Esce per il piccolo ed elegante editore Il seme bianco uno dei libri più interessanti della stagione.
L'ha scritto Letizia Dimartino che è nata a Messina nel 1953 e vive a Ragusa. Poetessa che ha già alle spalle diversi volumi, da Verso un mare oscuro (Ibiskos, Empoli), a La voce chiama (Archilibri, Comiso 2010), fino al suo ultimo Stanze con case, uscito nel 2015 per Giuliano Ladolfi Editore, la Di Martino è quella che si può considerare una vera outsider della scena letteraria italiana, nel senso più nobile che si può dare a questa parola: quello di autore appartato, che non ha mai frequentato i salotti giusti e che vive semplicemente della sua sofferta ispirazione.
Il libro della Dimartino è prezioso innanzitutto perché frequenta un genere molto raro per l'editoria italiana, quello della prosa poetica, del racconto poetico. Quel territorio proficuo e ambiguo dove la parola si fa sfuggente, non definisce interamente, non racconta e basta, ma spezza un ordine preesistente, rompe i piani del lettore, costringe ad un continuo ri-pensamento.
E' così in questo insieme di 12 racconti (numero forse non casuale), che racchiudono in fondo un'unica storia, un unico flusso di voce.
L'altro genere che questo libro frequenta è il memoir, il racconto auto-biografico che riannoda momenti della propria vita in una sorta di vortice ruminante. Frammenti che si sovrappongono e si chiamano uno che l'altro, componendo il caleidoscopio di una esistenza.
E' come se anche qui, i ricordi non possano dipanarsi secondo un ordine, secondo una logica, ma soltanto attraverso la personale sensibilità dell'autrice, che questi ricordi vede vorticare sopra il suo letto, sopra la sua stanza, entro la quale ha scelto di recludersi per tentare di essere - come sosteneva Pascal - in pace con se stessi.
E però nessuna pace è in fondo veramente possibile, finché si è vivi. I ricordi aiutano, fanno pensare, fanno bene e fanno male, ma non salvano. Perché ciò che è perduto, non torna mai definitivamente.
Lo avverte, il libro, già dall'epigrafe, riportando una dura sentenza dai Tristia di Ovidio:
Se mai qualcuno ci sarà che chieda della mia vita, gli dirai che vivo, ma non gli dirai che sono salvo.
La Dimartino è in queste pagine, senza difesa. Racconta e si racconta in ogni stagione della vita, a volte sovrapponendo i tempi e i luoghi. Ma con la consapevolezza di un carattere-destino che si annuncia già precoce. Scrive nel primo racconto - Caro Diario :
Camminavo già poco, ero giovane ero triste avevo una figlia piccola con i riccioli chiari l’amore stavo perdendolo, guardavo e tutto mi scappava. Avevo solo la sofferenza nuova che pervadeva un corpo bloccato, i pensieri non liberi, i giorni sciupati. Ero a Ginevra, anni ’80, splendidi. I colori della notte che non arrivava mai nel suo cielo cristallino. Non sapevo cosa volesse dire essere adamantina. Non sapevo nulla. La poesia mai immaginata. Né lo scrivere tutto. I medici vedevano le mie lacrime. Mi meravigliavo di averle. Tutto cominciava. Non sapevo il mio ancora. Ginevra celeste.
E' un diario che a volte assume il carattere di agenda. L'agenda della vita esteriore che scandisce il passaggio di tempi interiori infinitamente dilatati, o angosciosamente ristretti. Come scrive in Ore:
Alle 10:20 penso al mio amico poeta che scrive: «Il mondo comincia ogni quaranta minuti esatti». Ne rido divertita. Anche a me succede, a me che sto ferma e non attraverso strade e città. Che non prendo treni e aerei, che non vedo più stazioni e non posseggo valigie. A me cui tutto non gira. Ogni quaranta minuti tutto cambia. Sarà perché lo voglio sarà perché forse è vero sarà perché la poesia non toglie il sospiro e dona parole sconosciute e giorni e ore.
Ritornano, fra queste pagine, amori perduti, amori viscerali, incontri casuali, figli, mariti, e soprattutto case. Poi storie:
E Santino si inventa un amore immediato. Quando la giovane donna lo condurrà al mare lui le terrà la mano. Non guida, ha paura. Ma la mano di lei è maschia e porta conforto. Non parlano. Santino non parla quasi più. Ha un regalo per lei. Ne avrà tanti. Lei accetta. Ha la città nel cuore, ha un figlio da crescere. Ha una casa vuota e Santino potrebbe salvarla. Chissà.
Figure che non si dimenticano, come quella descritta in Marta:
Non ha amiche, ama solo una persona. Che non ha occhi belli, che non ha una vita semplice, che cambia umore spesso. Marta ha nausea, ha pure paura. Lui si abbassa e la guarda. Stringe le sue dita.altri amori io? Avrò una vita? Ancora e ancora?».
L'impressione di uno scialo, di quello scialo che è la vita, trova contrasto nella forma inafferabile del ricordo personale, che è nervo, muscolo, cuore, arteria, sangue, pelle, segno, ruga. E' solo questo presente che testimonia l'importanza del vissuto e quindi anche i ricordi. Quel che non è stato non tornerà. Così come quel che è stato. Ma è proprio questo vortice di possibilità, di incontri, di straniamento, di avventura esteriore e interiore, il senso di questa leggera e dolorosa cosa che chiamiamo vita. Che non si finisce mai di ri-scrivere. Come dice l'autrice nelle ultime parole del suo bellissimo libro:
Tanti anni fa scrissi un romanzo. Ogni pomeriggio delle pagine. Erano complete e belle. Sì belle e ben scritte. In quel tempo stavo leggendo Kundera. Era estate. Lasciavo il suo libro e iniziavo il mio. Solo che era tutto nella mente, mai una parola sul foglio. E così l’ho perso, l’ombra del pomeriggio me la ricordo ancora, il letto dalle lenzuola fresche e la trama e tutto ciò che era diverso e inusuale. E l’ho perso, per sempre. Peccato. Non ricordo più neanche di cosa parlasse, forse di me in quadri singoli, c’era la mia prima casa, chi mi aveva amato. Forse sto rifacendolo il romanzo.
