E' morto ieri nella sua
casa di Luino (Varese), a 83 anni, uno dei più grandi filosofi italiani, Giovanni Reale.
Nato a Candia Lomellina nel 1931, il filosofo si e' formato
presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove in
seguito e' stato a lungo ordinario di Storia della Filosofia
Antica e ha anche fondato il Centro di Ricerche di Metafisica.
Nel 2005 era passato a insegnare alla nuova facolta' di Filosofia
del San Raffaele di Milano.
Nell'occasione, pubblico una delle ultime interviste al filosofo, rilasciata a Ilario Bertoletti del CCDC.
Professore, come si è avvicinato alla filosofia?
Giovanni Reale: Dirò subito che la mia vita è stata tutta contro corrente. Vengo da una famiglia di contadini, proprietari di una piccolissima azienda agricola, in un paese della Lomellina dove lo studio era considerato assurdo. Io, invece, dopo la terza media dissi in famiglia che volevo fare il liceo classico. Mi risposero chiedendomi se fossi pazzo e dicendomi che al massimo mi avrebbero concesso gli studi di ragioneria. Esisteva ai tempi un pregiudizio di carattere sociale secondo cui il liceo poteva essere frequentato solo dal figlio di un borghese. Per un motivo misterioso riuscii però a iscrivermi al ginnasio ingannando tutti, e trovandomi subito tra i primi della classe, suscitando lo stupore di Casale Monferrato. Alla fine della seconda liceo mi fecero una proposta di viaggio intorno al mondo, iniziativa che riservavano a chi aveva ottimi voti. Al preside risposi di no, nonostante tutte le sue promesse di aiuto con lo studio e gli impegni scolastici. Mi tolse il saluto.
Al liceo ebbi subito un attrattiva forte per la filosofia, tanto che dopo la maturità dissi che a me interessava pensare, girare il mondo e vedere non come gli uomini avevano costruito le loro città ma come si differenziavano per il loro pensiero. Scelsi quindi la filosofia e mi iscrissi all’Università Cattolica, con la ferma intenzione di diventare professore di filosofia e insegnare nel liceo dove avevo studiato. Il giorno dopo la laurea il mio professore mi invitò a casa sua e mi disse che sarei dovuto andare in Germania quattro anni per imparare bene il metodo e portare la filosofia antica in Italia, nel modo in cui la studiavano i tedeschi. Chiesi perché non la filosofia contemporanea o quella moderna, che allora preferivo, ma lui rispose che volevano tornare ai classici, aggiungendo questa frase: “La divina Provvidenza ci propone delle cose che non sono quasi mai coincidenti con i nostri desideri, e in questo momento parla attraverso di me”. Quando accettai egli rincarò la dose, dicendo: “Riportaci in piazza Sant’Ambrogio quanta più Atene ti è possibile”. In questo modo imparai alcune lezioni particolari.
Erano gli anni dal ’54 in poi e i tedeschi allora ci odiavano, ma essendo laureato avevo l’onore di sedere al tavolo dei professori. Dopo qualche mese di cortese ostilità e dopo parecchi interrogatori di quarto grado, il professore capo mi diede le chiavi per entrare nella biblioteca anche di sera. Imparai così a trattare con i tedeschi. Francesco Olgiati mi disse un giorno che non mi avrebbe potuto aiutare ai concorsi universitari. Per vincere avrei dovuto fare il triplo o il quadruplo degli altri; soltanto allora le mie opere e la Provvidenza mi avrebbero potuto aiutare. A casa mia però il lavoro era sacro, così come l’amore dato al prossimo senza aspettarsi un ritorno. Questo mi aiutò moltissimo. Nonostante gli studi sulla filosofia antica, non dimenticai mai la moderna e la contemporanea, che amavo. Prima che mi recassi in Germania, per imparare quel metodo che mancava in Italia, sempre Olgiati mi fece un grande complimento dicendomi: “Quando tornerai, se ti faranno delle critiche, anche se sarò io a fartele, tu non ascoltare”.
Imparai in quegli anni di studio una cosa fondamentale per lo scienziato: l’onestà della ricerca. Quando si studia un autore bisogna prima cercare di capirlo: capire che cosa ha detto, come l’ha detto e perché l’ha detto. Soltanto dopo aver esaurito questi indispensabili punti ci si può schierare, dandogli ragione o torto. Gli antichisti a quel tempo erano quasi tutti marxisti e a causa della mia formazione cattolica e della mia fede, mi accusavano di non poter essere uno scienziato. Lo scienziato deve trattare le idee in vitro, in modo indifferente. Mi è sempre piaciuto avere avversari intelligenti perché mi insegnavano, dialetticamente, a trovare la verità. Sapete dove è stato il successo più grande del Reale-Antiseri? in Russia. E sapete chi ha dato il giudizio più entusiasta e positivo? La moglie di Gorbaciov, professoressa di filosofia. Il testo, che era vietato dal partito comunista, ebbe un enorme successo in Russia, tanto che insignirono me e Antiseri del titolo Professor honoris causa. Il complimento più bello fu quando ci dissero: “Ci avete insegnato cos’è la democrazia nel pensiero filosofico greco”. Essi infatti non potevano trattare altro che il pensiero filosofico di Marx.
Io ho fatto filosofia perché, imparando al liceo il pensiero dei grandi filosofi, mi ha molto interessato il fatto che l’uomo abbia un’intelligenza così grande, sia in positivo che in negativo. Nessuno può chiedere alla filosofia di dargli la verità assoluta, perché l’uomo è homo viator, uomo in viaggio, alla ricerca della Verità. Gli antichi infatti la chiamarono non σοφία, ma φιλοσοφία. Platone disse σοφός è Dio e io non sono σοφός, sono φιλοσοφός, ricercatore di verità. Se fossimo capaci di insegnare questo ai giovani sarebbe un’occasione di crescita non solo per loro, ma anche per noi. Molti oggi dicono: “Quello che penso io è la verità”. Invece non è così: essi ricercano la verità, non la possiedono.
Perché insegno ancora, a ottant’anni compiuti? Perché credo nei giovani. Il futuro non è il vecchio, ma il giovane. Il vecchio è per il giovane, in questo senso dinamico. La filosofia è questo: ricerca della verità, con tutte le fatiche che essa impone. Platone, il mio filosofo preferito, scrittore di capolavori assoluti, è tuttora il più venduto al mondo e mi ha insegnato la cosa più bella. Egli ha rivoluzionato il sapere umano, sostenendo che le verità si devono scrivere nella mente dell’uomo e non sui rotoli di carta. È questa l’idea di scuola. Alcuni anni fa il provveditore agli studi di Palermo mi invitò a un corso di aggiornamento dei presidi di tutte le scuole. Essi mi dissero questo: “Professore, se noi riuscissimo a far capire alla gente che l’insegnante scrive nell’animo degli uomini, ridaremmo a quella figura una dignità che la cultura contemporanea ha perso.”
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