L’ordine iniziatico dei Fedeli d’Amore anche se ufficialmente
scomparso, è secondo alcuni ancora vivo, in Occidente anche ai nostri giorni.
Quel che è certo è che esso ha origini antichissime. Uno dei suoi presunti
padri è il notaio e poeta Francesco da Barberino, nato nel 1264 nella omonima località
in Val d’Elsa, autore di un’opera capitale della primissima letteratura
italiana, I documenti d’amore, composti tra il 1309 e il 1313.
L’Ordine si ispirava ad una disciplina
dell’Arcano e composto da sette diversi gradi iniziatici: le donne cantate
dagli adepti di questo ordine segreto traevano origine da un unico modello di
donna simbolica, una donna trascendente, una Madonna intelligente nella quale si ritrovavano anche diversi
elementi della simbologia orientale.
Questo Ordine così come altri simili,
intendeva il Cristianesimo come una via iniziatica (accessibile a pochi), in
grado di compiere trasmutazioni personali evolutive delle basi di conoscenze
individuali.
Dell’Ordine si riteneva – e si ritiene
anche oggi, non senza polemiche – facessero parte molti dei più grandi
intellettuali dell’epoca, come Cecco d’Ascoli, poeta e scienziato, condannato
al rogo, Guido Cavalcanti, Raffaello Sanzio e perfino Dante Alighieri, oltre a
Boccaccio e Petrarca.
Raffaello è stato secondo alcuni,
colui che meglio di altri, incarnò con la sua arte l’ideale supremo di bellezza
e armonia (estetica ed interiore) che nel Rinascimento trovò sua piena
compiutezza e che i Fedeli d’Amore
inseguivano come scopo realizzativo.
Una lunga tradizione legava la radice
esoterica di questo Ordine all’esoterismo esseno di matrice gnostica, che a sua
volta si riteneva proveniente dalla più solida tradizione egizia.
Del fatto che Raffaello fosse un
iniziato, ci si ricordò nella prima metà dell’Ottocento, quando si decise di
rintracciare la tomba del grande pittore che la tradizione voleva sepolto nel
Pantheon.
In effetti dopo la morte avvenuta nel
giorno di Venerdì Santo (circostanza quanto mai profetica), il 6 aprile del
1520, a soli trentasette anni di età, che aveva profondamente rattristato
l’intera corte papale (il pontefice era Leone X), Raffaello era stato sepolto,
secondo le sue espresse volontà, nel Pantheon, il monumento esoterico romano
per eccellenza, ponte di collegamento tra la terra e il cielo, gigantesco
astrolabio in pietra, di perfezione sublime, massima espressione dell’armonia
umana e divina.
L’umanista Pietro Bembo, amico
personale di Raffaello, aveva composto il celebre epitaffio: Ille hic est Raphael timuit quo sospite
vinci/ rerum magna parens et moriente mori, anch’esso di sapore
esplicitamente esoterico: qui giace quel Raffaello,
dal quale, lui vivo, la gran madre di tutte le cose, ovvero la Natura temette
di essere vinta e quando morì, temette di morire con lui.
All’inizio dell’Ottocento, autorevoli
studiosi misero in dubbio che le cose fossero andate veramente così e che la
tomba di Raffaello si trovasse davvero al Pantheon.
Si avanzò cioè il sospetto che si trattasse
di una leggenda originata dagli stessi confratelli del divino urbinate, i quali desideravano legare per sempre il suo nome
a quello del Pantheon, e che invece le sue spoglie si trovassero conservate
nella poco distante Basilica di Santa Maria Sopra Minerva.
Si decise dunque di effettuare degli
scavi per ritrovare il prezioso sarcofago, ma i primi saggi di ricerca,
compiuti il 9 di settembre del 1833, sotto il pontificato di Gregorio XVI non
diedero risultati, rafforzando l’ipotesi del complotto.
Ma quando le pale furono spostate in
un’altra direzione, quasi subito si imbatterono nella cassa d’abete dove, senza
alcun dubbio, era stato deposto il corpo di Raffaello.
Si procedette allora al recupero delle
ossa e ad una nuova inumazione in un’urna di marmo, la quale fu collocate
dietro l’altare della Madonna del Sasso, nello stesso luogo dove i resti erano
stati ritrovati per tre secoli.
E ancora oggi il sepolcro di Raffaello
costituisce un’altra delle attrattive della visita al Pantheon, con il
sarcofago conservato dietro una teca di vetro, con il distico di Bembo iscritto
sul bordo superiore, e due colombe in
bronzo che sembrano baciarsi in volo, a suggello della perfezione quasi divina
che il pittore seppe rappresentare con la sua opera.
molto bello...e tutto sembra trovare la sua collocazione, come in un quadrato magico
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