Nell'ultimo romanzo di Murakami Haruki, L'incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio, c'è un ottimo congegno narrativo: nella città di Nagoya abitano cinque ragazzi, tre maschi e due femmine, che tra i sedici e i vent'anni vivono la piú perfetta e pura delle amicizie.
Almeno fino al secondo anno di università, quando uno di loro, Tazaki Tsukuru, riceve una telefonata dagli altri: non deve piú cercarli. Da quel giorno, senza nessuna spiegazione, non li vedrà mai piú: non ci saranno mai piú ore e ore passate a parlare di tutto e a confidarsi ogni cosa, mai piú pomeriggi ad ascoltare la splendida Shiro suonare Liszt, mai piú Tsukuru avrà qualcuno di cui potersi fidare.
Il dolore è cosí lacerante che nel cuore del ragazzo si spalanca un abisso che solo il desiderio di morire è in grado di colmare.
Questi ragazzi, ai tempi della loro bellissima, travolgente amicizia, sfiorita, appassita senza motivo, avevano preso l'usanza di chiamarsi ognuno con il nome di un colore: Rosso, Blu, Bianco, Nero.
Solo Tazaki non ha colore. Ed è perciò chiamato dagli amici, Incolore.
A Murakami interessa entrare nella radice di questo cuore umano abbandonato e desideroso di doloroso riscatto (si inizia a vivere solo quando si comincia a morire un po', è la morale non certo freschissima del libro).
Ma è interessante questo spunto del colore come elemento del cuore umano.
Ciascuno, suggerisce Murakami nasce con addosso (o meglio, dentro: in quella che Murakami se vi credesse, chiamerebbe anima) un colore.
Questo mi fa venire in mente la capacità quasi ultra-percettiva che hanno alcuni artisti di sentire il colore assoluto, nel riconoscerlo nel cuore di una persona, di un essere umano. Il catalogo è ovviamente infinito.
Nel mio caso, io sarei chiamato (o vorrei chiamarmi o chiamerei la mia anima se vi credessi come vi credo) Rosso. Ma una certa qualità molto particolare di rosso, che ho riconosciuto in tanti anni solo in questo quadro:
E' un'opera di Antonello Viola. E la prima volta che l'ho vista l'ho riconosciuta. O forse, meglio dire, lei ha riconosciuto me.
Fabrizio Falconi
Cadmium Red Deep è un'opera di Antonello Viola (2008- Premio Terna 01).
Almeno fino al secondo anno di università, quando uno di loro, Tazaki Tsukuru, riceve una telefonata dagli altri: non deve piú cercarli. Da quel giorno, senza nessuna spiegazione, non li vedrà mai piú: non ci saranno mai piú ore e ore passate a parlare di tutto e a confidarsi ogni cosa, mai piú pomeriggi ad ascoltare la splendida Shiro suonare Liszt, mai piú Tsukuru avrà qualcuno di cui potersi fidare.
Il dolore è cosí lacerante che nel cuore del ragazzo si spalanca un abisso che solo il desiderio di morire è in grado di colmare.
Questi ragazzi, ai tempi della loro bellissima, travolgente amicizia, sfiorita, appassita senza motivo, avevano preso l'usanza di chiamarsi ognuno con il nome di un colore: Rosso, Blu, Bianco, Nero.
Solo Tazaki non ha colore. Ed è perciò chiamato dagli amici, Incolore.
A Murakami interessa entrare nella radice di questo cuore umano abbandonato e desideroso di doloroso riscatto (si inizia a vivere solo quando si comincia a morire un po', è la morale non certo freschissima del libro).
Ma è interessante questo spunto del colore come elemento del cuore umano.
Ciascuno, suggerisce Murakami nasce con addosso (o meglio, dentro: in quella che Murakami se vi credesse, chiamerebbe anima) un colore.
Questo mi fa venire in mente la capacità quasi ultra-percettiva che hanno alcuni artisti di sentire il colore assoluto, nel riconoscerlo nel cuore di una persona, di un essere umano. Il catalogo è ovviamente infinito.
Nel mio caso, io sarei chiamato (o vorrei chiamarmi o chiamerei la mia anima se vi credessi come vi credo) Rosso. Ma una certa qualità molto particolare di rosso, che ho riconosciuto in tanti anni solo in questo quadro:
E' un'opera di Antonello Viola. E la prima volta che l'ho vista l'ho riconosciuta. O forse, meglio dire, lei ha riconosciuto me.
Fabrizio Falconi
Cadmium Red Deep è un'opera di Antonello Viola (2008- Premio Terna 01).
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