La parola abbastanza è una delle più misteriose, inafferrabili.
L'etimologia dice il riferimento a qualcosa che basta (a-bastare).
Ma cosa basta davvero ? Chi stabilisce quanto basta, quanto è abbastanza ? Sembra del tutto aleatorio: non lo è.
Nelle ricette di cucina, si scrive comunemente, di alcuni ingredienti, 'q.b.', 'quanto basta'. Per alcuni ingredienti c'è il peso esatto, il numero esatto, ma per alcuni - sale, olio, ecc... - è indicato solo 'q.b.' . E si sa che quel q.b. nelle mani di un non esperto può rovinare tutto quel che si è fatto prima.
Il soggettivo è bastante. Ciascun bravo cuoco SA 'quanto basta'. Ciascun essere umano sa quando ha mangiato 'abbastanza', o quando ha dormito 'abbastanza'. Eppure 'abbastanza' non è mai affermabile in via definitiva.
Ciò che sembra per qualcuno o per qualcosa 'abbastanza' può essere o non è mai 'abbastanza'. C'è un margine di incompletezza, uno scompenso, un di più, avvertibile soltanto da chi vive la mancanza dell'abbastanza e che chiede di essere colmato per giungere alla completezza del quanto basta.
La misura, si direbbe, è interiore. Solo qualcosa di molto vicino alla nostra natura di dice ogni volta quanto basta. E qualche volta questo quanto basta è indefinibile, oltre che per sé anche per gli altri, sempre.
Il gioco degli innamorati lo dimostra:
'mi ami dunque ?'
'sì.'
'ma mi ami quanto? mi ami abbastanza ?'
Ma abbastanza per che cosa ? Forse per essere fedeli a se stessi nella misura (essendolo quindi anche per gli altri).
Fabrizio Falconi
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