Fabrizio Falconi
E' così in questo insieme di 12 racconti (numero forse non casuale), che racchiudono in fondo un'unica storia, un unico flusso di voce.
L'altro genere che questo libro frequenta è il memoir, il racconto auto-biografico che riannoda momenti della propria vita in una sorta di vortice ruminante. Frammenti che si sovrappongono e si chiamano uno che l'altro, componendo il caleidoscopio di una esistenza.
E' come se anche qui, i ricordi non possano dipanarsi secondo un ordine, secondo una logica, ma soltanto attraverso la personale sensibilità dell'autrice, che questi ricordi vede vorticare sopra il suo letto, sopra la sua stanza, entro la quale ha scelto di recludersi per tentare di essere - come sosteneva Pascal - in pace con se stessi.
E però nessuna pace è in fondo veramente possibile, finché si è vivi. I ricordi aiutano, fanno pensare, fanno bene e fanno male, ma non salvano. Perché ciò che è perduto, non torna mai definitivamente.
Lo avverte, il libro, già dall'epigrafe, riportando una dura sentenza dai Tristia di Ovidio:
Se mai qualcuno ci sarà che chieda della mia vita, gli dirai che vivo, ma non gli dirai che sono salvo.
La Dimartino è in queste pagine, senza difesa. Racconta e si racconta in ogni stagione della vita, a volte sovrapponendo i tempi e i luoghi. Ma con la consapevolezza di un carattere-destino che si annuncia già precoce. Scrive nel primo racconto - Caro Diario :
Camminavo già poco, ero giovane ero triste avevo una figlia piccola con i riccioli chiari l’amore stavo perdendolo, guardavo e tutto mi scappava. Avevo solo la sofferenza nuova che pervadeva un corpo bloccato, i pensieri non liberi, i giorni sciupati. Ero a Ginevra, anni ’80, splendidi. I colori della notte che non arrivava mai nel suo cielo cristallino. Non sapevo cosa volesse dire essere adamantina. Non sapevo nulla. La poesia mai immaginata. Né lo scrivere tutto. I medici vedevano le mie lacrime. Mi meravigliavo di averle. Tutto cominciava. Non sapevo il mio ancora. Ginevra celeste.
E' un diario che a volte assume il carattere di agenda. L'agenda della vita esteriore che scandisce il passaggio di tempi interiori infinitamente dilatati, o angosciosamente ristretti. Come scrive in Ore:
Alle 10:20 penso al mio amico poeta che scrive: «Il mondo comincia ogni quaranta minuti esatti». Ne rido divertita. Anche a me succede, a me che sto ferma e non attraverso strade e città. Che non prendo treni e aerei, che non vedo più stazioni e non posseggo valigie. A me cui tutto non gira. Ogni quaranta minuti tutto cambia. Sarà perché lo voglio sarà perché forse è vero sarà perché la poesia non toglie il sospiro e dona parole sconosciute e giorni e ore.
Ritornano, fra queste pagine, amori perduti, amori viscerali, incontri casuali, figli, mariti, e soprattutto case. Poi storie:
E Santino si inventa un amore immediato. Quando la giovane donna lo condurrà al mare lui le terrà la mano. Non guida, ha paura. Ma la mano di lei è maschia e porta conforto. Non parlano. Santino non parla quasi più. Ha un regalo per lei. Ne avrà tanti. Lei accetta. Ha la città nel cuore, ha un figlio da crescere. Ha una casa vuota e Santino potrebbe salvarla. Chissà.
Figure che non si dimenticano, come quella descritta in Marta:
Non ha amiche, ama solo una persona. Che non ha occhi belli, che non ha una vita semplice, che cambia umore spesso. Marta ha nausea, ha pure paura. Lui si abbassa e la guarda. Stringe le sue dita.altri amori io? Avrò una vita? Ancora e ancora?».
L'impressione di uno scialo, di quello scialo che è la vita, trova contrasto nella forma inafferabile del ricordo personale, che è nervo, muscolo, cuore, arteria, sangue, pelle, segno, ruga. E' solo questo presente che testimonia l'importanza del vissuto e quindi anche i ricordi. Quel che non è stato non tornerà. Così come quel che è stato. Ma è proprio questo vortice di possibilità, di incontri, di straniamento, di avventura esteriore e interiore, il senso di questa leggera e dolorosa cosa che chiamiamo vita. Che non si finisce mai di ri-scrivere. Come dice l'autrice nelle ultime parole del suo bellissimo libro:
Tanti anni fa scrissi un romanzo. Ogni pomeriggio delle pagine. Erano complete e belle. Sì belle e ben scritte. In quel tempo stavo leggendo Kundera. Era estate. Lasciavo il suo libro e iniziavo il mio. Solo che era tutto nella mente, mai una parola sul foglio. E così l’ho perso, l’ombra del pomeriggio me la ricordo ancora, il letto dalle lenzuola fresche e la trama e tutto ciò che era diverso e inusuale. E l’ho perso, per sempre. Peccato. Non ricordo più neanche di cosa parlasse, forse di me in quadri singoli, c’era la mia prima casa, chi mi aveva amato. Forse sto rifacendolo il romanzo.
Fabrizio Falconi
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