I sotterranei di Napoli
Esiste come è noto una vasta mitologia, antica e moderna,
legata ai sotterranei di Napoli. Una delle città più
affascinanti del mondo, oggi divenuta tentacolare, dallo
sviluppo urbanistico e edilizio spaventoso, ormai giunto
ad aggredire anche lo stesso minaccioso nume che la domina
– il Vesuvio – nasconde nelle sue viscere un’altra
città altrettanto caotica ed estesa: un vero e proprio labirinto
di profondissime gallerie, cunicoli, grotte, ipogei che
costellano gran parte del territorio e che ne costituiscono
una specie di tessuto invisibile, propizio per la generazione
di leggende, miti, tradizioni legate alla magia bianca e
nera, in una città del resto già secolarmente predisposta al
culto della superstizione e del soprannaturale.
Questa Napoli sotterranea ha in realtà origini antichissime,
che sono quasi del tutto coeve con i primi insediamenti
umani: le datazioni al radiocarbonio degli archeologi
hanno permesso di stabilire che alcune prime cavità
furono scavate cinque o sei millenni prima di Cristo, in
epoca preistorica.
Non sappiamo bene che cosa spinse quegli uomini, originariamente
a proiettarsi nelle profondità di quel territorio.
Sicuramente uno dei motivi che favorì questa attività
fu la relativa permeabilità del suolo, la sua natura lavica o
tufacea, che permetteva piuttosto facilmente di penetrarla.
C’era sicuramente, all’origine, insieme alle pratiche di
inumazione delle popolazioni preistoriche, la necessità
di preservare i corpi dei familiari morti. E di venerarli
post-mortem.
Insieme a questa prima funzione cultuale, però, cominciò
ben presto anche la pratica estrattiva: già nel III e nel II secolo a.C. i greci cominciarono a scavare nel sottosuolo
per ricavare i grandi blocchi di tufo necessari alla
fondazione della loro colonia, Neapolis, che prese il posto
della cumana Partenope, fondata addirittura nell’viii
secolo a.C.
Ma il vero massiccio lavoro di scavo dei cunicoli della
Napoli sotterranea fu sostenuto dai romani, i quali anche
in questa occasione dimostrarono la loro incredibile
perizia ingegneristica, soprattutto per quanto concerne
l’approvigionamento idrico.
Alcuni degli ipogei che oggi sono visitabili – come la
grotta di Seiano o la grotta di Cocceio – testimoniano
di una attività inesauribile, sempre alla ricerca di risorse
idriche – come quelle del fiume Serino – che venivano
convogliate e utilizzate a uso e consumo degli abitanti
della ricca colonia romana.
La manifestazione più alta di
questa capacità ingegneristica è costituita proprio dalla
cosiddetta Piscina mirabilis, un’enorme vasca costruita a
Miseno che con i suoi imponenti quarantotto pilastri cruciformi,
garantiva la riserva d’acqua – ben 13.000 metri
cubi – per le navi della flotta romana che scandagliavano
in lungo e in largo il Mediterraneo.
Ma l’attività di perforazione del sottosuolo napoletano
proseguì incessantemente, nei secoli, trasformandosi
in un’opera immane di scavo che aggiunse agli originari
scopi di approvvigionamento idrico, altre e più complesse
funzioni, fino a realizzare un mostruoso reticolo di
condotti – alcuni dei quali sufficiente a malapena per far passare un uomo – che si ritiene abbia circa due milioni
di metri quadri.
Una percezione di questa opera – sedimentata in strati
diversi, l’uno sull’altro – si ha visitando per esempio gli
scavi della basilica di San Paolo Maggiore, uno dei monumenti
più insigni di Napoli, costruita sui resti di una agorà
greca nella odierna piazza San Gaetano.
Lì, scendendo
ben quaranta metri sotto il livello stradale attuale, in una
lunga teoria di gradini e rampe, si possono toccare con
mano i diversi livelli di reticoli sotterranei – diversi anche
nella realizzazione e nelle tipologie – che conducono fino
ai cunicoli d’epoca romana, culminanti nei magnifici resti
del teatro romano di Neapolis.
È soltanto una piccolissima porzione di quel mondo nascosto
che volenterose associazioni di speleologi locali sta
ancora tentando di esplorare compiutamente e di mappare:
non è semplice, visto che è stata appurata l’esistenza di
cunicoli lunghi chilometri in grado di mettere in comunicazione
punti molto distanti della città.
Per capire come fu possibile questo dobbiamo appunto
procedere in avanti con la storia e comprendere come, alla
funzione relativa prima alla sepoltura e poi all’ingegneria
idraulica, se ne aggiunsero presto altre: le cavità sotterranee
di Napoli, ad esempio, svolsero un ruolo importante
nella spaventosa epidemia di peste, che nel 1656 si abbatté
sul capoluogo campano e sul Regno di Napoli, mietendo,
soltanto nella città, qualcosa come 200.000 vittime in pochi
mesi.
Tra le ragioni che scatenarono il rapidissimo diffondersi
del morbo vi fu anche e soprattutto la sovrappopolazione
della città e le pessime condizioni igieniche. Nel 1631
un’improvvisa e terribile eruzione del Vesuvio – che aveva
ricordato a quelle popolazioni il ricordo ancestrale del
disastro di Pompei – aveva causato la fuga di migliaia di
persone che si erano rifugiate in città, credendo di trovare
un sicuro riparo.
Le risorse idriche risultarono ben presto insufficienti e i
moti che instaurarono la Repubblica napoletana nel 1647
diedero il colpo di grazia, favorendo la diffusione della
malattia, forse introdotta da alcune navi che provenivano
dalla Sardegna.
Nell’anno della peste, i cunicoli sotterranei di Napoli
svolsero un ruolo molto importante: dapprima in esso prese
a rifugiarsi parte di quella popolazione sfollata a causa
della eruzione del Vesuvio. In seguito alla diffusione della
epidemia, in molti credettero di poter scampare al morbo,
resistendo al chiuso dei cunicoli e delle grotte sotterranee.
Ma la peste si diffuse presto anche lì e gli stessi cubicoli
finirono per diventare ossari dove venivano deposti i corpi
degli appestati, cosparsi da uno strato di calce.
Un esempio di questa funzione è la cosiddetta, leggendaria
grotta degli sportiglioni cioè “dei pipistrelli”, ubicata al
di sotto della odierna chiesa di Santa Maria del Pianto, nucleo
originale del cimitero di Poggioreale.
La grotta, che
non è stata ancora localizzata nonostante le molte ricerche
degli anni passati, è il classico esempio del diverso utilizzo
delle cavità sotterranee di Napoli, dapprima usata per
la ricerca di risorse idriche, poi come ricovero o nascondiglio
(fu anche usata dalle truppe francesi del capitano
Lautrec nel 1528), infine come ossario e sepoltura degli
appestati partenopei.
Fabrizio Falconi
Il racconto continua su:
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