"Quando avete finito di preoccuparvi di questa epidemia,
preoccupatevi della prossima", ha esortato a maggio in uno dei
suoi pezzi per il New York Times in modo chiaro e diretto David
Quammen, di cui ora arrivano in libreria due titoli e fanno
notizia.
La sua infatti non e' una visione pessimista o
disfattista, visto che e' l'autore di "Spillover" (Adelphi,
pp.610 - 29,00 euro) e sa quel che dice se, con quel suo saggio
tornato inevitabilmente al centro dell'attenzione nei mesi
scorsi, metteva in guardia sin dal 2013 dall'arrivo di una
pandemia che sarebbe probabilmente venuta "fuori dalla foresta
pluviale o da un mercato cittadino della Cina meridionale",
argomentando in modo articolato che tali virus sono
l'inevitabile risposta della natura all'assalto dell'uomo agli
ecosistemi e all'ambiente.
Sono quindi da leggere questi due veri e propri saggi, ma
dalla scrittura e esposizione chiara, quasi affabulatoria e per
molti versi coinvolgente, visto che racconta spesso anche la
storia di una scoperta e di chi l'ha fatta: il primo e' la
ristampa dopo 15 anni di un suo libro di Quammen uscito in
Italia nel 2005 sulla ferinita' di uomini e animali, sulla
indifferenza della natura e la catena alimentare; il secondo e'
la traduzione della sua ultima opera, del 2018, sull'intricato
albero della vita, che fa il punto su quel che sappiamo
dell'evoluzione, di Dna e genomi, dell'interrelazioni e i
collegamenti filogenetici tra le varie specie e forme di vita di
ogni tipo, dalle piu' evolute alle piu' elementari, a quasi due
secoli dalle intuizioni che cominciarono a germogliare nella
testa di Darwin nel 1837, mentre, specie in America, trovano
nuovi seguaci le sette creazioniste e persino i terrapiattisti.
David Quammen (Cincinnati, 24 febbraio 1948) e' uno
scrittore e apprezzato divulgatore scientifico statunitense che
per quindici anni ha curato una rubrica intitolata 'Natural
Acts' per la rivista Outside. I suoi articoli, che gli hanno
valso numerosi premi, sono anche apparsi su National Geographic,
Harper's, Rolling Stone, New York Times Book Review e altri
periodici.
"L'albero intricato" e' una storia della genetica moderna,
per cui ci riguarda molto da vicino, e' affascinante, e' un
susseguirsi di ipotesi e verifiche e smentite e scoperte
improvvise o intuizioni geniali, oltre che di ricerca e
esperimenti in laboratorio e in questa ricostruzione ha al
centro un momento di svolta particolare con anche una data, il
1928, dovuto a un ricercatore inglese, Fred Griffith, che
riconobbe per la prima volta come possibile il trasferimento
genetico orizzontale, senza nemmeno rendersi ancora conto di
cio' che questo avrebbe implicato. E' allora che l'albero della
vita disegnato da Darwin col suo trasferimento di geni in linea
verticale, di discendenza, si e' dimostrato assai piu'
ingarbugliato e complesso della stilizzazione appunto di un
albero.
La scoperta che i geni si spostano anche in senso
orizzontale, lateralmente, potendo attraversare cosi' i confini
di specie o passare da un regno naturale a un altro, che e' poi
quello che e' accaduto col molti virus e con lo stesso Covid.
accanto,o meglio assieme a questo discorso se ne sviluppa
un'altro che non puo' non farci pensare, sul concetto di specie e
di individuo come li intendiamo tradizionalmente.
Noi siamo un
mosaico di forme di vita, "Siamo una specie animale, legata in
modo indissolubile alle altre, nelle nostre origini, nella
nostra evoluzione, in salute e in malattia". L'otto per cento
di un genoma umano consiste infatti di residui di retrovirus che
hanno invaso il Dna dei nostri antenati, "l'equivalente
genetico di una trasfusione di sangue", e tra i donatori ci
sono organismi primordiali che dominavano la vita miliardi di
anni fa e ora 'abitano' in ciascuno di noi.
"Alla ricerca del predatore alfa" parla del contesto in
cui si e' evoluto l'Homo sapiens ed e' sorto il nostro senso di
identita' in un ambiente popolato di terribili belve carnivore.
Tutte le volte che un feroce carnivoro usciva da una selva o da
un fiume per cibarsi rendeva evidente una realta' che si cercava
di dimenticare ma non si poteva eludere, rinnovando trauma e
orrore: una delle prime forme dell'autoconsapevolezza umana,
sottolinea Quammen, fu proprio la percezione di essere pura e
semplice carne.
Nessun commento:
Posta un commento
Se ti interessa questo post e vuoi aggiungere qualcosa o commentare, fallo.