18/06/13

La leggenda di Jung antisemita.



Siccome si torna a discutere ancora oggi di un presunto antisemitismo di Carl Gustav Jung (mi è capitato anche di recente di leggere nel libro di memorie Prima di andarsene Saul Bellow una definizione di Jung come "antisemita pazzo" ), pubblico questo articolo definitivo di Paolo Ferliga sul sito di Claudio Risé che ricostruisce punto per punto la vicenda e chiarisce una volta per tutte la questione.  

Capita ancora oggi di leggere che Carl Gustav Jung (psichiatra e psicologo svizzero vissuto tra il 1875 e il 1961, fondatore della Psicologia Analitica), sarebbe stato antisemita e nei primi anni Trenta avrebbe addirittura simpatizzato per il nazismo. 

 Queste accuse, particolarmente pesanti nei confronti di un uomo che ha dedicato tutta la sua vita allo studio ed alla cura della psiche, sono del tutto infondate, smentite dagli scritti, dai comportamenti e dai numerosi pazienti e collaboratori ebrei di Jung. 

Per quanto riguarda gli scritti l’accusa si riferisce ad alcuni articoli degli anni 1933/34 in cui Jung parla di psicologia semitica o ebraica e di psicologia ariana o germanica. (1) L’uso di questa terminologia sarebbe una prova del razzismo intrinseco al pensiero di Jung. Per chi conosca il dibattito interno al movimento psicoanalitico l’uso di tali termini però non sorprende. Lo stesso Freud infatti riconosce più volte una differenza tra “anima ebraica” e “anima ariana”. Nel 1908, ad esempio, parla della sua “parentela razziale” con l’ebreo Abraham e di come “i nostri compagni ariani” siano indispensabili per sottrarre la psicoanalisi alla morsa dell’antisemitismo. (2) 

Nel ‘26 inoltre scrive che, pur non essendo credente, si sente attratto in modo irresistibile dall’ebraismo e dagli ebrei, mosso da “molte oscure potenze del sentimento” e dalla “familiarità che nasce dalla medesima costruzione psichica”. (3) Anche Freud riconosce quindi una specificità psichica connessa all’appartenenza “razziale”. Il termine razza, in quegli anni, non ha ancora assunto quell’alone semantico negativo e terribile che gli verrà conferito dal nazismo. Mentre Freud però non affronta questo problema a livello teorico, Jung si propone di indagare le “oscure potenze del sentimento” che spingono il singolo a sentirsi attratto dall’appartenenza al proprio popolo ed alla sua tradizione e di verificare se esista una “medesima costruzione psichica” correlata alle differenze etniche tra gli uomini.

In questa indagine Jung scopre che la psiche di una persona non è condizionata soltanto dalla sua storia individuale e familiare, ma anche dalla storia collettiva, dall’appartenenza ad una comunità e dalla relazione con la terra in cui la comunità vive.

Nell’inconscio collettivo infatti si depositano i miti, i simboli, le tradizioni di un popolo. Per questa ragione Jung parla anche di un carattere etnico della psiche e quindi di una differenza tra psiche ebraica e psiche germanica. Proprio la scoperta dell’inconscio collettivo e degli archetipi, che ne costituiscono la struttura, permette a Jung di intuire già nel 1918 il potenziale distruttivo dell’anima germanica. Nello scritto Sull’inconscio sostiene infatti che con il venir meno dell’autorità del cristianesimo “la bestia bionda …minaccerà di erompere con effetti devastanti”. (4)

Jung pensa però che l’inconscio dei tedeschi contenga non solo un elemento anticristiano e barbarico potenzialmente distruttivo, ma anche il suo opposto, un’energia in grado di promuovere un rinnovamento culturale e spirituale. Questa convinzione continuerà ad operare in Jung fino al 1933/34, quando ancora si illude che la terra di Goethe, di Beethoven e di Hegel, “uno dei paesi civilizzati più evoluti del mondo” (5), non si consegnerà mani e piedi alla barbarie nazista

I dubbi che Jung condivideva con molti intellettuali della sua epoca lo porteranno così a sottovalutare, in quegli anni, gli “effetti devastanti” del nazismo da lui stesso lucidamente previsti nel 1918. Forse per questa sottovalutazione Jung non si rende conto che i concetti di psicologia ebraica e germanica, negli anni in cui il nazismo utilizza il concetto di “razza ebraica” per giustificare la persecuzione e lo sterminio degli ebrei, si prestano a pesanti fraintendimenti e strumentalizzazioni. Di qui le accuse di antisemitismo e addirittura di simpatia per il nazismo di cui abbiamo parlato all’inizio. 

Jung risponderà a queste accuse in modo organico in tre scritti: Dopo la catastrofe, Commenti sulla storia contemporanea (1945) e Contributi ai “Saggi di storia contemporanea” (1946), (6) in cui presenta gli sviluppi del suo pensiero e un’analisi del nazismo come psicosi di massa. Ma già nel 1936 il saggio Wotan (7) suona come critica spietata del nazismo, analisi precisa e forse non ancora sufficientemente compresa delle sue cause profonde. 

