L’Acqua Acetosa, la fonte miracolosa
In
un magnifico dipinto conservato alla Tate Gallery di Londra e realizzato dal
pittore danese Christoffer-Wilhelm-Eckersberg nel 1814 si ammira una veduta
della fontana dell’Acqua Acetosa com’era in quell’epoca e lascia senza fiato la
vista del panorama verso nord, dove si vede la campagna romana ancora del tutto
intatta e l’ansa del fiume Tevere che la attraversa.
È
quindi ancora più suggestivo immaginare come dovesse essere questo luogo ai
primi del Seicento, quando cominciò a diffondersi la voce che l’acqua sorgiva, che
sgorgava tra la collina di Villa Glori e il grande fiume di Roma, dal sapore
vagamente ferruginoso (e quindi acido), possedeva delle miracolose proprietà
taumaturgiche.
La
voce arrivò fino alle orecchie di qualche solerte cardinale che pensò bene di farla
assaggiare al papa, all’epoca quel Camillo Borghese salito al soglio pontificio
nel 1605 con il nome di Paolo v.
Nel
1619, sei anni prima della morte avvenuta per un colpo apoplettico, il
pontefice, così convinto delle proprietà miracolose dell’acqua, decise di far
erigere una fontana dall’architetto Giovanni Vasanzio.
Di
questo primo monumento esiste memoria nella lapide di fianco alle tre piccole
vasche, che si trova ancora in loco e
che descrive i mille malanni per il quale l’acqua risultava salutare: Renibus et stomacho, spleni corique medetur
– Mille malis prodest ista salubris aqua (Quest’acqua salubre è medicina per
il mal di reni e di stomaco, per la milza e il fegato e per mille altri mali).
Altre
due lapidi ricordano i successivi interventi sulla «mostra d’acqua» che oggi è
stata finalmente protetta da una recinzione. La prima ricorda l’intervento di
restauro di papa Alessandro vii Chigi
(1655 – 1667) al quale si deve il progetto a esedra che ancora oggi si può
ammirare, opera di Bernini; la seconda il rifacimento operato sotto papa
Clemente xi (1700 – 1721).
Christoffer Wilhelm Eckersberg La Fontana dell'Acqua Acetosa, 1814
Questo
secondo intervento fu reso necessario dal fatto che la quantità d’acqua era
grandemente diminuita, anche a causa del commercio che ne veniva fatto.
I
romani impossibilitati a recarsi personalmente alla fonte, decisamente fuori
mano rispetto al centro di Roma, potevano rifornirsi dai cosiddetti “acquacetosari”, una cooperativa di venditori ambulanti
che viveva dello smercio in città della preziosa acqua.
Le
proteste popolari per questo taglieggio e per la mancanza di adeguato
rifornimento alla fonte, giunsero fino alle orecchie di Clemente xi che decise di intervenire affidando i
lavori di bonifica all’architetto Egidio Maria Bordoni.
Finalmente
liberata dal fango e dalle erbacce, la fonte ricominciò a produrre acqua e la
tradizione degli acquacetosari poté continuare indisturbata fino ai primi del
Novecento.
Insieme
alle qualità taumaturgiche, i venditori abusivi avevano cominciato anche a
propagandare altre misteriose proprietà dell’acqua, quella di garantire fortuna
personale, o di scongiurare ogni tipo di malocchio.
Finalmente
nel 1910 si decise di stroncare il traffico d’acqua miracolosa e il Comune di
Roma provvide ad appaltare la fonte a un servizio autorizzato.
La
fama dell’Acqua Acetosa si protrasse però ancora per tutto il Novecento e non
era insolito vedere, ancora nel secondo dopoguerra, file di persone con
recipienti di ogni tipo in attesa di portare a casa l’agognato liquido
portentoso.
Oggi
il monumento, anche se salvato dal degrado, resta infelicemente compresso tra
l’espansione continua dei circoli sportivi sulla sponda del fiume e la stazione
ferroviaria omonima, che fa parte del tracciato della linea Roma – Viterbo.
Tratto da: Fabrizio Falconi, Roma segreta e misteriosa, Newton Compton, Roma, 2018
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