Definire Gigi Proietti un "comico", come stanno facendo molti in questi ore, è come definire Nabokov un "cacciatore di farfalle", ed è il più grande sgarbo che si può fare in mortem, a questo grande attore.
Proietti è stato un gigante e ha segnato le nostre vite in modo indimenticabile. Personalmente, non so davvero quante volte sono corso a vederlo a teatro, sin da quando avevo 16 o 17 anni, per "A me gli occhi, please", che recitava al mitico Teatro Tenda di Piazza Mancini per mesi interi di repliche continuamente super-esaurite. Il pubblico sembrava non averne mai abbastanza. Rideva a crepapelle, piangeva quando c'era da piangere (quando declamava "questo amore") soprattutto si interrogava, si indignava, si faceva domande sul testo che il grande Roberto Lerici gli aveva cucito addosso e che lui ogni sera trasformava, plasmava, ri-creava ex novo, grazie alle sue stupefacenti doti tecniche d'attore e al suo cuore grande, senza risparmiarsi.
In più Proietti è stato anche l'ultima incarnazione dello spirito popolare romano - quello vero - che affonda nel tormento e nel disincanto dei secoli, arrivando fino a Fregoli e a Petrolini (suo vero riferimento sempre).
Per fortuna, dunque, Proietti è nato a Roma e resterà un tesoro di questa città, di quel che ne rimane, ancora a lungo.
Se soltanto il destino gli avesse concesso di nascere a Londra, egli senza dubbio sarebbe stato riconosciuto come uno dei grandi attori di teatro (mattatori o non) della scena mondiale. Anche perché il suo enorme talento gli consentiva di passare senza fatica dalle mandrakate al Sogno di Una notte di Mezza Estate di Shakespeare con la stessa eccellente bravura.
La sua grandezza era anche - certamente - come quella dei veri grandi, di non avere un ego auto-riferito. Chiunque lo ha conosciuto, conserva ricordi nitidi della sua generosità e della sua disponibilità all'ascolto, sempre.
Proietti lascia un vuoto non colmabile, a Roma (ma non solo a Roma, naturalmente) e la più stupida crudeltà mi sembra quella che, a causa di questa contingenza sanitaria globale, la sua città non potrà nemmeno accoglierlo a braccia aperte, con un funerale degno, di grande e calorosa folla e un interminabile ringraziamento, come avrebbe meritato.
Fabrizio Falconi - 2 novembre 2020
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