20/03/19

Le mille storie della Tomba di Giulietta a Verona - (da "Monumenti Esoterici d'Italia" in ristampa dal prossimo 18 aprile in Libreria)



Torna in tutte le librerie dal prossimo 18 aprile Monumenti Esoterici d'Italia di Fabrizio Falconi, appena ristampato da Newton Compton Editore. 
Riporto uno stralcio di uno dei capitoli, dedicato alla Tomba di Giulietta a Verona. 

D’altro canto è pur vero che molte delle vicende narrate nelle opere di Shakespeare ambientate in Italia erano già note in Inghilterra grazie alla diffusione in quel paese della novellistica italiana. In particolare per quanto riguarda Romeo e Giulietta, la derivazione diretta fu senz’altro quella dalla Historia novellamente ritrovata di due nobili amanti, nella quale nel 1530 il vicentino Luigi da Porto riprendeva la tradizione delle due famiglie in lotta, che risaliva addirittura a Dante e alla Divina Commedia (Purgatorio, canto VI, verso 105), spostandone l’ambientazione da Siena a Verona.  

La versione di Luigi da Porto fu poi consegnata definitivamente alla popolarità dalla rielaborazione che ne fece Matteo Bandello, nelle sue Novelle, pubblicate nel 1554.
La lunga premessa – necessaria – sulla identità reale dell’uomo che scrisse la tragedia e sulle fonti, più o meno misteriose, che la ispirarono, ci porta ora sui luoghi reali della vicenda narrata da Shakespeare e che come abbiamo visto all’inizio del capitolo, sono oggetto del culto e della venerazione degli innamorati ancora oggi.

Se dunque, l’identificazione del Cortile del Palazzo di Giulietta, gode di alcuni argomenti favorevoli, dovuti in particolare alla presenza dello stemma del cappello – che ancora oggi si può scorgere -  sulla chiave di volta dell’arco di entrata del cortile (il cappello rimanderebbe dunque al giusto cognome della famiglia, che è quello riportato da Dante nella Divina Commedia, ovvero Cappelletti e non Capuleti), il cosiddetto sarcofago di Giulietta appartiene ad una tradizione che ha molto o quasi tutto di leggendario e che però non smette di incuriosire.

Innanzitutto c’è da dire che all’epoca dei fatti raccontati dal dramma Shakespeariano, nella Verona del Trecento, ai suicidi – ed è questo il caso della Giulietta dei Cappelletti – venivano negati i riti e la sepoltura ecclesiastica.  E’ dunque assai improbabile – anche se si può pensare ad una eccezione concessa per rango -  che alla giovane fosse stata riservata una tumulazione così solenne. 

La sistemazione del sarcofago non è comunque quella originaria.  Il convento di San Francesco, oggi adibito a Museo degli affreschi, dispone di un sotterraneo dove al centro di una artefatta cripta è posizionato il sarcofago in marmo rosso, senza coperchio e con i bordi superiori completamente abrasi, senza nessuno stemma gentilizio o iscrizione.

La leggenda vuole che l’urna fosse in origine, sin dalla fine del Trecento, posta nel chiostro del Convento, ma profanata già in epoca cinquecentesca: per stroncare il culto profano dei due amanti disgraziati, infatti,  sembra che i cappuccini decisero di aprire il sarcofago e, dopo aver disperso le ossa in una tomba comune, di adibirlo a cisterna per l’acqua del pozzo. 

L’escamotage, però non riuscì a frenare la crescente popolarità del mito di Giulietta e della sua presunta sepoltura, che si accresceva nei secoli con la fortuna della tragedia shakespeariana e delle sue infinite repliche e versioni, in tutta Europa.

Il sarcofago di Giulietta, quello che veniva indicato come tale, rimase oggetto di un pellegrinaggio continuo da parte di personalità illustri, che di passaggio a Verona, chiedevano ai francescani di poter ammirare i resti materiali di quella nobile leggenda.

Transitarono così davanti al mitico sepolcro, l’imperatrice Maria Luisa d’Austria,  duchessa regnante di Parma e Piacenza che nel 1822 pretese addirittura di farsi realizzare alcuni monili con i frammenti di marmo prelevati dal sarcofago o Lord Byron, che rimase colpito dallo squallore e dall’abbandono di quel sepolcro (8), che divenne ancora più evidente dopo che le ultime suore francescane abbandonarono definitivamente il convento nel 1842. All’epoca di Charles Dickens, come si ricava dalle sue memorie italiane, il sarcofago era ormai ridotto ad essere un semplice abbeveratoio.

Fu soltanto nel secolo scorso e precisamente nel 1910 che l’urna – per intervento della Congregazione della Carità che aveva preso possesso del complesso - fu finalmente spostata e sottratta alla rovina e alle intemperie, ponendola accanto ad un busto dedicato a Shakespeare.

La sistemazione definitiva del sarcofago si deve al direttore dei musei veronesi Antonio Avena che dopo aver subodorato l’affare – era stato scritturato come consulente nel 1936 dalla Metro Goldwyn Mayer per il kolossal Romeo and Juliet diretto da George Cukor, ma il film poi non fu girato nei luoghi originali – decise di sistemare il sepolcro marmoreo in una cornice scenografica adeguata, cioè in una falsa criptacon tanto di lapidi pavimentali autentiche - realizzata ad hoc nei sotterranei del complesso dell’ex convento.

Nell’assenza comunque di uno scheletro, dei resti di un corpo reale riferibile a Giulietta – c’è anche chi propone di svolgere una indagine a tappeto presso le fosse comuni dei francescani, impresa ovviamente improba e impraticabile – la sfortunata erede della famiglia dei Capuleti continua a inquietare i sonni di quei luoghi che la videro protagonista, nella realtà e soprattutto nella finzione shakespeariana. 

A parte fenomeni folkloristici, come quello di un mago che qualche anno fa pretese di far riapparire dal nulla Giulietta in carne e ossa, nel cortile del Castello di Montecchio Maggiore e il fantasma della giovane Capuleti fa di tanto in tanto capolino nelle cronache locali veronesi.  Ancora più radicata è invece la tradizione legata al fantasma di Luigi da Porto, che a quanto pare scrisse la sua novella, fonte diretta per la ispirazione di Shakespeare, nella quiete della sua dimora di campagna a Montorso Vicentino, nella valle del Chiampo.  Dove sorgeva la casa colonica oggi esiste una villa palladiana, e della casa dei fattori, dalla quale lo scrittore ammirava i due castelli di Montecchio Maggiore (che gli ispirarono la faida tra le due famiglie), restano soltanto pochi resti.  Ciò nonostante qui pare aggirarsi il fantasma di da Porto,  con gli abiti d’epoca e i terribili segni di quella ferita di guerra che aveva sul volto: c’è chi giura di averlo visto sostare, nelle notti d’estate, ai piedi della salita, in quell’angolo che sembra fosse il suo favorito,  e sospirare ancora per la verginea bellezza della sua Giulietta e per il suo infelice destino.





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