L'attesa non è soltanto il tempo del tormento e dell'ansia.
L'attesa, la vigilia, l'avvento (in termini religiosi/cristiani) è (anche) il tempo della gioia.
In psicologia, solo colui che aspetta (qualcosa o qualcuno) è realmente vivo. Quando non si aspetta più nulla o nessuno, si è semplicemente rassegnati o cinici (e in termini psichici formalmente morti).
Anche chi pratica le discipline orientali (e occidentali) del distacco dalle cose materiali e dagli attaccamenti terrestri, non rinuncia mai ad attendere. Anche soltanto ad attendere ciò che arriva - e ad accettarlo incondizionatamente - dalla vita.
Attendibile è la verità che ci scuote, che dirime il dubbio.
L'attesa è il tempo in cui la spada resta nell'elsa. Il tempo nel quale il chicco di grano matura sotto le coltri di neve, in attesa della prossima primavere. L'attesa è il tempo nel quale un feto si forma completamente nel ventre della madre. La madre che aspetta un figlio.
L'attesa è carica di promesse. E in fondo la nostra mente non fa che - continuamente - predisporsi all'attesa. La nostra giornata è questo: disponiamo di un ordine mentale che ci fa aspettare la prossima cosa, il prossimo impegno, il prossimo svago, quella cosa che prima o poi arriverà e ci farà sentire un po' meglio.
Quando non si desidera e non si aspetta più nulla, si dice clinicamente che si è inclini alla depressione.
E non importa, generalmente, che le promesse dell'attesa si concretizzino o meno. La fiducia o la speranza è più importante. Soltanto una fede in quel che accadrà determina lo scenario futuro abitabile per la nostra mente.
Contro questa determinazione vivente - la volontà naturale che si impone e trova sempre i mezzi per avverarsi - si oppone il realismo pessimistico di Schopenhauer e di diversi altri: la speranza è una vana illusione. Bisogna vivere - dice S. - come se si fosse dentro una colonia penale. E gli altri non sono altro che i nostri compagni di prigionia.
Ma perfino Schopenhauer concorderebbe sul fatto che anche un coscritto in un campo di prigionia attende qualcosa: la fine della pena o una fuga, una evasione dalla colonia penale.
In fondo ciò che possiamo fare di meglio in questa vita - che è essa stessa una attesa - è abitare lo stato/gli stati di attesa e viverli con la maggiore pienezza possibile.
Pre-gustando, immaginando, interloquendo con i nostri sogni e aspettative, confrontandoli con il principio di realtà. Non rinunciando mai ad assaporare quel che di meglio la vita ha da offrirci e quello che di meglio noi abbiamo da offrire a lei. Il compimento (felice e consapevole) di una attesa.
Fabrizio Falconi (C) -2014 riproduzione riservata.
foto in testa dell'autore: particolare dell'Ares Ludovisi a Palazzo Altemps
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