Stewart, versi come atti di fede
Susan Stewart, nata nel 1952 in Pennsylvania, vive tra Filadelfia e a Princeton. Poeta, critico e traduttore, si occupa anche di critica d’arte. Le sono stati conferiti prestigiosi premi come l’Academy Award per la letteratura. Docente di discipline umanistiche, dirige la Society of Fellows in the Liberal Arts alla Princeton University. Conosce e frequenta l’Italia. Ha spesso collaborato con artisti italiani, tra cui Sandro Chia. In Italia ha pubblicato due libri, Columbarium e altre poesie, (Ares 2006) e Red Rover, (Jaca Book 2011), a cura di Maria Cristina Biggio.
Nel Paese di tre grandi maestri del Novecento, gli americani Eliot, Pound e Hart Crane, vediamo con Susan Stewart un filo di continuità con la tradizione forte della poesia, la sua linea incandescente. Anche se, nello specifico, il suo maestro americano riconosciuto è Wallace Stevens, e nel passato la tradizione dei metafisici inglesi del Seicento, una magistrale scuola poetica dove prende forma quello che Eliot, teorizzandolo e battezzandolo, definirà sensuous thought, pensiero percepibile dai sensi. Altezza esplorativa ma concretezza massima dell’espressione. Questa arditezza d’impresa, necessaria alla poesia, tende a venir meno nella prevalente produzione poetica dei poeti statunitensi della seconda metà del secolo appena trascorso, che vede dominare un diffuso minimalismo e spesso un formalismo linguistico fine a se stesso. Non mancano le eccezioni, grazie a Dio, e quella di Susan Stewart è un’eccezione forte, una voce composita e sonante, densa di senso metafisico, immersa nell’osservazione anche microscopica del mondo ma con una prospettiva lucidamente visionaria, trasfigurante. Una visionarietà fredda e catturante, che mette in scena il ruolo conoscitivo della poesia ai suoi livelli più intensi.
Lo sguardo del poeta è capace di ampie visioni storiche e di una critica del potere, dall’impero romano agli Stati Uniti, guardando la realtà dal punto di vista degli umili, della stessa sostanza, potremmo dire, delle "foglie d’erba" di Whitman o della zolla calpestata dalle mandrie in cui William Blake vede l’umiltà eroica della poesia. In Susan Stewart il mondo quotidiano, in cui la natura non è marginale ma onnipresente, si accende di lampeggianti rivelazioni, la vita è svelata in piccoli miracoli ininterrotti, continuamente celati nel mistero, cifra principe della realtà. Una poesia della soglia, continuamente al confine tra umano e divino, visione e meditazione filosofica. Immaginazione e pensiero trovano nella sua opera una formulazione nuova di un binomio cardinale della poesia d’Occidente.
Io parto da una premessa, da poeta. La poesia non è un optional. Ma una necessità. Shelley distingueva tra "poetry", la poesia in assoluto come dimensione, bisogno e mancanza dell’uomo, di ogni uomo, cosciente o inconsapevole, e "poem", la singola opera poetica, il risultato perfetto , opera del poeta, che risponde a tale esigenza. L’opera rispetto a quella che, condivido con Shelley, è una necessità. Anche per lei la poesia è necessaria?
«La poesia è lo strumento di pensiero più bello e capace di cui disponiamo. La bellezza di ogni poesia è costruita sulla musica dei suoi suoni e intervalli misurati, sulla vividezza delle immagini, l’immediatezza e la tessitura del suo eloquio, e la sua evocazione di presenza. Le poesie sono vive, e la loro vita è più lunga di ogni nostra vita individuale. Il pensiero poetico è capiente, perché esalta non solo tutti i nostri poteri mentali (la ragione, l’immaginazione, le memoria e l’emozione insieme), ma anche i nostri ritmi fisici, il battito dei nostri cuori, il ritmo del respiro, gli occhi che si chiudono o si aprono. Nel leggere e scrivere poesia noi portiamo il nostro intero se stesso a significati condivisi. Come forma d’arte, la poesia ha valore in se stessa, il linguaggio attraverso il quale la poesia si compie non si esaurisce nell’esperienza o nei desideri del momento. No, la poesia vive oltre il contesto del suo farsi e la sua storia procede».
Non crede che la poesia sia una sorta di speranza, non formalizzata in quanto tale, quindi più profonda?
