Anche Roma ha avuto i suoi santi mistici. E alcuni di loro, vissuti in
tempi relativamente recenti, hanno lasciato tracce ben visibili nella storia e
nei luoghi cittadini.
E’ il caso di San Benedetto Giuseppe Labre, un santo di cui oggi si è
persa quasi la memoria, nato il 26 marzo del 1748 ad Amettes, un villaggio di
cinquecento abitanti nel Passo di Calais, nel nord della Francia, che ancora
oggi dalla Chiesa è celebrato come il patrono di tutti i barboni, o clochard, e quindi anche di tutti i
senzatetto che ancora vivono nella Roma industrializzata di oggi.
Nato poverissimo, Benedetto, detto il Vagabondo di Dio, dopo diversi
tentativi di inserirsi in una vita monacale, si convinse di essere destinato a
predicare il Vangelo nelle strade, insieme ai più umili. Così fece, e come un Forrest Gump ante litteram in pochi anni percorse qualcosa come trentamila
chilometri a piedi, visitando i santuari più famosi dell’epoca in mezza Europa,
e arrivando finalmente a Roma, la città santa, il 3 dicembre del 1770, da dove
non si allontanò più, se non per la visita annuale che si concedeva a Loreto,
alla Santa Casa.
Viveva e dormiva per strada, vivendo di semplici offerte che gli venivano
concesse anche se egli non chiedeva l’elemosina, donando tutto ciò che aveva, e
avendo stabilito come sua dimora, uno degli antichi archi del Colosseo,
esattamente l’arco XLIII dove visse per ben sette anni. Da qui si trasferì alle grotte che all’epoca
si trovavano nella zona di Montecavallo (il Quirinale) e infine – quando era
già molto malato – all’ospizio di San Martino ai Monti.
La sua fama di mistico e di santo dei poveri si era nel frattempo diffusa
nella città, al punto che nobili e cardinali lo cercavano e lo convocavano per
ottenere consigli spirituali.
La gente del popolo lo aveva soprannominato Il penitente del Colosseo o il
povero delle Quarantore, perché lo si vedeva sempre nelle Chiese di Roma
che svolgevano il rito delle Quarantore, secondo la tradizione il tempo
trascorso da Gesù Cristo fra la sua morte e la Resurrezione.
A lui si attribuivano, già in vita, numerosi miracoli. E quando le sue
condizioni di salute, già fragili, peggiorarono, una folla si riunì in
preghiera quando, il giorno del mercoledì santo del 1783, Benedetto si sentì
male mentre era in preghiera nella chiesa di Santa Maria dei Monti e fu
trasportato a braccia nella bottega di un macellaio di Villa dei Serpenti, tale
Zaccarelli, che era stato il primo a soccorrerlo.
Le preghiere furono inutili: in quello stesso pomeriggio morì, a soli
trentacinque anni di età. Il corpo fu esposto per tre giorni a Santa Maria dei
Monti, in coincidenza con i riti pasquali, e a rendergli tributo arrivò una
folla immensa. I riti furono sospesi, e
il giorno della Pasqua, il 20 aprile del 1783 fu sepolto nella stessa
chiesa.
E ancora oggi, il corpo del Santo è conservato al primo piano della casa
al numero civico 2 di Via dei Serpenti, dove è possibile leggere esternamente
questa lapide: In questa casa, portatovi morente dalla vicina Chiesa della Madonna dei
Monti, il 16 aprile 1783, spirava San Benedetto Giuseppe Labre, miracolo di
carità e di penitenza, apostolo pellegrino dei maggiori santuari d’Europa.
E’ uno dei pochi casi a Roma, dove è stata conservato e protetto, da ogni
destinazione futura, il luogo della morte di un Santo. Il palazzo era all’epoca
di proprietà dell’ambasciata del Portogallo (come si evince dallo stemma e
dalla iscrizione che si può leggere al portone vicino, il civico 3), che aveva
dato il locale in concessione ad un certo Petazzotti, e da questo subaffittata
al macellaio Zaccarelli.
La casa dove morì Benedetto fu acquistata dal postulatore della causa di
beatificazione, Raffaele Virili, e di passaggio in passaggio fu affidata infine
alla custodia delle Volontarie del Movimento pro Sanctitate che la gestiscono
ancora oggi.
La casa-Cappella, che ancora oggi è aperta al pubblico ogni 16 aprile
(giorno di San Benedetto) e a richiesta dell’istituto, conserva quadri ispirati
alla figura del Santo, le assi del letto e il materasso dove l’eremita morì e
alcune reliquie: gli indumenti, due
scatole contenenti documenti, i libri di preghiera, una scarpa, le sue bisacce
e una maschera di cera. Nell’angolo preciso della Casa dove Benedetto morì,
infine, protetta da una inferriata, una
statua in gesso che rappresenta il santo nei suoi ultimi istanti di vita, con
due cuscini sotto il capo e la scritta: Hic
jacet corpus S.B.J. Labre.
Nella parete di fronte, a rendere ancora più evidente la suggestione del
luogo, i cuori in argento ed ex voto per
grazie ricevute dal Santo dai fedeli nel corso degli ultimi due secoli.
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