La chiesa di Santo Stefano Rotondo, dedicata al
protomartire romano, sul Celio, è una delle più antiche ed originali di Roma,
nota soprattutto per la sua forma circolare che ha fatto supporre si trattasse
di un edificio pagano, trasformato in chiesa nel V secolo d.C quando fu
consacrata da papa Simplicio I (468-483), dedicandola a Santo Stefano il primo
martire della Chiesa, martirizzato per lapidazione nel 35 d.C. In effetti scavi
recenti hanno dimostrato che l’edificio di culto fu edificato sopra i resti di
una caserma romana – i Castra peregrina
– e di un antico mitreo.
La sua forma, in origine, era davvero misteriosa
nella sua perfezione geometrica: tre anelli concentrici intersecati da quattro
navate che formavano una croce greca.
Al giorno d’oggi gli anelli concentrici sono soltanto
due e uno solo è il braccio della croce greca.
Anche così però l’interno dell’edificio resta molto impressionante, per
la vastità dell’ambiente e la selva di colonne antiche (di diversi ordini) che
sorreggono la grandiosa cupola.
L’interno è poi essenzialmente scarno, privo di
altari o arredi sacri, con la sola sedia episcopale che troneggia vicino
all’entrata e che sembra sia quella sulla quale sedeva San Gregorio Magno.
Ma quello che sicuramente impressiona di più nel
severo vuoto dell’edificio è la serie di affreschi che ricopre l’interno sulle
pareti tra le colonne. Sono ben trentaquattro. L’imponente complesso pittorico
è opera di quattro mani, quelle del Pomarancio (Nicolò Circignani, 1519-1591) e
di Antonio Tempesti (1555-1630). La serie – in parte danneggiata – comincia con
La strage degli innocenti e prosegue
di riquadro in riquadro illustrando con crescente realismo i più atroci
supplizi che si possano immaginare. In modo talmente minuzioso e didascalico (
con cartigli al di sotto che forniscono ogni spiegazione ) da risultare per
molti visitatori insopportabile alla vista.
Queste scene furono rappresentate proprio con intento
didattico: in piena controriforma, la chiesa di Santo Stefano era infatti
frequentata dai giovani gesuiti del Collegio Germanico Ungarico, custodi della
Basilica, i quali sotto falso nome venivano inviati in Europa alla fine del
Cinquecento con la missione di riacquistare clandestinamente fedeli per la
Chiesa di Roma, pressata da una duplice minaccia: a nord il movimento
riformatore di Martin Lutero, a est i turchi ottomani.
Gli affreschi di Santo Stefano fornivano dunque un
compendio di quello che aspettava questi missionari, se fossero stati scoperti:
come per i martiri romani, avrebbero subito terribili torture, che avrebbero
fatto desiderare loro ardentemente la morte, in una sorta di Imitatio Christi.
E ancora oggi, a guardarle, queste scene
atterriscono: un martire a cui sono state mozzate le mani, le quali poi legate
ad una cordicella, gli sono state messe appese al collo; un uomo che viene
scorticato a sangue, vivo, con un raschietto uncinato; un altro a cui viene
estratta la lingua con una tenaglia e tagliata con un coltello da cucina; una
doppia flagellazione con fascine di legno; due che vengono lasciati squartare
da cani; un uomo appeso a due carrucole, con una palla di piombo appesa ai
piedi, che viene bruciato pezzo a pezzo con le torce; un altro che viene
disossato su una sorta di tavolo anatomico come una moderna scena tratta da un
film horror; un uomo a cui viene infilato piombo fuso attraverso la bocca; altri sui quali viene versato olio bollente;
una donna cui viene infilato un tridente nel petto mentre uno dei torturatori
muove l’argano che le tira le braccia fino a squartarla; un altro martire cui
viene tagliata una mano con una scimitarra e il cui sangue molto
realisticamente scorre a fiumi al di sotto del piedistallo.
Sotto ciascun riquadro gli artisti provvidero a sistemare
una iscrizione in duplice lingua, latino
per i novizi e italiano per i frequentatori della chiesa, con la dettagliata
spiegazione dei diversi episodi.
Insomma decapitati, mutilati, sbranati, sepolti vivi,
bruciati che rimandano alle attuali persecuzioni che ancora oggi colpiscono gli
infedeli in diverse parti del mondo:
un vero campionario degli orrori che ancora oggi sortisce il suo effetto assai
macabro.
Tratto da: Fabrizio Falconi - Roma Segreta e Misteriosa, Newton Compton, Roma, 2015
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