Alla veneranda età di 73 anni, former member del dipartimento di Letteratura Inglese della Warwick University, cittadino inglese anche se americano di nascita, Rick Gekoski, ex membro della giuria del Booker Prize e dell'International Booker Prize, si è concesso un esordio letterario con un romanzo che già a partire dal nome - Darke è il nome del protagonista del romanzo - manifesta il suo intento, quello di scrivere un libro fieramente cupo.
James Darke è infatti un ex insegnante, bibliofilo, che dopo la morte per cancro dell'amata moglie, decide di costruirsi un isolamento perfetto. Si barrica nella sua casa di Londra, stacca i contatti sociali con tutti, si dà insomma per morto, affidando ad un unico amico la risposta alle mail del suo account che disattiverà, insieme al telefono e ad ogni contatto con l'esterno. Il cambio della serratura con cui si apre il romanzo è il gesto simbolico di questa guerra dichiarata al mondo.
Darke non risponderà più a nessuno, nemmeno all'unica figlia, Lucy, che viene a bussare alla porta di casa, che gli manda disperati messaggi sulla mail che lui ormai non legge più, se non per la procura dell'amico.
Anche un isolamento così ben organizzato però - Darke è un vero odiatore perfetto, odia tutti, qualunque essere umano, perfino i cani dei vicini che avvelena con tecniche sofisticatissime, perfino la donna dell'est, unica superstite che ha il permesso di entrare in casa sua per svolgere le pulizie - è destinato a fallire.
Ci sarà di mezzo la cocciutaggine della figlia e la salvezza di un bambino che lo costringeranno a uscire dal buio e piano piano ad abbandonarsi nuovamente e suo malgrado, alla vita.
Colmo di ghiotte citazioni - solo qualcuna esplicita, la maggior parte criptate e nascoste nel testo - Darke è un furbo romanzo sul mood dirompente del nichilismo e del cinismo a oltranza. Che andrebbe anche bene se non ci fosse, tra le righe - anzi, ad ogni riga - un sentimento insopportabile di autocompiacimento che vellicola il narcisismo letterario di Gekoski e del suo alter-ego Darke.
Il sarcasmo e la simpatia feroce che suscita a tratti Darke cerca infatti una complicità di tipo ricattatoria da parte del lettore. Ti mostro quanto sono cinico, quanto potrò disprezzare questa vita che vivo e che vivi tu e che viviamo, al patto che mi riconosci di essere intelligente più di te, e di muovere i fili di questo gioco letterario.
Darke non è credibile dall'inizio. La sua cattiveria feroce del post-isolamento contrasta con i racconti teneroni del pre-: la malattia della moglie Luzy, la vita molto borghese e convenzionale descritta nel pre-. E che tutto sommato Darke continua a fare nel suo elegante appartamento del quartiere londinese dove vive.
Gekoski, oltre alle sue amarezze personali - il decadimento fisico, la vita che non ha senso, la morte, la truffa e il ridicolo delle religioni, la malattia - che viene descritta con minuzia crudelissima e senza risparmio di particolari - ci mette anche dosi di sarcasmo a piene mani.
Ma se la sostanza dark - cioè nichilista - del libro fa impallidire perfino uno come Philip Roth, più volte citato nel testo e sicuramente riferimento letterario per Gekoski, il paragone letterario più vicino per questo romanzo è quello di Barney, cui Darke assomiglia molto. Ma l'opera di Richler sta a quella di Gekoski come una sinfonia rispetto ad un mottetto.
La capacità narrativa, oratoria, umoristica, definitiva di Richler apre infatti le porte a un vero e proprio mondo, dove il lettore è precipitato e coinvolto, fino alla fine, senza possibilità e volontà di potersi/volersi sottrarre. Il libro di Gekoski è invece un esperimento a freddo, che freddo rimane. Che non concede e non dà nulla al lettore. E' un piccolo sfogo di un futuro morente, che prima di andarsene sente l'umano bisogno di confessare il suo personale astio contro l'inconveniente di essere nato.
Una visione della vita - e anche della letteratura - deprimente, e che anche di questa depressione non riesce mai a fare arte.
Fabrizio Falconi
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