Questa conversazione ha avuto luogo a New York, nell'appartamento della signora Cohn, amica di Eliot e di sua moglie. Eliot era di ritorno da un viaggio a Nassau, era abbronzato e leggermente ingrassato, così comincia il libro intervista di Donald Hall, pubblicato per la newyorchese Penguin e tradotto in Italia da Minimum Fax, con l'introduzione di Pasquale Panella, che si diverte a giocare con l'ingombrante personaggio di Eliot, uno dei monumenti della poesia mondiale: Eliot come stai? E dove Eliot, tu stai? Sono domande queste? Si sono domande. Possiamo rispondere a tutto, non è vero Eliot? Rispondere con le parole che dicono qualcosa, che dicono la cosa veramente, il nome e la posizione della cosa.
E' un libro molto interessante. T.S. Eliot offre le sue parole a chi vuole scrivere versi, a chi inizia a scriverli.
Nelle prime poesie c’è un problema di inesperienza – avere da dire più di quel che si sa dire e volere rendere in parole e ritmo qualcosa, ma non avere abbastanza controllo sulle parole e sul ritmo per renderlo in una forma immediatamente accessibile.
Questo tipo di oscurità si presenta quando il poeta sta ancora imparando a usare il linguaggio. Sei costretto a dire le cose in maniera difficile. L’unica alternativa è non esprimerti affatto, in quella fase.
Credo però sia terribilmente pericoloso dare consigli generici. La cosa migliore che si può fare per un giovane poeta è analizzare dettagliatamente una sua poesia: discuterne con lui se necessario, dargli la propria opinione e, se ci sono conclusioni generali da trarre, lasciare che lo faccia da sé. Ho capito che le persone hanno un diverso modo di lavorare a seconda dei casi e percepiscono la realtà in modo diverso. Non si sa mai se quella che si sta facendo è un’affermazione universalmente valida per tutti i poeti o una che puoi applicare solo a te stesso. Credo non ci sia nulla di peggio che cercare di plasmare la gente secondo la propria immagine. (…)
Per me è stato molto utile esercitare altre attività, lavorare in banca, o anche fare l’editore. E penso anche che la difficoltà creata dal fatto di avere meno tempo a disposizione di quanto ne avrei voluto mi abbia dato una grande urgenza di concentrazione.
Il pericolo che si corre, quando non si ha niente altro da fare è, di norma, quello di scrivere troppo, invece di concentrarsi e perfezionare piccole porzioni di testo. (…)
Il pericolo che si corre, quando non si ha niente altro da fare è, di norma, quello di scrivere troppo, invece di concentrarsi e perfezionare piccole porzioni di testo. (…)
Nessun poeta onesto può mai essere sicuro della validità di ciò che ha scritto. Potrebbe aver perso il suo tempo inutilmente”.
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