20/05/14

Dieci grandi anime. 9 . Etty Hillesum (2./)



Dieci grandi anime. 9 . Etty Hillesum (2./) 


Ma – prosegue nella ricostruzione Klaas A.D. Smelik – la pubblicazione a parte di due lettere che Etty aveva scritto da Westerbork, lo incoraggiò a non demordere. Arrivò così l’incontro, nel 1979, con l'editore J.G. Gaarlandt.  Nel frattempo il padre di Klaas era morto.  L’editore  diede ordine di far trascrivere i diari – la calligrafia di Etty era pessima – e procedette alla pubblicazione di tutti, tranne due – quelli contrassegnati con il n.6 ed il n.7 che nel frattempo erano scomparsi.   Presentata nel 1981, l’antologia ebbe un successo immediato, enorme.  In poco tempo si consumarono diciotto ristampe e traduzioni in Inghilterra, Stati Uniti, Italia, Spagna, Brasile, Svezia, Norvegia, Danimarca, Finlandia, Israele e Giappone. 


Nel frattempo era anche ‘miracolosamente’ tornato alla luce il sesto quaderno – il settimo è a tutt’oggi introvabile – ed era stata istituita, il 17 ottobre 1983, la Fondazione Etty Hillesum che si è impegnata in questi anni in un prodigioso recupero dei testi originali, di quelli mancanti – con il ritrovamento di venti lettere indirizzata all’amico Osias Korman, detenuto anche lui a Westerbork (4) – nella pubblicazione di un’edizione integrale dell’opera, critico-scientifica,  accessibile a tutti,  e nella ricerca dei testimoni, di tutte quelle persone ancora in vita che ebbero occasione di conoscere Etty Hillesum.


Leggere di queste traversie che accompagnarono la pubblicazione delle lettere e dei diari –  durate 40 anni – prima che un editore si rendesse conto della eccezionalità assoluta degli scritti che gli erano capitata tra le mani, lascia solo in parte stupefatti:  le pagine di Etty Hillesum, infatti, anche se destinate a tutti, a ogni potenziale lettore, non sono mai facili.

Etty era quella che si definirebbe infatti, una anima inquieta. Sempre in bilico, sempre alla ricerca di un equilibrio tra stati di profonda e introspettiva sofferenza ed estasi improvvise, tra illuminazioni maturate al termine di impietosi percorsi di autoconoscenza e autoanalisi e cedimento o volontario abbandono  al dominio dei sensi.

Un po’ di questa inquietudine l’aveva forse ereditata dallo spirito russo della madre, Rebecca Bernstein, nata nella provincia del Potsjeb nel 1881, e finita in Olanda a seguito del pogrom del 1907.  

Ad Amsterdam cinque anni dopo, nel 1912 aveva sposato Louis (Levi) Hillesum, anche lui ebreo, insegnante liceale.  Dal matrimonio erano nati tre figli, la primogenita Etty, nel 1914,  e poi  i due maschi Jacob (Jaap) nato due anni dopo e Misha nato nel 1920.  Una intera famiglia che fu spazzata via dal nazismo.  

Insieme ad Etty, nel lager di Auschwitz trovarono infatti la morte i genitori e il più piccolo Misha. A Jacob toccò invece l’amaro destino di sopravvivere loro, scampando al viaggio verso il campo di concentramento, e di morire dopo la liberazione, nell’aprile del 1945, durante il viaggio di ritorno a casa.

Una inquietudine, quella di Etty, che risulta dichiarata in modo quasi programmatico in un passo di una sua lettera: Io credo che nella vita si possa ricavare qualcosa di positivo in tutte le circostanze, ma che si abbia il diritto di affermarlo solo se personalmente non si sfugge alle circostanze peggiori. (5)


Dichiarazione che costerà ad Etty una fedeltà totale al suo destino, fino al consapevole sacrificio finale.  Quella fedeltà che gli farà scrivere, in una delle ultime lettere dalla prigionia di Westerbork, quando ormai è imminente la partenza per Auschwitz: La vita qui non consuma troppo le mie forze più profonde. Fisicamente forse si è un po’ giù e spesso si è immensamente tristi, ma il nostro nucleo interiore diventa sempre più forte (6).  E ancora:  Una volta è un Hitler, un’altra è Ivan il Terribile; per quanto mi riguarda; in un caso è la rassegnazione, in un altro sono le guerre, o la peste e i terremoti e la carestia. Quel che conta in definitiva è come si sopporta, e risolve il dolore, e se si riesce a mantenere intatto un pezzetto della propria anima. (7)

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 

4.   Korman, ebreo di origine polacca, ha a sua volta una storia straordinaria:  fu infatti uno dei passeggeri della Saint Louis, la nave salpata dal porto di Amburgo  il 13 maggio del 1939 con destinazione L' Avana e con 936 ebrei tedeschi in fuga dalla Germania. Il rifiuto delle autorità cubane e poi di quelle statunitensi di accogliere i rifugiati costrinse il comandante a tornare in Europa. Osias Korman, quattro anni dopo finì a Westerbork. In una lettera a lui indirizzata  Etty scrive: L'unica cosa che si può fare è di lasciare scaturire in ogni direzione quel po’ di buono che si ha in sè. Tutto il resto viene dopo. Se Osias sopravvisse alla difficile esistenza nel campo di transito, fu anche grazie a Etty.
5.   Etty Hillesum, Lettere (1942-1943),  a cura di Chiara Passanti, prefazione di Jan G.Gaarlandt,  Adelphi, 1990, pag. 27.
6.    E. Hillesum, Lettere, Op.cit. p.88
7.    Etty Hillesum, Diario (1941-1943),  a cura di J.G. Gaarlandt, Adelphi, 1985  pag. 161. 

Nessun commento:

Posta un commento

Se ti interessa questo post e vuoi aggiungere qualcosa o commentare, fallo.