La bandaccia
La visione di un morto suscita quasi sempre, e comunque sempre se ci è ignota la sua nefandezza, un moto a tratti incontenibile di pietas.
Quel corpo esanime è stato un tempo un coacervo di sentimenti, di proposizioni, di festa e di grida ed ora giace per ricordarci il nostro limite di umani, o grida vendetta per l’oltraggio subito e grida perché qualcuno ripari quel torto o, al limite, ci indichi una strada meno impervia della desolata sterrata dell’Idroscalo.
Il cadavere di Pasolini, rimesso in posizione supina, rimanda a «La morte di Chatterton» di Henry Wallis, laddove il suicidio del giovane poeta si ammanta di simboli e a questi rimanda per la sua interpretazione; e, ancora, «La morte di Marat» di Jacques-Louis David anch’esso, forse in misura maggiore, contiene riferimenti simbolici e segni. Marat, nel quadro, sembra contrastare la morte con il sorriso che la beffeggia.
Il rivoluzionario sembra in posa, non nella condizione totalizzante della morte, ma perché tende a costituirsi come icona della rivoluzione, di una rivoluzione vincente. Sono i chiaroscuri caravaggeschi che conferiscono a «La morte della Vergine» una valenza di epifania e di attesa, pur nello sgomento degli astanti. Gli apostoli affranti e la perduta disperazione della Maddalena fanno da cornice ad un corpo riverso su un letto, con la mano destra sul ventre ad indicare cotanta maternità e i piedi nudi offerti al ludibrio e allo sconcerto dei benpensanti.
Un simbolismo accentuato da un drappo color vermiglio che indica sangue, la vita e la morte dunque ma, anche, nella sua composizione aerea rivolta verso il cielo, la nostra caducità.
Ma è «La zattera della Medusa» di Géricault a riportare alla nostra memoria l’orrore della notte della ragione che contemplò il supplizio del poeta. Le grida dei naufraghi che sovrastano la morte dei compagni e, ad uno ad uno, i volti dei morti e dei morituri ci vengono in aiuto nella decifrazione –in parte– della mattanza di Pasolini; i due naufraghi in cima alla piramide umana che con un drappo cercano di attirare l’attenzione di una vela all’orizzonte, ahimè troppo lontana, la vela della zattera che rigonfia allontana l’imbarcazione di fortuna dalla salvezza possono essere assunti a teoria paradigmatica di una verità che viene via via allontanata da inquirenti ignavi.
Il volto sfigurato di Pasolini sembra coperto dal belletto, ma non stiamo parlando di terra di cromo, di cinabro, di rosso carminio ma di sangue, di fango, di olio motore che condirono la sua passione riportandoci agli incubi e alla visionarietà di Joel Peter Witkin.
E anche la foto che riproduciamo, per i messaggi che invia, diventa iconica. Riaffiora Nicolino Selis, riaffiora Massimo Barbieri, uno della mala contiguo alla Banda divenuto inaffidabile a causa della sua tossicodipendenza ed eliminato da Danilo Abbruciati in seguito ad uno sgarbo che quello gli aveva fatto e al tentativo di omicidio che lo stesso Barbieri aveva compiuto sparando ad Abbruciati da una moto in corsa. E c’è poi Maurizio Abbatino. Il suo volto attento guarda in direzione del cadavere.
Il volto di Barbieri si staglia tra un poliziotto in divisa e uno in borghese come se sbirciasse, anche lui, alla volta del corpo di Pasolini ricoperto dal sudario mentre Selis, in terza posizione, è ripreso di profilo e sta sorridendo, ignoriamo a chi e con chi.
Selis vive ad Ostia, la sua presenza potrebbe essere resa plausibile dal clangore che la morte dello scrittore sta via via producendo: da dove abita all’Idroscalo si va a piedi. Il 2 novembre è un giorno festivo e quella morte diventa l’occasione della festa, una specie di attrazione da circo Barnum.
Abbatino no, lui non vive ad Ostia ma alla Magliana. La foto è stata scattata nella forchetta temporale che va dalle 9 alle 10, minuto più minuto meno. Non esistono ancora telefoni cellulari; la Polizia comincerà ad arrivare poco prima delle 7. Chi avverte Abbatino –e perché?- di portarsi all’Idroscalo?
È quanto meno curioso che due dei protagonisti della Banda della Magliana, due anni prima della costituzione ‘ufficiale’ della Bandaccia, si ritrovino insieme in quel contesto e in quel frangente. Per non parlare di Barbieri che, anche lui, avrà a che fare negli anni a venire con la banda. Inoltre, c’è una suggestione da sottolineare.
Al netto delle menzogne che Pelosi ha propalato da quando è rimasto invischiato in questa storia, al netto della ritrattazione sulla presenza di siciliani che si esprimevano in vernacolo («jarrusu»,ricordate?), non ha mai negato la presenza sul luogo del delitto di un uomo corpulento e con la barba, lo stesso che lo avrebbe allontanato a forza dal campo visivo. Questo farebbe pensare a Danilo Abbruciati. Abbruciati collabora con la Banda dei Marsigliesi, è verosimilmente già in contatto con Barbieri, è uomo di coraggio, solito ad azioni fuori degli schemi come l’attentato a Rosone finito male. Abbiamo parlato di suggestioni, il condizionale è d’obbligo. Ma le tessere del mosaico combacerebbero.
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