Andrei Makine, lo straordinario scrittore russo trapiantato da molti anni a Parigi (scrive in francese), cambia editore italiano e il suo nuovo romanzo - dopo la lunga permanenza con Einaudi - esce da La Nave di Teseo, tradotto da Vincenzo Vega.
Per chi conosce l'opera di Makine - Prix Goncourt e Prix Médicis nel 1995 per Il testamento francese - questo L'arcipelago della nuova vita rappresenta una svolta, non tanto nei temi - anche questo, come gli altri romanzi di Makine - racconta la vita negli anni della Russia sovietica, dallo stalinismo alla perestrojka, quanto nella scelta stilistica.
Al contrario dei romanzi precedenti, infatti, lo stile è meno sognante e meno frammentato in pagine colme di riferimenti simbolici e di atmosfere poetiche dilatate o concentrate nel breve svolgere di poche struggenti frasi; qui la trama si dipana in modo molto più classico, in una dimensione uni-direzionale, in una sorta di western siberiano, attraverso il lungo racconto di cinque soldati impegnati nell'inseguimento - nelle terre immense agli estremi confini orientali della Russia, ai confini del Pacifico - di un misterioso fuggitivo, evaso da un campo di prigionia.
In realtà questo lungo racconto è offerto attraverso l'espediente conradiano di un doppio registro: Pavel, il protagonista dell'inseguimento racconta tutta la storia ad un ragazzo appena arrivato a Tugur, la città dell'estremo oriente siberiano per occuparsi di geodesia. Incontrato quel misterioso cacciatore - Pavel - che sembra vivere come un eremita nella immensa taiga, si fa raccontare la sua storia.
Il ragazzo viene così a conoscenza di quei terribili anni della Guerra Fredda, degli esperimenti nucleari sovietici, dei campi di prigionia, della estrema crudeltà con la quale i cinque soldati, accompagnati da un cane, danno la caccia all'evaso, fino ad esserne - uno ad uno eliminati - : tutti tranne Pavel.
Molti anni più tardi, il ragazzo divenuto adulto tornerà in quella landa desolata, sperduta, immersa nel ghiaccio eterno, per ritrovare le tracce di Pavel e conoscere così la seconda parte della storia.
E' suprema la bravura con cui Makine riesce a scolpire i caratteri dei quattro compagni di Pavel, delle loro meschinità, crudeltà, messe alla prova dalle condizioni ambientali estreme in cui devono giocarsi una partita così difficile, con un fuggitivo che appare e scompare come un fantasma.
Ancora una volta Makine va alla radice dei nodi del cuore umano, di tutti i suoi infingimenti, delle sue penose autoassoluzioni, delle sue piccole e grandi tragedie. L'essere uomo è di tutte le qualità degli umani, la più difficile: sembra suggerirci.
In una soluzione ancora più radicale del solito, sembra qui, l'unica possibilità, quella di spingersi oltre, fuori; la soluzione di isolarsi dagli uomini. Di continuare a fare il proprio lontano dalla confusione, dalla massa e dalla pazzia.
Pavel è una specie di santo peccatore ed eremita. Che forse soltanto la grande cattedrale della Taiga, l'immane silenzio, la purezza del ghiaccio e del freddo, riescono a far tornare pienamente e del tutto umano.
Fabrizio Falconi
Nessun commento:
Posta un commento
Se ti interessa questo post e vuoi aggiungere qualcosa o commentare, fallo.