«Anche se molti poeti scrivono al tempo futuro, una nozione di anticipazione informa ogni parte del procedimento di scrittura poetica. Noi poeti scriviamo per un pubblico che ci è in gran parte sconosciuto, le nostre liriche o libri di poesia si rivolgono a un mondo fatto in gran parte di stranieri, inclusi i non ancora nati… È un atto di fede. In ultima analisi, la speranza che ci spinge alla poesia è un aspetto della speranza che ci induce a parlare l’un l’altro. Giorno dopo giorno di fatto fiduciosi crediamo di poterci comprendere l’un l’altro. Ma la verità è che noi non possiamo sapere quanto pienamente possiamo essere compresi, credendo ogni cosa intellegibile. Il significato delle poesie continua a crescere e a approfondirsi, le poesie formano attraverso il tempo un grande tesoro sepolto e agognato».
Il Novecento è stato notoriamente il secolo della crisi. È vero. Ma non credo che sia stato solo questo. La poesia proprio nel Novecento mostra e mette in scena, agonicamente, fortissime istanze di rifondazione dell’uomo. Mi domando: non può contribuire a una sua, a una nostra rinascita?
«Quando penso a momenti culturali di rinascita (il sorgere delle città-stato greche, la pace augustea, l’invenzione dell’amor cortese al volgere del primo millennio, il revival classico del tardo Medioevo, il Rinascimento italiano, l’Illuminismo, il Trascendentalismo americano, la rinascita Celtica) penso parimenti a nuove forme e nuovi orientamenti in poesia, perché il vero rinnovamento non sostituisce la tradizione, ma la modifica. Come il grande filosofo napoletano Giambattista Vico affermò, la sapienza poetica, con le sue pratiche creative metamorfosanti e le sue associazioni immaginative, è il fondamento delle istituzioni umane.
Una cultura che ha tempo per la poesia ha tempo per pensare, deliberare, scoprire, e inventare, trovare significati… questi compiti vitali che ci aiutano a determinare il nostro posto nell’universo e il senso della vita. Temo che la nostra attuale tendenza verso una maggiore velocità a scapito della riflessione, una maggiore, cosiddetta, efficienza a scapito di una paziente applicazione, stia causando un danno irrevocabile alla nostra specie, esattamente come la nostra specie ha causato danni irrevocabili al resto del mondo naturale».
Pensa che che esista una relazione tra poesia e religione? Non intendo religione in senso confessionale, ma in quello di "religio", un mettere e tenere insieme elementi altrimenti sparsi e spersi…?
«La poesia ha molti legami storici e formali con la fede e i rituali religiosi. Il mio lavoro specificamente è stato plasmato direttamente dalle mie esperienze d’infanzia: inni, readings e i primi studi delle scritture ebraiche e dei Vangeli. La tradizione giudaico cristiana ha lasciato tracce nell’opera di ogni poeta di rilievo di lingua inglese. Queste influenze appaiono non solo nei metri dominanti in Inghilterra, il metro comune, l’inno, e la ballata, giocano anche un ruolo nelle attitudini verso la metafora e agiscono sullo status e il valore dell’immaginazione. I poeti metafisici del XVII secolo (Crashaw, Donne, Herbert, Marvell, Vaughan e altri) sono una ricca fonte di tecniche poetiche in questo senso, ed essi, insieme con Wallace Stevens, sono state le figure più importanti per la mia pratica di poeta.
Ma devo dire che la relazione tra poesia e religione mi colpisce come realtà universale in un senso più ampio. I poeti sono più spesso di quanto non si immagini motivati da un desiderio e impulso di lode, sia che siano lodando forze sovrumane, la creazione stessa, sia i radianti fenomeni del mondo che li circonda. Un senso di mistero e di sorpresa continua a soffondere l’esperienza dell’ispirazione. E la poesia continua a trovare le sue forme in situazioni di transizione e liminalità. A volte chiediamo sostegno alla poesia in occasione di nascita, matrimonio, e morte. E per molte persone, lettori o scrittori, la poesia offre saggezza e consolazione nei momenti di dolore e sofferenza».
Zero
Traccia un cerchio e inizia a scavare qui.
Non pensare di dover fare uno spazio
per una fondazione, scava proprio come una talpa,
in dentro e in fuori. Dì loro che la tua speranza
va giù in pendenza, che ogni cosa
corre ineluttabile verso l’orizzontale.
Scava ovunque la tua ombra cada, una chiazza
verde illuminata in controluce da un pianeta
ardente - ovunque la tua ombra cada, scava
nella forma della tua ombra che cade.
(traduzione Maria Cristina Biggio
inedito in Italia)
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