Pubblico a beneficio dei lettori questo meraviglioso articolo scritto da Emanuele Perugini per Il Messaggero, 26 febbraio 2015.
La storia dell’Universo, almeno così come la conosciamo, deve essere riscritta.
Se non del tutto, almeno per la parte che riguarda la formazione e il funzionamento dei buchi neri.
Un gruppo di ricercatori dell’Università dell’Arizona ha infatti scoperto un buco nero così grande e luminoso da scombinare tutti i calcoli finora effettuati e le teorie che su quei numeri trovano solide conferme.
Del resto, da un buco nero, dall’oggetto cioè più misterioso e affascinante dell’Universo non potevamo aspettarci altro. Mentre però di solito sono i fisici e gli astronomi a fare le pulci quando capita che un film o un libro prendano in considerazione questi corpi celesti, come di recente il film Interstellar di Christopher Nolan, stavolta è stato un buco nero a fare le pulci agli scienziati, costringendoli a mettere in dubbio le loro solide certezze. I numeri, come si dice in questi casi, proprio non tornano.
I dati rilevati dagli astrofisici dell’Università dell’Arizona guidati da Xue-Bing Wu e pubblicati su Nature, sono impressionanti.
Il buco nero SDSS J0100+2802 (questa la sua sigla) o meglio il quasar che lo circonda ha una massa pari a 12 miliardi di stelle come il nostro Sole. Un decimo di tutta la Via Lattea. La sua luminosità, è un altro record assoluto perché è pari a 420 trilioni di volte di quella del nostro Sole.
Si tratta di numeri impressionanti e mai rilevati fino ad oggi, ma non sono questi i dati che hanno fatto saltare sulla sedia gli astrofisici di tutto il mondo.
Quello che più colpisce ed è veramente fuori da ogni teoria fin qui messa in tavola è la sua lontananza. Questo buco nero si trova infatti a una distanza di circa 12,8 miliardi di anni luce dalla Terra. E siccome la distanza, nello spazio, equivale al tempo, significa che la luce emessa da questo enorme corpo celeste è stata generata quando l’Universo aveva appena 900 milioni di anni.
Troppo poco tempo per arrivare a generare un buco nero di tali proporzioni. «Questo quasar è davvero unico» dice Xue-Bing Wu. «Scoprire che questo Quasar ha emesso la radiazione che abbiamo studiato appena 900 milioni di anni dopo il Big Bang ci ha letteralmente galvanizzato. Proprio come un faro, il più brillante tra quelli ai confini del cosmo, la sua intensa luce ci aiuterà a sondare meglio l’universo primordiale».
La scoperta è stata realizzata combinando i dati raccolti dal telescopio da 2,4 metri di diametro Lijiang nello Yunnan (Cina), il Multiple Mirror Telescope da 6,5 metri, il Large Binocular Telescope in Arizona, il Magellan Telescope dell’Osservatorio di Las Campanas in Cile e, infine, il telescopio Gemini North da 8,2 metri sul Mauna Kea, Hawaii.
«La formazione di un buco nero così grande e così precocemente – ha spiegato Fuyan Bian, dell’Università Nazionale Australiana e che ha partecipato al lavoro – è difficile da interpretare sulla base delle teorie attuali».
Il buco nero SDSS J0100+2802 (questa la sua sigla) o meglio il quasar che lo circonda ha una massa pari a 12 miliardi di stelle come il nostro Sole. Un decimo di tutta la Via Lattea. La sua luminosità, è un altro record assoluto perché è pari a 420 trilioni di volte di quella del nostro Sole.
Si tratta di numeri impressionanti e mai rilevati fino ad oggi, ma non sono questi i dati che hanno fatto saltare sulla sedia gli astrofisici di tutto il mondo.
Quello che più colpisce ed è veramente fuori da ogni teoria fin qui messa in tavola è la sua lontananza. Questo buco nero si trova infatti a una distanza di circa 12,8 miliardi di anni luce dalla Terra. E siccome la distanza, nello spazio, equivale al tempo, significa che la luce emessa da questo enorme corpo celeste è stata generata quando l’Universo aveva appena 900 milioni di anni.
Troppo poco tempo per arrivare a generare un buco nero di tali proporzioni. «Questo quasar è davvero unico» dice Xue-Bing Wu. «Scoprire che questo Quasar ha emesso la radiazione che abbiamo studiato appena 900 milioni di anni dopo il Big Bang ci ha letteralmente galvanizzato. Proprio come un faro, il più brillante tra quelli ai confini del cosmo, la sua intensa luce ci aiuterà a sondare meglio l’universo primordiale».
