Secondo Kierkegaard la disperazione è un difetto nella comunicazione e nella "convivenza" con se stesso dell'uomo, e presenta - nel mondo contemporaneo - tre modalità.
1. La prima, la più grave è quella di chi ritiene e dice di non avere alcun problema di disperazione: tale "serenità" infatti, discende dalla sua tragica inconsapevolezza di essere spirito, di avere la dignità di uno spirito che ha in sé qualcosa di eterno. Questo tipo di uomo che ignora di essere disperato, ma in realtà sta confitto nella disperazione più buia, potrà anche compere imprese insigni nella sua vita, ma rischia di attraversarla senza mai arrivare a rendersi conto della propria natura, senza sapere nemmeno per un giorno, chi è veramente.
2 e 3. Ci sono poi uomini la cui disperazione consiste nella loro incapacità di "gestire" con equilibrio il rapporto che sono. Tale rapporto consiste in una delicata interazione di finito e infinito, così come di possibilità e necessità; ebbene questi uomini sbagliano il "dosaggio" dei suoi fattori, che non sanno conciliare armonicamente, e vivono sbilanciati dalla parte di uno, a radicale discapito dell'altro. E' così che alcuni di loro soffrono della disperazione del finito o di quella piuttosto affine della necessità, mentre altri sono affetti della disperazione dell'infinito o da quella non dissimile della possibilità.
2. Il primo è incapace di qualunque "volo" che lo sollevi da terra, dove se ne sta abbarbicato a qualche particolare bene o risorsa mondana, e soprattutto, si accoda come un pecorone alle tendenze dominanti, facendo di se stesso una grottesca scimmiottatura nella quale non è difficile scorgere l'antenato dell'uomo-massa, prono alla dittatura dell'opinione pubblica imposta dai mass-media; oppure resta quasi paralizzato dall'idea ossessiva che ogni singolo segmento dell'accadere sia posto sotto l'egida della necessità, che esercita su di lui un effetto di soffocamento depredandolo di ogni speranza e di ogni scioltezza e levità nell'approccio della vita.
3. Il secondo è colui che progetta e fantastica molto, si figura interi mondi di possibilità in cui si muove con sfrenata libertà, si sente di avere tanta energia da poter compiere grandi e molteplici imprese in tempi brevi fin quasi al limite dell'istantaneità; ma intanto smarrisce i contatti con la realtà, si dimentica della dura fatica implicata dal confronto-scontro con le difficoltà e i rallentamenti che essa impone ad ogni piè sospinto, e così finisce per non realizzare nulla, perché, tutto parendogli possibile, nulla gli diventa reale.
Tratto da Marco Fortunato, Focus su Kiekegaard, RCS-Milano 2014.
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