Visitando la meravigliosa area archeologica di Capo di Bove sulla Via Appia Antica, ho scoperto una storia incredibile.
Durante gli scavi condotti nel 1999 dalla Soprintendenza Archeologica di Roma, nell'area ai piedi di uno dei monumenti funerari più belli della Regina Viarum, il cosiddetto Sepolcro Dorico fu scoperto un gruppo di lettere d'amore contenute in tubi di piombo sepolti al quarto miglio della Via Appia Antica nel 1929.
Il contenuto - lettere e documenti - e gli stessi tubi sono oggi conservati in una speciale, piccola teca.
Essi raccontano di una storia appassionata e infelice che l'amante disperato volle salvaguardare e destinare al futuro seppellendone i ricordi ai piedi .
Il cosiddetto sepolcro Dorico, nelle vicinanze, è detto così per lo stile del fregio visibile nella parte superiore e fu ricostruito alzandone la fronte in blocchi squadrati di peperino,
al cui centro si trova un rilievo con scena di caccia o combattimento.
Nel corso delle ricognizioni del 1999, quando fervevano i lavori per l’imminente Giubileo, furono scoperti i due tubi di piombo con la data incisa sul metallo, 30 settembre 1929.
Problemi sempiterni e contemporanei, non storia antica: una sfortunata corrispondenza amorosa. «L’amante infelice avrebbe bruciato le sue lettere, se avesse voluto semplicemente distruggerle», assicura Rita Paris, direttrice dei monumenti archeologici della via Appia, quasi giustificandosi per la sua curiosità di studiosa.
Signorina Letizia, alla domanda che mi ha rivolto ieri sera non avrei potuto rispondere allora e spiegarle il motivo di quella mia curiosità perché, anche se non ci fosse stata un’altra persona, non mi sarebbe certo bastato in quel momento l’animo, tanto improvvisamente quella domanda tramandata dalla sua bocca mi ha scosso, e lo scherno del collega mi ha richiamato alla realtà.
L’uomo che ha scritto queste parole in una lettera, semplice e gentile, si chiama Ugo H.: è sposato e ha due figli.
Lei – Letizia L. – lavora nel suo ufficio, è nubile ed è più giovane di lui. I due, fatalmente, si sono innamorati.
Sul primo contenitore si leggono le iniziali “U.H.”, sull’altro “L.L”.
Nel 1929, l’anno dei patti Lateranensi, l’anno in cui si saldano religione cattolica e ‘morale’ di Stato, l’amore di Ugo H. e Letizia L. – amanti impossibili – sembra definitivamente segnato.
Si scrivono da tre anni, Ugo H. e Letizia L.: la prima lettera è datata 20 marzo del 1926. Si scrivono ciò che non si sentono autorizzati a vivere ed hanno goduto della lettura di tante e tante lettere, intense e appassionate, in cui l’uno ha sfiorato - appena - la ‘vita sognata’ dell’altro. Ma per Letizia L. quell’amore, col tempo, si fa sempre più rischioso: è una donna. Qualora si determini a non portare avanti, nell’ipocrisia, quel loro amore e a rompere il suo matrimonio, Ugo H. può cavarsela con una condanna morale. Per lei i rischi sono maggiori, potrebbe incorrere in condanne penali.
L’infelicità da un lato, sanzioni e prigione dall’altro: la storia di Ugo H. e Letizia L. deve finire. Le loro lettere sempre più audaci e ‘pericolose’ devono sparire. Nella sua ultima lettera, del 29 settembre 1929, Ugo H. chiede a Letizia L. di consegnargli tutte le lettere che le ha scritto: troppo compromettenti per poter essere conservate in un cassetto. Se un giorno qualcuno dovesse trovarle, che ne sarebbe di lei? Ma Ugo H., per amore, le nasconde la verità: ha in mente qualcosa di straordinario.
Dissaldato il tappo del contenitore, gli scopritori di allora si trovarono di fronte un pacco di lettere e i documenti nonché una foto di lui in ufficio e il “ritratto di Ugo” fatto a carboncino” e firmato da Letizia L.
Nel 1929 il IV miglio dell’Appia non è facile da raggiungere. Non si può arrivare lì per caso: la città finisce molti chilometri prima. Quel posto si deve scegliere. Una volontà precisa, del resto, che è tradita anche dagli involucri di piombo per conservare e preservare quelle lettere. E poi l’incisione della data. Tutto dice di un progetto chiarissimo e lucido in cui - come ad un messaggio nella bottiglia si chiede di varcare l’oceano – così si è affidato a quei due poveri tubi di piombo un amore capace di attraversare i marosi del tempo, per consegnare ad altri - su altre rive - la coscienza e la verità di un sentimento che non può morire e che non può essere nascosto.