Xue-Bing-Wu
«La formazione di un buco nero così grande e così precocemente – ha spiegato Fuyan Bian, dell’Università Nazionale Australiana e che ha partecipato al lavoro – è difficile da interpretare sulla base delle teorie attuali».
BULIMIA
Si tratta di un oggetto formatosi nelle prime fasi di formazione dell’Universo e risulta ad oggi il più brillante oggetto antico mai conosciuto. Il mistero da risolvere è infatti capire come possa essere cresciuto così rapidamente.
Per arrivare a quei numeri «dovrebbe aver divorato – ha spiegato Adriano Fontana, dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) – l’equivalente della Grande Nube di Magellano, una galassia nana compagna della Via Lattea, in appena qualche centinaio di milioni di anni!».
In realtà non è così e i buchi neri, per quanto dotati di supermassa non possono essere bulimici. A un certo punto anche per loro c’è il rischio indigestione. Nel caso in cui dovessero assorbire una quantità davvero enorme di materia, l’energia che verrebbe rilasciata sarebbe così potente da annullare la forza d’attrazione gravitazionale del buco nero.
«Fino ad oggi – ha spiegato Fontana, che è anche il responsabile italiano dei dati del Large Binocular Teleschope, uno degli strumenti che sono stati utilizzati per studiare il buco nero – pensavamo che si trattasse di una stella alquanto vicina a noi. Ora però che sappiamo quale sia veramente, quanto smisurata sia la sua massa e la sua distanza, la sfida che abbiamo di fronte è spiegare come sia possibile trovare un oggetto tanto massiccio in un’epoca così remota».
Le ipotesi sul tavolo degli scienziati sono tre.
«La prima – spiega Fontana – è che non abbiamo ancora ben compreso come funzionano i buchi neri. La seconda è che forse, all’inizio, nella prima fase di espansione dell’Universo fossero più grandi di quelli che osserviamo in fasi più vicine a noi. La terza, che è anche la più affascinante sotto il profilo teorico, ma anche la meno probabile, è che in realtà questa scoperta potrebbe portare indietro il momento in cui c’è stato il Big Bang.
Le prossime indagini già in programma, che coinvolgeranno anche i telescopi spaziali Hubble e Chandra, potranno aiutarci a capire meglio la natura e la storia di questo mostro cosmico».
Emanuele Perugini, Il Messaggero, 26 febbraio 2015
Si tratta di un oggetto formatosi nelle prime fasi di formazione dell’Universo e risulta ad oggi il più brillante oggetto antico mai conosciuto. Il mistero da risolvere è infatti capire come possa essere cresciuto così rapidamente.
Per arrivare a quei numeri «dovrebbe aver divorato – ha spiegato Adriano Fontana, dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) – l’equivalente della Grande Nube di Magellano, una galassia nana compagna della Via Lattea, in appena qualche centinaio di milioni di anni!».
In realtà non è così e i buchi neri, per quanto dotati di supermassa non possono essere bulimici. A un certo punto anche per loro c’è il rischio indigestione. Nel caso in cui dovessero assorbire una quantità davvero enorme di materia, l’energia che verrebbe rilasciata sarebbe così potente da annullare la forza d’attrazione gravitazionale del buco nero.
«Fino ad oggi – ha spiegato Fontana, che è anche il responsabile italiano dei dati del Large Binocular Teleschope, uno degli strumenti che sono stati utilizzati per studiare il buco nero – pensavamo che si trattasse di una stella alquanto vicina a noi. Ora però che sappiamo quale sia veramente, quanto smisurata sia la sua massa e la sua distanza, la sfida che abbiamo di fronte è spiegare come sia possibile trovare un oggetto tanto massiccio in un’epoca così remota».
Le ipotesi sul tavolo degli scienziati sono tre.
«La prima – spiega Fontana – è che non abbiamo ancora ben compreso come funzionano i buchi neri. La seconda è che forse, all’inizio, nella prima fase di espansione dell’Universo fossero più grandi di quelli che osserviamo in fasi più vicine a noi. La terza, che è anche la più affascinante sotto il profilo teorico, ma anche la meno probabile, è che in realtà questa scoperta potrebbe portare indietro il momento in cui c’è stato il Big Bang.
Le prossime indagini già in programma, che coinvolgeranno anche i telescopi spaziali Hubble e Chandra, potranno aiutarci a capire meglio la natura e la storia di questo mostro cosmico».
Emanuele Perugini, Il Messaggero, 26 febbraio 2015
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