20/04/16

Roma Anni '50 - Storia di una foto 3.


Dopo le due precedenti puntate dedicate a foto di Henri Cartier-Bresson scattate a Roma negli anni '50, ci siamo cimentati con una nuova foto, quella che si vede qua sopra, scattata nei primi anni '50. 

In questo caso, la caccia era molto più semplice. 

E' stato abbastanza facile infatti individuare il celebre palazzo di Luciano Manilio, nel cuore del Ghetto ebraico di Roma, in Via Portico d'Ottavia 2 che oggi si presenta così: 



La cosa interessante è che il bar, è rimasto sempre allo stesso posto.  Si tratta infatti di uno dei caffé più antichi di Roma. 

E oggi si presenta così: 



All'interno del locale, diverse foto in bianco e nero, che ricordano la storia del bar e dei diversi proprietari. 




E infine, qui di seguito la storia di questo splendido palazzo Romano, tratta da Misteri e segreti dei Quartieri e dei Rioni di Roma (per chi vuole saperne di più): 

La casa di Lorenzo Manilio 

A Roma si sente spesso ripetere che non c’è un romano più vero, più verace, di quelli che abitano nel cosiddetto “ghetto ebraico”, notoriamente uno dei più antichi del mondo (per l’esattezza il secondo, dopo quello di Venezia, sorto quaranta anni prima) essendo stato istituito per volontà di papa Paolo IV nel 1555. 

Proprio gli ebrei abitatori del ghetto hanno mantenuto vive nel tempo molte delle tradizioni popolari di Roma, dimostrando un grande attaccamento alla storia della città. L’esempio forse più eclatante di questo vero e proprio amore è “stampato” in uno dei palazzi più importanti e centrali di quella zona, anche se il suo autore realizzò l’impresa parecchi anni prima dell’istituzione del ghetto e cioè nel 1468

 Il nobiluomo che abitava il palazzo all’epoca si chiamava Lorenzo Manili, e si sa poco di lui, se non che doveva pur avere qualche smania megalomane, visto che era solito romanizzare il proprio nome in Laurentius Manlius o Manilio, ricollegandolo alla gensManlia. 

La sua casa, che ancora oggi esiste in via di Santa Maria del pianto, riporta il suo nome per ben quattro volte sulle porte del pianterreno, mentre sulle finestre che affacciano su piazza Costaguti si legge il motto – che doveva esser di famiglia – “Have Roma”. 

Ma il motivo per cui questo palazzetto nel cuore del ghetto ebraico è diventato così famoso è la grande iscrizione, a caratteri di imitazione romana, che si legge sulla facciata del palazzo e che indica una data – quella in cui è stato realizzato il fregio – davvero singolare: ovvero l’anno 2221. 

 Ovviamente la cosa, nel corso dei secoli, ha suscitato curiosità, anche se la spiegazione è ben chiara: essendo infatti il Manili un vero e proprio estimatore di Roma, e della Roma antica, adottava il calcolo degli anni secondo il metodo dell’abUrbe condita, cioè dalla fondazione della città, nel 753 a.C. 

 Il calcolo esatto della data inscritta da Manili – 2221 anni dalla fondazione di Roma – riconduce al 1468 d.C., ovvero al primo periodo del “Rinascimento romano”. 

L’intraprendente possidente, nella lunga iscrizione in latino, riportò una specie di dichiarazione d’amore, che tradotta suona così: “Mentre Roma rinasce all’antico splendore Lorenzo Manili, in segno d’amore verso la sua città, costruì dalle fondamenta sulla piazza Giudea, in proporzione alle sue modeste fortune questa casa che dal suo cognome prende l’appellativo di Manliana, per sé e per i suoi discendenti, nell’anno 2221 dalla fondazione di Roma, all’età di 50 anni, 3 mesi e 2 giorni; fondò la casa il giorno undicesimo prima delle calende di agosto.” 

 Un “ornamento” che ha resistito intatto per cinque secoli e mezzo e ancora oggi rinnova l’interesse e la curiosità sulla figura misconosciuta di questo protagonista della vita cittadina di allora.

Fabrizio Falconi (C) - 2016 riproduzione riservata.

1 commento:

  1. Grazie Fabrizio, hai realizzato un idea che avevo in mente di fare su fotografie del passato significative dei luoghi ma anche della vicenda umana delle persone ritratte. A tale riguardo sto raccogliendo le memorie di mia suocera novantenne l'ultima rimasta a testimoniare ricordi che altrimenti andrebbero perduti. Paolo Benedetto

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