Il più grande trattato sulla vanità della vita e dei beni materiali è un quadro.
Per l'esattezza, uno dei più quadri più belli e misteriosi del mondo.
Lo ha dipinto il tedesco (originario di Augusta, in Baviera) Hans Holbein (1497-1543).
Il quadro, conservato alla National Gallery di Londra, rappresenta due ambasciatori francesi, un gentiluomo e un vescovo, ritratti a grandezza naturale, davanti ad un tavolo su cui sono sparsi vari simboli massonici e alchemici: una squadra, un compasso, vari orologi, un astrolabio, libri, un liuto, un goniometro, che rappresentano le arti del quadrivio (musica, aritmetica, astronomia, e geometria).
Il pavimento splendido è quello dell'Abbazia di Westminster.
E il quadro, oltre ad essere una allegoria delle arti, contiene un gioco prospettico formidabile.
Quella strana macchia allungata che si profila nella parte bassa del dipinto, infatti, se si cambia la prospettiva, e si osserva il quadro di taglio, di lato, dalla posizione coincidente con la mano sinistra del vescovo, rivela una grande sorpresa: un teschio terrificante.
Questo quadro è uno dei prototipi della cosiddetta tecnica anamorfica.
La capacità cioè di ritrarre immagini nascoste, sfruttando le leggi della prospettiva.
Il significato profondo di questa opera magnifica ed enigmatica è evidente: in mezzo ad ogni attività umana e mondana, in mezzo alla gloria degli ambasciatori, in mezzo ai loro costumi potenti, ai loro alambicchi, e al loro essere indaffarati nei destini del mondo, c'è sempre e soltanto la morte.
Questa capacità di esposizione metaforica, e letteralmente esoterica (εσωτερικός) propria dei grandi geni del passato, rende ancora più stridente l'epoca nostra che gioca e si fonda sulla banalizzazione o rimozione della morte e delle sue conseguenze tra i vivi.
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