(Dieci grandi anime) - Antonia Pozzi (4.)
Allo
stesso modo di queste cose sorelle,
anche Antonia diventa un cero sui fiori d’autunno. La sua vita, brevemente
consumata, si rende eterna in un sacrificio di luce.
Fa
parte di questa disperazione mortale anche la crudele oppressione che si
esercita sulle nostre giovinezze sfiorite, scrive Antonia nel suo biglietto di addio. (8)
E’ probabile che l’essere vissuta in un periodo
così estremo, nel pieno di rivolgimenti drammatici, abbia giocato un ruolo
nella sua decisione finale. Ma, nel
mistero di una fine violenta e prematura – che la accomuna a molte poetesse e
poeti del novecento, Ingeborg Bachmann, Sylvia Plath, Virginia Woolf, Marina
Cvetaeva, e poi Paul Celan, Cesare Pavese, Carlo Michelstaedter – c’è, in
Antonia, nella sua intera opera poetica e ancora di più nella sua sofferta
esistenza, un soffio di consapevolezza sacra.
Un sacro
– anche qui – che è difficile restringere nei rigidi recinti della liturgia e
della confessione ortodossa. La
Pozzi infatti non fu mai religiosa praticante, anche se così
tante pagine della sua poesia, delle
lettere, e del Diario (9) sono percorse da un febbrile senso e da un altrettanto
inquieto bisogno del divino.
Con Antonio Maria Cervi – fervente
cattolico – sarà proprio questo uno dei punti di attrito e di sofferto
fraintendimento.
Tu,
tu che mi dici che io non ho niente di sacro… - scrive Antonia a Cervi il
1. marzo del 1932 – oh, è atroce, è
atroce che tu mi dica così, perché vuol dire che dove io tengo le mie cose più
sacre tu non sei mai, mai penetrato e non hai nemmeno veduto che per me è sacro
tutto quello che è sacro per te. (10)
Per Antonia, questo punto a quanto pare non
riesce a capirlo nessuno di coloro che le sono vicini, è difficile –
sperimentando le difficoltà di una vita sovrasensibile
e mancante di risposte adeguate – ritrovare quel Dio semplice nel quale, “da
bambina, aveva insegnato a credere ai piccoli montanari, che scendevano a
Pasturo per frequentarvi la scuola, e sul quale era solita intrattenere per ore
la Sandra , la
sua compagna di giochi, dopo averla aiutata a fare i compiti di scuola, per
dare il tempo a lei, di condizioni non
agiate, di badare ai fratellini”. (11)
Dio può essere abitato e vissuto
pienamente soltanto a prezzo di una
vita vera, vissuta. E Antonia, non
riesce a viverla pienamente. Il suicidio
che mette in scena è un vuoto pieno di vita, è una vita pienamente raggiunta –
per le possibilità che può offrire – e pienamente, dolorosamente abbandonata.
Ma in una prospettiva intima, segreta, di
speranza.
Soltanto un anno prima di morire, il 13 maggio del 1937, e di trasmettere – del tutto inedito – il suo
grande lascito poetico che oggi appare più vitale e più ispirato che mai, scriveva una poesia intitolata Amor fati che appare, in appena otto versi, una specie di summa del suo sofferto percorso spirituale :
Quando
dal mio buio traboccherai
di
schianto
in una cascata
di sangue –
navigherò con una rossa vela
per orridi silenzi
ai cratèri
della luce promessa. (12)
Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata.
8.
Il cosiddetto Testamento, ovvero il biglietto d’addio di Antonia, contenuto nella
borsetta che aveva il giorno del suicidio, è pubblicato in Antonia Pozzi, L’età delle parole è finita, op. cit.
pag. 112.
9.
I Diari
di Antonia Pozzi sono pubblicati in Italia da Scheiwiller, Milano 1988.
10.
Antonia
Pozzi, L’età delle parole è finita,
op. cit. pag. 47.
11.
Così
Onorina Dino in Le lettere di Antonia
Pozzi, in L’età delle Parole è
finita, op. cit. pag. 125.
12.
Antonia Pozzi, Parole, op. cit. pag. 293.
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