All'indomani della pubblicazione dei "Quaderni neri" qualcuno
si e' accanito a difendere i testi di Martin Heidegger; qualcuno
ha girato le spalle al filosofo tedesco e qualcun altro ha
adottato la terza via: riflettere.
E farlo anche sulla
"coscienza infelice", quella che deriva dalla riconoscenza
dell'allievo verso il maestro.
E' questo il caso di Donatella Di
Cesare, che dopo "Heidegger e gli ebrei" del 2014, lo scorso
novembre ha dato alle stampe "Heidegger & sons", titolo che
richiama la "ditta" costituita da soci ed eredi dell'autore di
"Essere e tempo", ma anche da investitori in fuga: esemplare il
caso di Gunter Figal, autore di cinque libri e numerosi articoli
sul filosofo, dal 2003 al 2015 presidente della fondazione
Heidegger, che ha improvvisamente dichiarato "la fine
dell'heideggerismo".
Poco amata dalla famiglia Heidegger, e soprattutto dal figlio
del filosofo, Hermann (custode a quanto pare poco disinteressato
della proprieta' intellettuale del padre), anche Di Cesare nel
marzo 2015 si e' vista costretta a lasciare la fondazione (dal 3
marzo vive sotto scorta per le minacce subite dall'estrema
destra), senza per questo "diseredarsi", neanche dopo quella che
lei stessa definisce la "tempestosa resa dei conti" con il
filosofo di Messkirch, che nei suoi Quaderni e' arrivato a
sostenere l'aberrante tesi dell'autoannientamento degli ebrei.
Di Cesare non fa l'avvocato difensore del filosofo, ma non
ama i rottamatori: "Il 'caso Heidegger' e soprattutto la
pubblicazione dei Quaderni neri hanno fatto emergere un fenomeno
altrimenti inconsueto nella filosofia, quello dell'incursione
del rottamatore che si presenta nell'agorà non per discutere,
bensì per fare piazza pulita. A questo scopo ha bisogno che
tutto sia bianco o nero. Il terzo e' escluso, cosi' come e' escluso
quel chiaroscuro che e' il luogo in cui, sopportando
l'indecisione e la domanda aperta, soggiorna e si sofferma la
filosofia".
Hans Georg Gadamer, che di Heidegger fu allievo,
avrebbe detto che "il comprendere e' l'originario modo di
compiersi dell'esserci".
Ma la tentazione di proscrivere Heidegger e' molto diffusa e
Di Cesare mette in guardia da che potrebbe essere una facile
scappatoia: "La filosofia tedesca, incapace di uscire dal cono
d'ombra proiettato dal suo pensiero, prova a demolirne la
figura. Cosi' diventa molto piu' facile cancellare con un colpo di
spugna non solo Heidegger, ma anche il passato recente che pesa
sempre di piu': la fine dell'ebraismo tedesco, le leggi di
Norimberga, la Shoah".
Hannah Arendt, che di Heidegger fu allieva e amante, dopo
l'adesione del filosofo al partito nazista e l'elezione a
rettore nell'ateneo di Friburgo (mentre lei fuggiva prima di
essere rinchiusa nel campo di internamento di Gurs) dira' di lui
che e' un "potenziale assassino".
Questo non le impedisce, a
guerra finita, tornata in Europa da New York, di incontrarlo di
nuovo e fare marcia indietro sui suoi giudizi.
Ma dal dopoguerra
fino alla morte, avvenuta nel '76, Heidegger non ha mai
pronunciato una parola di condanna della Shoah e dopo la
pubblicazione dei Quaderni neri e' chiaro che la sua non era la
posizione di un antipolitico per scelta, di cui si servi' persino
il suo allievo Herbert Marcuse, il cui "L'uomo a una dimensione"
fu "la rilettura in chiave rivoluzionaria di 'Essere e tempo'",
spiega Di Cesare.
L'autrice definisce quello di Heidegger un
"antisemitismo metafisico", accentuandone cosi' la gravita'.
Del
resto il filosofo "ha aderito al nazismo per convinzione -
scrive Di Cesare - muovendo dal suo pensiero. Percio' si e'
trattato, non di un 'errore', bensi' di un rapporto lungo,
profondo, complesso che non si e' esaurito con la fine della
guerra".
E qui Di Cesare avverte che i Quaderni neri sono motivo per
meditare non solo sull'antisemitismo del passato, ma anche su
quello a venire". E intravede tracce di razzismo laddove le
parole giocano a nascondersi: "Il neoantisemita non scrive sui
muri 'morte agli ebrei', ma parla del 'business della Shoah'".
DONATELLA DI CESARE
"HEIDEGGER & SONS"
BOLLATI BORINGHIERI
PP.148, 13 EURO
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