Quando Nicolas Roeg nel 1976 gli cucì addosso il ruolo dell'uomo che cadde sulla terra, nella storia tratta dal libro di Walter Tevis, il regista britannico eternizzò Bowie in quel ruolo di marziano che un po' egli si era scelto all'inizio della carriera, e un po' gli veniva attribuito un po' dovunque.
Oggi che è morto, di David Bowie si può dire che fu, è stato, maestro di eleganza e di intelligenza.
Il rock come linguaggio colto e contemporaneo, ha trovato in Bowie uno dei suoi epigoni migliori.
L'essenza british si è mescolata in lui, con il fascino cosmopolita dell'arte tout-court: musica, finzione, rappresentazione, immagine, doppio, deviazione, ambiguità, eleganza formale.
Come ogni vera icona, Bowie ha saputo incarnare lo spirito del tempo.
Egli continuerà a parlare di sé - e del mondo che era e che diventa ogni giorno - alle generazioni future con la musica (che invecchia o non invecchia, resta o non resta) e con la sua immagine di pieno artista.
Una presenza che mancherà dunque solo virtualmente. Bowie è più che mai qui, più che mai nello spirito del (nostro) tempo.
Fabrizio Falconi
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