperta senza vita che avvolge il tuo corpo. Da sotto, uno scheletro insensibile riesce ancora a sentire. Ma nessuna meraviglia viene a risvegliare il tuo sonno.
Vivi da morto, come un morto. E il vecchio adagio direbbe che sei morto anche se vivi, cioè non sopravvivi, anche se sembra che è quello che fai.
La meraviglia scardina come un arpeggio le ossa del tuo scheletro. Quando non vuoi, viene a ricordarti che sei stato vivo, e lo sei, e lo sarai. Dipende, come in ogni cosa creata dall'universo, dalla vibrazione. Sei nato da quella, tornerai ad essere quella, dipendi da quello . Il silenzio, senza di quella, è vuoto. Come non è mai il silenzio.
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