Francesco Piccolo, nell'ultimo numero de La Lettura, riaffronta l'annosa questione del Male sullo schermo (Dalla parte del Male, 29 maggio 2016), prendendo a spunto il successo della violenta serie Gomorra 2, dove praticamente i buoni non esistono più, e i cattivi sono diventati perfino modelli da emulare, come avviene anche per House of Cards e innumerevoli altri prodotti dell'entertainment contemporaneo.
Piccolo dedica quasi tutto il suo lungo articolo alla dimostrazione che il diritto di progenitura per questo sdoganamento del male, spetta di diritto ad Alfred Hitchcock, e in particolare al celebre Nodo alla gola (Rope), girato nel 1948, dove il genio londinese, ispirandosi ad un dramma teatrale di Patrick Hamilton (a sua volta ispirato da un fatto di cronaca, avvenuto nel 1924, l'assassinio gratuito di un ragazzino da parte di due giovani uniti da un legame omosessuale, che sconvolse l'America) mise in scena un incredibile film girato in unico ambiente, con 11 piani sequenza, considerato oggi una pietra miliare del cinema.
La teoria di Piccolo - ampiamente ripresa dalla celebre intervista di Francois Truffaut a Hitchcock (Il cinema secondo Hitchcock, 1966) - è che fu proprio Hitchcock a sovvertire per la prima volta il senso morale dello spettatore, portandolo a schierarsi dalla parte dei due omicidi. Durante il film, dice Piccolo, Hitchcock induce lo spettatore a parteggiare per loro, a sperare che la celebre cassapanca dove i due hanno nascosto il corpo della vittima innocente, non venga aperta; che i due non vengano smascherati dal professore di filosofia Cadell (James Stewart) insospettito dal comportamento dei suoi due studenti, che hanno messo in pratica fino all'estremo, le sue teorie.
La teoria di Piccolo non mi convince, perché l'ho sperimentata su di me. E in tutte le volte che ho visto quel film mi sono invece ritrovato dalla parte dello spettatore che 'spera' che i due vengano scoperti, cosa che non avviene (se non alla fine) per una serie fortuita di circostanze, che Hitchcock è maestro nell'accumulare, tenendo in pugno la curiosità dello spettatore.
In realtà Hitchcock, come sanno quelli che l'hanno studiato, era il più moralista dei moralisti, e il suo gioco, nei suoi grandiosi film, è stato sempre quello di manipolare lo spettatore, mettendolo a conoscenza di cose che i protagonisti non sanno.
Giocando insomma, con l'ansia di giustizia dello spettatore, ed esasperandone l'attesa. Senza sovvertirla mai, nei valori morali di riferimento.
Mi sembra invece che se proprio si vuole trovare un capostipite di questo geniale e terribile rovesciamento morale, esso vada cercato in Stanley Kubrick e nel suo Arancia Meccanica (1971), tratto dal romanzo di Anthony Burgess.
In quel film, infatti, per la prima volta, viene completamente rovesciato il senso morale dello spettatore, il quale - seguendo le atroci scorribande di Alex e della sua banda - è condotto per mano, prima a simpatizzare con il contesto (Alex è un delinquente glamour, un vero dandy, dai gusti raffinati, che si esalta con Beethoven e che pratica l'ultra violenza gratuita come fosse arte) - e poi a schierarsi decisamente con lui (con un omicida efferato, un violentatore, un sadico), quando il sistema, attraverso La cura Ludovico, lo trasforma in un docile agnello che prende calci e non li restituisce perché non può.
Quando nel finale del film si intuisce che Alex è 'guarito' dalla cura, ed è tornato quello di prima, il suo ghigno efferato ha conquistato definitivamente lo spettatore. Tutti, nessuno escluso, siamo felici che Alex sia diventato la bestia d'uomo che era prima.
Nessuno era arrivato a tanto, e con tale esemplare chiarezza enunciativa. Arancia Meccanica per la prima volta scoperchiava il cuore nero degli spettatori, e li costringeva, senza più filtri, a guardarvi per bene dentro.
Fabrizio Falconi
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