Dispiace che anche un editore serio come Il Saggiatore sia assai deludente quando presenta il nuovo libro di John Berger come una "intensa lettera d'amore di un grande narratore", annunciandolo così nella quarta di copertina e ripetutamente sottolineandolo nella bandella, allo scopo, immagino, di catturare più lettori.
In realtà il libro di Berger (Londra, 5 novembre 1926 – Parigi, 2 gennaio 2017) - come altri suoi - è un testo completamente anomalo, in bilico su diversi generi letterari, saggio filosofico soprattutto, memoir, poesia, auto-fiction. I temi affrontati sono quelli filosofici esiziali, dell'esistenza.
L'amore vi ha una parte del tutto minore, trascurabile e semmai funzionale soltanto nella scelta del linguaggio fortemente evocativo e poetico di Berger.
John Peter Berger del resto è stato un personaggio atipico: critico d'arte, scrittore e pittore. Il suo romanzo G. vinse il Booker Prize e il James Tait Black Memorial Prize nel 1972, ma la sua formazione è pittorica: quando nel dopoguerra si iscrisse alla Chelsea School of Art e alla Central School of Art di Londra, esponendo in diverse gallerie londinesi sul finire degli anni '40.
Mentre lavorava come insegnante di disegno (dal 1948 al 1955), Berger divenne poi un critico d'arte, pubblicando svariati saggi e recensioni. Il suo umanismo marxista e le sue convinte opinioni sull'arte moderna lo hanno reso una figura controversa sin dall'inizio della sua carriera.
E solo recentemente si è pienamente apprezzata la sua notevole produzione letteraria, difficilmente identificabile in un genere specifico.
Questo libro, pubblicato per la prima volta in Gran Bretagna nel 1984, è assai prezioso: un compendio di illuminazioni, suddivise in una dimensione verticale (il tempo) e orizzontale (lo spazio).
Ricordi di viaggi, visioni estatiche, ma anche e soprattutto riflessioni profonde sul passato e sul senso dell'esistenza che (ci) trasforma ogni cosa che viviamo, mentre la viviamo, in qualche altra cosa.
John Peter Berger del resto è stato un personaggio atipico: critico d'arte, scrittore e pittore. Il suo romanzo G. vinse il Booker Prize e il James Tait Black Memorial Prize nel 1972, ma la sua formazione è pittorica: quando nel dopoguerra si iscrisse alla Chelsea School of Art e alla Central School of Art di Londra, esponendo in diverse gallerie londinesi sul finire degli anni '40.
Mentre lavorava come insegnante di disegno (dal 1948 al 1955), Berger divenne poi un critico d'arte, pubblicando svariati saggi e recensioni. Il suo umanismo marxista e le sue convinte opinioni sull'arte moderna lo hanno reso una figura controversa sin dall'inizio della sua carriera.
E solo recentemente si è pienamente apprezzata la sua notevole produzione letteraria, difficilmente identificabile in un genere specifico.
Questo libro, pubblicato per la prima volta in Gran Bretagna nel 1984, è assai prezioso: un compendio di illuminazioni, suddivise in una dimensione verticale (il tempo) e orizzontale (lo spazio).
Ricordi di viaggi, visioni estatiche, ma anche e soprattutto riflessioni profonde sul passato e sul senso dell'esistenza che (ci) trasforma ogni cosa che viviamo, mentre la viviamo, in qualche altra cosa.
Un Taccuino intimo intervallato da brevi testi poetici dello stesso Berger, o di altri poeti come Anna Achmatova o Evgenij Vinokurov, oltre a fulminanti incursioni nelle opere amatissime di Van Gogh, di Vermeer o di Caravaggio.
John Berger
E i nostri volti, amore mio, leggeri come foto
Edizione italiana e traduzione a cura di Maria Nadotti
Edizioni il Saggiatore, 2020
pp. 152, Euro 18.00
John Berger
E i nostri volti, amore mio, leggeri come foto
Edizione italiana e traduzione a cura di Maria Nadotti
Edizioni il Saggiatore, 2020
pp. 152, Euro 18.00
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