Prendere in mano un candela per
cercare, con la sua luce fioca e fragile, la perfezione delle
forme, la leggerezza dell'armonia e la profondità del sentimento
ripercorrendo i gesti di un maestro insuperato: c'e' anche questa
tra le suggestioni offerte dalla grande mostra "Canova. Eterna
bellezza", in programma a Palazzo Braschi dal 9 ottobre al 15
marzo.
A cura di Giuseppe Pavanello, l'esposizione
indaga il lungo e proficuo rapporto che tra '700 e '800 lego' il
grande scultore veneto alla citta' di Roma attraverso ben 170
opere - del maestro e di artisti a lui contemporanei -
distribuite in 13 sezioni.
Sculture in marmo ma anche disegni, bozzetti, modellini e
gessi si susseguono nelle sale del museo, per ripercorrere gli
itinerari che Canova segui' con l'obiettivo di conoscere Roma e
coglierne i misteri.
Del resto quella tra l'artista, miglior
interprete degli ideali di bellezza di Winckelmann, e la citta',
dove egli giunse nel 1779 all'eta' di 22 anni, fu davvero una
storia d'amore, fatta di ispirazione e ammirazione, studio e
impegno, domande e risposte finalmente trovate, accanto alla
conquista di una bellezza che raggiunge la perfezione: una
relazione affascinante, che il percorso puo' raccontare anche
grazie a importanti prestiti, come quelli provenienti
dall'Ermitage di San Pietroburgo, dai Musei Vaticani, dai Musei
Capitolini, dal Museo Correr di Venezia, dal Museo Archeologico
di Napoli e dall'Accademia Nazionale di San Luca e la Gypsotheca
e Museo Antonio Canova di Possagno che insieme con il Comune di
Roma, Arthemisia e Ze'tema hanno collaborato alla realizzazione
del progetto.
Da non perdere, l'omaggio, al termine della mostra, che Mimmo
Jodice ha voluto offrire allo scultore: due sale in cui,
attraverso 30 scatti d'autore, i marmi di Canova vengono riletti
in modo inedito, per esaltarne la maestosita' ma anche l'emozione
e il dinamismo.
"E' la prima volta che Canova e
Roma si sposano in una mostra", ha detto il curatore Pavanello,
che ha voluto porre l'attenzione anche "su cio' che non si vede,
ossia i tanti restauri fatti per questa occasione" e sulla
particolarita' dell'allestimento, con "alcune opere che si
trovano su supporti girevoli e la possibilita' di osservare le
sculture anche a lume di candela, perche' era cosi' che Canova
voleva si guardassero".
Dalla nascita del nuovo stile tragico al
rapporto con la Repubblica Romana, dal legame con l'Accademia di
San Luca all'impegno nella difesa del patrimonio dopo la nomina
a Ispettore delle Belle Arti nel 1802 fino alle ultime opere
realizzate a Roma, sono tanti i temi che la mostra indaga, primo
fra tutti la volonta' di Canova di far rinascere l'antico con il
moderno e plasmare il moderno attraverso l'antico: se nei tanti
gessi esposti questo appare smorzato, nei marmi la forza
dell'arte canoviana si esprime nella sua totale pienezza, come
dimostrano i tre gioielli provenienti dall'Ermitage, la
Danzatrice mani sui fianchi, il Genio della Morte e l'Amorino
alato, perfetti nella loro bellezza immortale.
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