05/11/20

Le strade del cuore di Gigi Proietti a Roma, la sua Roma.


Una città che e' tutto il mondo.
Gigi Proietti, figlio della capitale e del teatro, a cui la città oggi ha tributato l'ultimo saluto,  veva quel senso della romanità che mischia e rigenera, unisce e riassume tenendo insieme il verso piu' aulico e la battuta fulminante. 

La sua Roma era popolare ma gia' nobile come del resto le sue origini, nomadi tra la strada piu' rinascimentale della citta' e i quartieri piu' lontani dal centro. 

"Sono nato in una traversa di via Giulia, una strada bellissima, un tempo era il corso papale, ma a 10 mesi gia' avevo cambiato casa: ci trasferimmo dietro villa Celimontana, a via dei Santi Quattro. Poi sono finito in periferia, al Tufello, in una casa popolare", scrive lui stesso in una mini guida di Roma e dei suoi posti del cuore

Poi il Liceo Augusto a via Appia, dopo le elementari e le medie alla Vittorino da Feltre, e la Capitale notturna dei locali dove, ad adolescenza conclusa, tentava gia' la strada istrionica e l'urgenza dello spettacolo sebbene iscritto a Giurisprudenza alla Sapienza. 

Di quei night dove cantava , anche, con malinconia ricordava "non ne e' rimasto neanche uno, sono spariti tutti" ma la voce allenata in quei locali fumosi era gia' un ferro del mestiere affidabile che lo fara' essere persino chansonnier scanzonato e sentimentale all'occorrenza, perche' essere attore e' tutto, un po' come essere romano. 

E tra i posti del rimpianto giovanile, dell'eta' in cui sperimentava cosa sarebbe stato da Grande, Proietti ci mette non solo le serate con i "fagotti" e la famiglia nelle trattorie dell'Appio Latino ma anche il Tevere, ci mancherebbe. Ma quel fiume non e' quello di adesso, il fiume di allora viveva con Roma ora invece sembra una ferita che stenta

"Ora sopravvivono, invece, alcuni barconi sul Tevere: mi ricordo quanto erano affollati, ai romani piacevano molto, andavano, prendevano il sole e facevano il bagno. Oggi ce ne sono alcuni che cercano di rivitalizzare quella tradizione, ristoranti e locali anche molto carini, ma un tuffo non si puo' piu' fare, chi nuoterebbe mai in quello che un tempo era il "biondo fiume"? , chiede ricordando poi l'isola dei romani, cioe' Ponza dove aveva casa e li si' che andava a farsi tuffi e bagni, spingendosi col suo gommone fino a Palmarola "per alcuni ancora piu' bella". 

Ma poi, siccome e' un attore, la topografia personale inizia a confondersi con quella artistica, entrambe mappe sentimentali pero' e sempre, sempre, con la citta' policentrica e mai rilegata dentro le mura. 

E cosi' e' dal Flaminio che nasce Proietti, dal Teatro Tenda di piazza Mancini nel '76, da quel A me gli occhi, please dove si riversa mezza Roma, ma anche Eduardo, Fellini e l'allora sindaco Argan

E' il teatro, vero, popolare ma anche colto, da Shakespeare a Petrolini. Perche', artista e artigiano, Proietti mescola anche il romanesco con i versi, anzi ne fa poesia e proprio nella sua lingua madre che omaggia un altro immenso romano, Alberto Sordi che non era piu'. 

E sulla linea del tempo il Teatro Tenda, dopo il Brancaccio e il Brancaccino, porta dritto al Globe, fatto dopo la folgorazione del fratello londinese, che sboccia a Villa Borgese (dove da bimbo andava al Cinema dei Piccoli) e voluto sulla pianta del tempio shakesperiano: tutto in legno, prezzi pop e chi non sta nei palchetti "si deve portare i cuscini". 

Una visione, anzi "una mandrakata", come disse lui stesso (altro posto iconico l'ippodromo di Tor di Valle in Febbre da cavallo), che registra sempre il tutto esaurito e si affida a nidiate di attor e attrici giovani. 

Ma Proietti voleva ancora dare, i suoi progetti non si erano esauriti al Globe. 

In un'intervista a Gloria Satta al Messaggero confessa la sua inesauribile urgenza di dire e fare partendo sempre dalla romanita' universale: l'allestimento di Tosca e la riduzione teatrale di Casotto, il film di Sergio Citti. E non finisce qui. Pensava anche, e come sempre, ai giovani romani. 

"Voglio mettere in piedi Radio Raccordo Anulare, un progetto che mi frulla in testa da anni. Un'emittente gestita da giovani per tenere collegate e informate tutte le zone della citta', specie le periferie: il problema, in una metropoli come la nostra, e' la comunicazione. I romani devono conoscersi, non rimanere distanti come isole", diceva nella stessa intervista. 

E ancora per lo strano compleanno in lockdown della Capitale, 21 aprile 2020 in piena clausura causa covid, torno' sulla citta' stigmatizzando chi descriveva Roma vuota e chiusa come "spettrale". "Roma e' stanca e ha diritto di riposarsi", scolpi' lapidario con quella voce, vissuta ma granitica, che e' gia' un monumento ai Fori Imperiali. 

La voce di uno di Roma, figlio del mondo. 

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