La Cappella di San Severo a Napoli
di Fabrizio Falconi
Dieci anni della mia
vita pur d’essere lo scultore del Cristo Velato ! La celebre esclamazione, frutto di una sconfinata ammirazione unita alla
irrefrenabile invidia degli artisti, suole essere attribuita nientemeno che ad
Antonio Canova quando nel 1780,
in visita a Napoli, alla Cappella dei principi di
Sansevero, si trovò di fronte l’incredibile ritratto scolpito del Cristo morto velato, adagiato su di un
giaciglio, la testa reclinata su due cuscini, ai piedi gli strumenti del
supplizio.
Lo stupore di Canova, però, come anche il nostro oggi, era pienamente
giustificato: come aveva fatto un giovane
scultore di soli trentadue anni, Giuseppe Sanmartino, ancora poco conosciuto, a realizzare un’opera
di tale virtuosismo ? Il Cristo, sotto il velo minutamente realizzato in ogni
piega, in ogni spessore, come forse mai prima di allora, sembrava davvero
appena cristallizzato dopo il supplizio e la morte, ancora palpitante, come se
la vita l’avesse appena lasciato.
Com’era possibile un tale prodigio ?
Se lo continuarono a chiedere in tanti, anche dopo la visita di Canova, e
riuscirono anche a darsi una spiegazione: quella magia, quella straordinaria
esibizione di bravura, non era tutta farina
del sacco del giovane scultore, non era opera sua l’invenzione di una
simile tecnica di lavorazione del marmo. No, c’era di mezzo qualcuno di molto
più sapiente, nello studio e
nell’utilizzo delle più segrete tecniche alchemiche. Era stato lui, era stato sicuramente il
principe Raimondo de Sangro, l’erudito colto studioso misantropo, che aveva
commissionato l’opera dapprima al veneziano Antonio Corradini e poi alla morte
di questo proprio al Sanmartino e che a quest’ultimo aveva insegnato le segreti
arti di trasformazione dei materiali, per permettergli di realizzare un’opera
unica al mondo.
A questo proposito c’è da dire che le leggende a proposito del Principe
Raimondo sono fiorite e hanno prosperato con il passare dei decenni a Napoli,
città dove lo scambio e la tradizione orale hanno potere come in pochi altri
posti al mondo, e c’è da capirlo vista la fama che circondò in vita l’artefice della
Cappella.
Raimondo proveniva, per nascita, dall’alta aristocrazia dei Grandi di Spagna. La sua famiglia
vantava estesi possedimenti nelle Puglie, ed è proprio qui, nel feudo di
Torremaggiore che nacque Raimondo, nel 1707. (1)
I suoi genitori erano Cecilia Gaetani dell’Aquila d’Aragona, membro di una
delle casate patrizie più antiche d’Italia, e Antonio di Sarno, duca di
Torremaggiore.
La madre Cecilia, morì pochi mesi dopo il parto. Al suo ricordo, Raimondo rimase per sempre
devoto, e nel suo Pantheon personale, che è la Cappella di cui ci stiamo
occupando, a lei dedicò la statua della Pudicizia velata, che fece realizzare da
Antonio Corradini nel 1752, dove già si evidenziano i prodigi della lavorazione
del velo che copre il corpo della donna, sostenuto da una lapide spezzata, a
simboleggiare proprio la prematura scomparsa della madre.
Il padre,
Antonio di Sangro, era invece un nobile dal carattere vanesio e libertino.
Troppo preso dalle sue tresche, pensò
bene di affidare il figlio, orfano di madre, alla cura dei nonni
paterni. Nel frattempo, invaghitosi di
una giovane ragazza, ne fece uccidere il padre che si opponeva alla relazione.
Il fattaccio avvenne in Puglia, nella città di Sansevero, dove i duchi avevano
sempre goduto di fama e rispettabilità. Stavolta però il delitto fu talmente
sfacciato da non poter essere perdonato: il sindaco di Sansevero impugnò un
procedimento penale contro il principe Antonio, che fu costretto a fuggire e a
rifugiarsi presso la Corte di Vienna, da dove cercò di difendersi dalle accuse
grazie alla protezione dell'Imperatore. Quando il Tribunale pugliese, su
pressione diplomatica, archiviò il caso, Antonio poté rientrare nei suoi feudi
ma ancora non pago, decise di vendicarsi ordinando l’uccisione di quello che era
stato il suo principale accusatore. Una
nuova fuga lo portò stavolta a Roma, dove però Antonio di Sangro trovò il modo
di convertirsi, dopo essersi pentito dei suoi misfatti, prese i voti e si
ritirò in convento.
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