Questo è il progetto che brilla nel cuore e negli occhi di Ugo H., mentre interra tra le lacrime le sue lettere d’amore e quelle di Letizia. Gli è chiaro che non è quel loro amore ad essere ‘sbagliato’, lo è solo quel loro tempo immaturo. E - ci piace pensare - se ne accorge rileggendo l’incipit della sua prima lettera, in cui solo ora, seduto sugli argini erbosi dell’Appia, si rende conto d’aver usata tre anni prima, una parola chiaroveggente. ‘Tramandata dalla sua bocca’, ha scritto tre anni fa a Letizia L., nel tentativo di spiegarle l’imbarazzo suscitato dalla sua domanda. Ugo H. sa ora, mentre ricopre di terra quelle loro lettere, che l’Amore vero, quello che vince il tempo, si tramanda. L’eternità, pensa Ugo H., nel radioso settembre del 1929, si realizza nella fiducia piena in quel Desiderio che tutto unisce, accoglie e preserva l’Universo. E come tutto, anche quel desiderio è destinato a trasformarsi, per passare da un cuore ad un altro. In quel Desiderio, ancora oggi, Ugo H. si può riconoscere e con lui tutti gli uomini e le donne che non si sottraggano al peso gioioso di quella eredità che ci fa – in un punto – incontrare l’Amore e trovare, poi, le parole per dirlo e tramandarlo al di là di ogni tempo.
foto di Fabrizio Falconi
Fonte: soprintendenza dei Beni Culturali- Via Appia Antica e Luca De Risi per Stampa Critica
Signorina Letizia, alla domanda che mi ha rivolto ieri sera non avrei potuto rispondere allora e spiegarle il motivo di quella mia curiosità perché, anche se non ci fosse stata un’altra persona, non mi sarebbe certo bastato in quel momento l’animo, tanto improvvisamente quella domanda tramandata dalla sua bocca mi ha scosso, e lo scherno del collega mi ha richiamato alla realtà.
L’uomo che ha scritto queste parole in una lettera, semplice e gentile, si chiama Ugo H.: è sposato e ha due figli.
Lei – Letizia L. – lavora nel suo ufficio, è nubile ed è più giovane di lui. I due, fatalmente, si sono innamorati.
Sul primo contenitore si leggono le iniziali “U.H.”, sull’altro “L.L”.
Nel 1929, l’anno dei patti Lateranensi, l’anno in cui si saldano religione cattolica e ‘morale’ di Stato, l’amore di Ugo H. e Letizia L. – amanti impossibili – sembra definitivamente segnato.
Si scrivono da tre anni, Ugo H. e Letizia L.: la prima lettera è datata 20 marzo del 1926. Si scrivono ciò che non si sentono autorizzati a vivere ed hanno goduto della lettura di tante e tante lettere, intense e appassionate, in cui l’uno ha sfiorato - appena - la ‘vita sognata’ dell’altro. Ma per Letizia L. quell’amore, col tempo, si fa sempre più rischioso: è una donna. Qualora si determini a non portare avanti, nell’ipocrisia, quel loro amore e a rompere il suo matrimonio, Ugo H. può cavarsela con una condanna morale. Per lei i rischi sono maggiori, potrebbe incorrere in condanne penali.
L’infelicità da un lato, sanzioni e prigione dall’altro: la storia di Ugo H. e Letizia L. deve finire. Le loro lettere sempre più audaci e ‘pericolose’ devono sparire. Nella sua ultima lettera, del 29 settembre 1929, Ugo H. chiede a Letizia L. di consegnargli tutte le lettere che le ha scritto: troppo compromettenti per poter essere conservate in un cassetto. Se un giorno qualcuno dovesse trovarle, che ne sarebbe di lei? Ma Ugo H., per amore, le nasconde la verità: ha in mente qualcosa di straordinario.
Dissaldato il tappo del contenitore, gli scopritori di allora si trovarono di fronte un pacco di lettere e i documenti nonché una foto di lui in ufficio e il “ritratto di Ugo” fatto a carboncino” e firmato da Letizia L.
Nel 1929 il IV miglio dell’Appia non è facile da raggiungere. Non si può arrivare lì per caso: la città finisce molti chilometri prima. Quel posto si deve scegliere. Una volontà precisa, del resto, che è tradita anche dagli involucri di piombo per conservare e preservare quelle lettere. E poi l’incisione della data. Tutto dice di un progetto chiarissimo e lucido in cui - come ad un messaggio nella bottiglia si chiede di varcare l’oceano – così si è affidato a quei due poveri tubi di piombo un amore capace di attraversare i marosi del tempo, per consegnare ad altri - su altre rive - la coscienza e la verità di un sentimento che non può morire e che non può essere nascosto.
Questo è il progetto che brilla nel cuore e negli occhi di Ugo H., mentre interra tra le lacrime le sue lettere d’amore e quelle di Letizia. Gli è chiaro che non è quel loro amore ad essere ‘sbagliato’, lo è solo quel loro tempo immaturo. E - ci piace pensare - se ne accorge rileggendo l’incipit della sua prima lettera, in cui solo ora, seduto sugli argini erbosi dell’Appia, si rende conto d’aver usata tre anni prima, una parola chiaroveggente. ‘Tramandata dalla sua bocca’, ha scritto tre anni fa a Letizia L., nel tentativo di spiegarle l’imbarazzo suscitato dalla sua domanda. Ugo H. sa ora, mentre ricopre di terra quelle loro lettere, che l’Amore vero, quello che vince il tempo, si tramanda. L’eternità, pensa Ugo H., nel radioso settembre del 1929, si realizza nella fiducia piena in quel Desiderio che tutto unisce, accoglie e preserva l’Universo. E come tutto, anche quel desiderio è destinato a trasformarsi, per passare da un cuore ad un altro. In quel Desiderio, ancora oggi, Ugo H. si può riconoscere e con lui tutti gli uomini e le donne che non si sottraggano al peso gioioso di quella eredità che ci fa – in un punto – incontrare l’Amore e trovare, poi, le parole per dirlo e tramandarlo al di là di ogni tempo.
foto di Fabrizio Falconi
Fonte: soprintendenza dei Beni Culturali- Via Appia Antica e Luca De Risi per Stampa Critica
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