Paolo Ferliga 
Docente di Filosofia Psicologo analista 


Il testo si apre con l’osservazione che ciò che seguì alla prima guerra mondiale fu una vera e propria tragedia: “Stati che.. in quanto a totalitarismo superano di gran lunga gli esperimenti teocratici precedenti, persecuzioni di cristiani e di ebrei, massacri politici di massa…”. (8) 

Per spiegare quanto accaduto in Germania, oltre le ragionevoli cause economiche e sociali, Jung ipotizza in questo scritto che nell’inconscio del popolo tedesco abbia fatto irruzione il lato distruttivo e terribile dell’antico dio germanico Wotan. “Quello che colpisce maggiormente nel fenomeno tedesco è proprio il fatto che un uomo posseduto, possegga a tal segno l’intera nazione…”. (9) 

Ci troviamo di fronte ad un fenomeno di possessione collettiva che può essere spiegata, secondo Jung, facendo ricorso agli aspetti barbarici e distruttivi depositati nell’inconscio collettivo del popolo tedesco. Ma Wotan non è solo dio della guerra e della distruzione, ma anche dio dell’amore, della poesia e quindi di una possibile rinascita. Nell’anima dei tedeschi c’è anche questa possibilità. Se prevarrà quindi il lato positivo di Wotan “il nazionalsocialismo non avrà certo l’ultima parola”. (10)

 Per quanto riguarda i comportamenti di Jung basta ricordare che nel 1933 molti colleghi e amici gli chiedono di presiedere la Società generale medica di psicoterapia proprio perché, in quanto svizzero, avrebbe potuto salvarla dalla diretta ingerenza del nazismo. Jung accetta, pur sapendo di correre così alcuni rischi, a patto di trasformarla subito in società “sopranazionale”. Non solo. Nel 1934 al congresso di Bad Nauheim fa approvare un articolo dello statuto che consente l’adesione individuale all’Associazione. (11) 

In questo modo anche i medici ebrei, che non possono aderire alla sezione tedesca, nel frattempo conformata al nazismo, possono iscriversi a quella “sopranazionale”. Nello stesso congresso tributa un omaggio a Freud, che in quel momento è colpito dall’odio nazista, riconoscendogli il merito di aver scoperto l’inconscio e di aver fondato la psicoanalisi.

Per quanto riguarda le sue relazioni dirette con gli ebrei è noto che Jung aveva numerosi pazienti, allievi e collaboratori ebrei. Con molti di loro tenne rapporti di autentica amicizia. 

Nel 1932 fece un viaggio in Egitto e Palestina e iniziò ad interessarsi alla possibilità per gli ebrei di avere una loro terra. Ciò è testimoniato dal lungo e fitto carteggio (1934-1959) con uno dei suoi allievi più famosi, Heric Neumann, sionista, esule prima in Svizzera e poi in Israele. (12) 

Dal 1933 Jung partecipa agli incontri di Casa Eranos ad Ascona dove con lui si confrontano alcuni noti intellettuali ebrei: oltre a Eric Neumann, Martin Buber, Karoly Kereny, Gershom Scholem, Aniela Jaffé, che curerà l’autobiografia di Jung (Ricordi, sogni e riflessioni di C.G.Jung, 1961, ed. italiana: Rizzoli, Bur). 

Per concludere vorrei ricordare ciò che Scholem scrisse proprio alla Jaffé. Invitato ad Eranos da Jung, avendo sentito delle proteste per il suo comportamento durante il nazismo, Scholem chiese dei chiarimenti al rabbino Leo Baeck, uno dei pochi sopravvissuti al campo di concentramento di Theresienstadt. Baeck, che aveva incontrato Jung nel 1947, “disse che in quel colloquio avevano chiarito tutto quello che c’era tra di loro e che si erano lasciati di nuovo riconciliati.” (13) In seguito a quel chiarimento Scholem accettò l’invito di Jung a Eranos

Paolo Ferliga 
Docente di Filosofia Psicologo analista 

Note: 1) Cfr. in particolare: C.G.Jung, Situazione attuale della psicoterapia e Attualità: replica all’articolo del dottor Bally, “Terapia di ceppo tedesco”, in Opere , v.10*, Torino, Bollati Boringhieri, 1998. 2) In Wotan e Mosè, a cura di A. Maidenbaum e S. A. Martin, Milano, Vivarium editore, 1997, p.248. 3) S. Freud, Discorso ai membri dell’Associazione B’nai B’rith, in Opere,v. 10, Torino, Bollati Boringhieri, 1989. 4) C.G. Jung, Sull’inconscio, Opere cit., v. 10*, p.12. 5) C.G. Jung, Contributi ai “Saggi di storia contemporanea”, Opere cit., v. 10*, p. 84. 6) in Opere cit., v.10**. 7) in Opere cit., v.10*. 8) ivi p. 279. 9) ivi p. 285. 10) ivi p. 291. 11) C.G. Jung, Circolare (1934), Opere cit., v.10*. 12) M. Neumann, La relazione tre Erich Neumann e C.G. Jung e il problema dell’antisemitismo, in Wotan e Mosè cit.. 13) in Wotan e Mosè cit., p.288.

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