Dieci grandi anime. 5. Jiddu Krishnamurti (4 - fine)
Lo
ammise esplicitamente in un lungo colloquio con Mary Lutiens e Mary Zimbalist,
avvenuto nel 1974 a
Brockwood Park, in cui parlò retrospettivamente di sé - in terza persona - e di quello che era accaduto a quel semplice
ragazzo indiano, cui era toccato un destino così particolare:
Il
ragazzo fu trovato, il condizionamento non fece presa – né la Teosofia , né
l’adulazione, né il Maestro del Mondo, le proprietà, le enormi somme di denaro
– niente di questo lo toccò. Perché ? Chi lo ha protetto ?
Tutto questo è sacro. E’ veramente
straordinario il perché questo ragazzo
non sia stato corrotto. Hanno
fatto di tutto per soggiogarmi. Stiamo
provando a toccare un mistero ? Nel momento in cui lo comprendi non è più un
mistero. Ma la sacralità non è un mistero. Noi stiamo cercando di rimuovere il
mistero che conduce alla fonte. (8)
E’ una delle rare volte nelle quali,
sentendosi forse alla fine della vita, Krishamurti ammise di considerarsi una
sorta di eletto. Qualcuno che era
stato scelto per una missione, quella che lui avrebbe considerato una via di
perfezionamento.
Negli ultimi anni prese a definire con
questo termine – l’Altro – l’entità
da cui si sentiva abitato. Abitato fino alla fine. Al punto che cominciò,
quando entrò nella fase finale della malattia che lo avrebbe portato alla
morte, che quell’Altro volesse
abitare un corpo malato, perché non lo lasciava andare, lui che aveva sempre
pensato di potere un giorno ‘scivolare’ nella morte molto più facilmente che
nella vita.
Della personificazione di questo Altro – cioè di quella stessa energia che causava il dolore del processo - parlò
chiaramente quando nell’ottobre del 1985, quattro mesi prima di morire, così
rispose a Mary Zimbalist, che gli chiedeva se si sarebbero rivisti ancora: “ Non
morirò all’improvviso, “ rispose Krishnamurti, “ è tutto deciso da qualcun altro (non qualcos’altro NdA).
Non posso parlarne. Non mi è consentito, capisci ? E’ molto più serio. Ci sono cose che tu non sai. Enormi, e io non
posso dirtele.” (9)
E’ impossibile rendere conto qui della
complessità dell’opera di Krishnamurti, del suo lascito filosofico e
spirituale, che ancora oggi, 25 anni
dopo la sua morte, appare vivo nel mondo. Insieme al mistero riguardante l’origine
di questa conoscenza così profonda, e al mistero più generale della figura di
Krishamurti, della sua esistenza, e della reale portata delle sue esperienze.
Una idea di questa complessità si può
ricavare dalla lettura del Taccuino, che Krishnamurti cominciò a scrivere nel
giugno del 1961 - per sette mesi - come diario quotidiano delle sue percezioni e
dei suoi stati di coscienza. Si tratta di un manoscritto straordinario, anche
dal punto di vista della modo in cui fu redatto: 323 pagine scritte a matita,
senza una sola cancellatura. (10)
Il diario che inizia e finisce senza una
motivazione o una data precisa, è un testo poco legato alle questioni
quotidiano, e denso di riferimenti – apparentemente puramente descrittivi – al
mondo della natura, e al mondo interiore, che per Krishnamurti sono entrambi
veri mondi spirituali.
Nel Taccuino, il 29 luglio del 1961,
Krishnamurti scrisse un piccolo decalogo che forse rappresenta pienamente la summa del suo pensiero di conoscenza
interiore, oltre che una guida pratica, e non puramente utopistica ( non
lontana, per altro, dagli insegnamenti
evangelici), per avvicinarsi alla pienezza di quella immensità che egli sentì
prossima durante tutta la vita, e obiettivo di crescita per ogni essere umano.
Per essere maturi, scriveva Krishnamurti,
è assolutamente necessario che vi siano:
1. completa semplicità che si accompagni a
umiltà, non nelle cose o per quel che riguarda il suo possesso, ma nella
qualità dell’essere;
2.
passione, con una intensità che non è
puramente fisica;
3.
bellezza, non solo sensibilità alla
realtà esteriore, ma l’esser sensibili a quella bellezza che è aldilà al di sopra di pensiero e sentimento;
4. amore; la sua totalità, non quell’amore
che conosce gelosia, attaccamento, dipendenza; non l’amore che viene diviso in
carnale e divino. L’intera immensità dell’amore.
5. e
la mente capace di cercare, di penetrare senza motivo, senza scopo, nelle sue
stesse sconfinate profondità; la mente che non ha barriere, ed è libera di
vagare fuori del tempo-spazio. (11)
Questa maturità, ricercata e descritta in
modo così semplice ed eloquente da Krishnamurti è quella che consente di
percepire a partire dalla contemplazione di un semplice fiore (un fiore sul lato della strada, una cosa
chiara, luminosa, aperta al cielo: il sole, la pioggia, il buio della notte, i
venti, il tuono, la terra hanno preso parte alla creazione di quel fiore. Ma il
fiore non è nessuna di queste cose. E’ l’essenza di tutti i fiori) (12) l’essenza
di tutta la vita, fuori dal tempo e dallo spazio.
Allora anche nella misura di un fiore c’è stata la benedizione, scrive Krishnamurti, insieme a una grande pace.
(4. - fine)
Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata.
8. M. Lutyens, La vita e la morte, op. cit. pag. 174.
9. M. Lutyens, La vita e la morte, op. cit. pag. 219.
10. Il Taccuino
di Krishnamurti è pubblicato, come le altre opere da Ubaldini Editore, Roma,
1980.
11. J. Krishnamurti, Taccuino, op. cit. pag. 31.
12. J.
Krishnamurti, Taccuino, op. cit. pag.
54.
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