Questo
sentimento della rovina amorosa che conduce e introduce alla morte fu incarnato
nella forma perfetta di una morte scandalosa e poetica (non fate
pettegolezzi... le ultime parole sul biglietto lasciato prima del suicidio)
da Cesare Pavese.
Nel capodanno del 1950, a casa degli amici
Giovanni Rubini e Alda Grimaldi, a Roma, Pavese aveva conosciuto l'attrice
Constance Dowling. Giunta con la sorella Doris in Italia, a trent'anni non
ancora compiuti, Constance aveva collezionato qualche apparizione in film
minori e il fallimento di una relazione decennale con Elia Kazan. Umiliata da
lui (aveva sperato a lungo e inutilmente che il regista si separasse dalla
moglie, ma era stata liquidata anche in modo sprezzante) e alla ricerca di un
improbabile riscatto, Constance si portava dietro il fascino del glamour
hollywoodiano e la frustrazione del successo negato. Pavese la rincontrò qualche mese più tardi a
Cervinia e se ne innamorò perdutamente.
Le scrisse lettere piene di disperazione e dedizione, preparò soggetti
nella illusione di spalancare per lei (e per la sorella) le porte per una
carriera italiana. Ma i progetti
naufragarono e Constance decise di prendere un volo per l’America, con la
promessa vana di tornare nel giro di due mesi.
Il 20 aprile salì sul volo per New York. Nelle settimane precedenti era
diventata l'amante di Andrea Checchi, un attore conosciuto sul set dell'ultimo
film (sfortunato come gli altri) girato in Italia, La strada finisce sul
fiume.
«Ho sperimentato con te «orrore e meraviglia», le scrisse
Pavese in una delle lettere spedite in America,
disse di perdonarla e di perdonare «tutta questa pena che mi rode il cuore».
Pavese percepì che questo inciampo della sua
vita era quello definitivo. Nulla lo
consolava, nemmeno il premio Strega ricevuto per La bella estate la sera
del 24 giugno.
Appena due mesi più tardi, il 27 agosto il
suicidio con i barbiturici nella stanza dell'Hotel Roma, in via Carlo
Felice a Torino.
Poco prima, in un solo mese, dall'11 marzo
all'11 aprile, Pavese aveva scritto, proprio a Torino, le 10 poesie che
compongono l'ultima raccolta dei suoi versi. Alla morte dello scrittore furono
ritrovate in una cartella nella scrivania del suo ufficio alla casa editrice
Einaudi. Scritte a macchina, le poesie –
otto in italiano e due in inglese – portavano titoli e date di pugno
dell'autore, insieme al frontespizio e furono pubblicate in un volume postumo,
nel 1951 con il titolo scelto da Pavese.
Verrà la
morte e avrà i tuoi occhi -
questa notte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola
un grido taciuto, un silenzio.
….
Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.
Sono i celebri versi scritti il 22 marzo del
1950. Constance è forse in quello stesso momento tra le braccia di Checchi. Ma
soprattutto Pavese ha raggiunto quella dolorosa consapevolezza che gli è
impossibile abitare il territorio della rovina amorosa. Quel territorio, per lui che si sente da
tempo inadatto al vizio pericoloso di vivere («La felicità è qualcosa che si chiama Jo, Harry o John, non Cesare»
scrive amaramente in una delle lettere destinate a Constance) è fatale, lo
svuota anche del desiderio creativo, che lo ha tenuto in vita fino a quel
momento.
«Le poesie sono venute con te e se ne vanno con te».
È un territorio infido, quello delle
rovine. Che non è sempre illuminato dal
sole, che è pieno di ombre e di abissi e che qualche volta fa perdere del
tutto.
Non so se Marcel si sia perduto. Non so se
Pavese abbia trovato una Constance angelicata ad attenderlo, come in un film,
non so se Jeanne abbia mai potuto realizzare un riscatto personale o interiore
prima di lasciare la vita immaginata da Maupassant. Quel che è certo è che da queste traiettorie
di vita si apprende quanto le rovine abitino il cuore e l'interiorità, oltre
che il nostro mondo, e quanto sia importante apprendere la lezione severa e
illuminante che ci tramandano.
Nessun commento:
Posta un commento
Se ti interessa questo post e vuoi aggiungere qualcosa o commentare, fallo.