E' appena uscito l'8o volume della rivista Californian Italian Studies numero monografico dedicato alla poesia italiana. 40 poeti italiani si interrogano sul tema della Fine e del Fine della Poesia.
Sono felicissimo di far parte di questo progetto e di aver contribuito.
ENDS OF POETRY California Italian Studies Volume 8, Issue 1, 2018 Gian Maria Annovi and Thomas Harrison, Editors, Leslie Elwell, Managing Editor
https://escholarship.org/uc/ismrg_cisj/8/1
Questo il mio testo, all'interno, che accompagna i quattro testi poetici.
Limite, separazione, con-fine. Tutto quello che
oggi (si) vive, sembra portare all’estremo; ad un punto di non-ritorno. Anche
la poesia, il suo significato, la sua profonda essenza, sembrano ormai
senza-parole di fronte all’arrembare di un ambiente-mondo sempre più vociante,
sempre più confuso, popolato babelicamente da milioni di voci che si inseguono
senza ascoltarsi. Una sensazione di fine
apocalittica percorre la poesia, chiedendole forse di farsi profezia, di
illuminare di senso – con una luce seppure mormorante appena, di passaggio – quest’epoca che sembra
per molti versi profilarsi come finale.
Come nei giorni della fine dell’impero romano, l’ignoto si profila
all’orizzonte, e l’unico fine stesso della poesia sembra essere diventato
quello di raccontare questa fine. Tutto chiede di essere ri-pensato,
ri-pronunciato, ri-fondato a partire dalla parola stessa. L’alone di morte che spazza via i resti di
vecchie civiltà e di un nuovo ordine forse mai nato, chiede di essere vissuto e
attraversato, come la forte morte di
Paula Modersohn-Becker, la giovane e tenera amica che Rilke non riesce a
lasciar andare, pur avendo professato incessantemente nella sua vita e nella
sua poesia la necessità del distacco nella prova più difficile ed evidente
dell’amore.
Questo lutto, questa morte, questo confine,
questo limite, questo distacco va pienamente attraversato, con tutto il dolore
e la sofferenza che comporta: e soltanto la poesia, proprio perché la poesia
non si vanta e non si presume, può piegarsi, può farsi materia malleabile,
rinunciando alla durezza, alla ostinazione, all’opposizione. Può farsi capace,
essendo il fine della poesia quello
di tramutarsi nell’ interno di uno
sguardo, di diventare essa stessa la
fine.
I poeti, come i pazzi nelle catacombe, porteranno
in mano la fiaccola in questi tempi oscuri e definitivi.
Per amore della
vita la forza deve cedere - scrive Carl Gustav Jung nel Liber Novus - dovrà essere ridotto il raggio della vita esteriore. Molta
più intimità, fuochi solitari, caverne, grandi foreste oscure, piccoli
insediamenti di pochi individui, fiumi dal pigro corso, silenti notti invernali
ed estive, poche navi e pochi carri, e tener nascosto in casa ciò che è raro e
prezioso.
Da lontano i viandanti si mettono in cammino su strade solitarie e vedono le cose più varie.
La fretta diventa impossibile, cresce la pazienza.
Da lontano i viandanti si mettono in cammino su strade solitarie e vedono le cose più varie.
La fretta diventa impossibile, cresce la pazienza.
Con pazienza, dunque, e con la fede dei folli –
si potrebbe aggiungere – i poeti cercheranno la via, cercheranno quel
meraviglioso e leggendario serpente, l’Uroboro, la bestia che si mangia la
coda, che forma un circolo perfetto, e che dalla sua coda, dalla sua fine e dal
suo limite, rinasce sempre e sempre, splendente ogni volta.
Fabrizio Falconi -2019.
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