Mallarmé fotografato da Nadar
Insegui' per tutta la vita il "Libro" per eccellenza ma mori', cento anni fa, lasciando un'opera esigua. Che anticipa l'esperienza freudiana dell'inconscio
Mallarme', la disfatta in versi
A 56 anni fu vittima di una crisi di soffocamento la mattina del 9 settembre 1898. E' passato alla storia come un poeta oscuro ma nessuno ha avuto un influsso maggiore nel nostro secolo
"Dicevo qualche volta a Mallarme': c'e' chi vi critica, chi vi beffa. Voi irritate, fate pieta'... Ma sapete, sentite almeno questo: c'e' in ogni citta' di Francia un giovane sconosciuto che si farebbe uccidere per i vostri versi, per voi?": e' un passaggio ben noto di Variete' III di Paul Valery.
Nel viso di Mallarme', come ce l'hanno consegnato le foto di fine secolo, si fondono una mitezza delusa e un orgoglio irriducibile: l'orgoglio di aver inseguito per tutta la vita il Grande Sogno, la Grande Opera, insomma il Libro per eccellenza, insieme impossibile e possibile ai suoi occhi, come a quelli di Valery, "che non e' mai guarito da quella specie di ferita...".
Della Grande Opera parlano anche le poche righe che Stephane Mallarme' indirizzo' alla moglie e alla figlia, a Mere e Veve, la notte dell'8 settembre 1898 - quando uno spasmo della glottide quasi lo soffoco' - invitandole a bruciare il "mucchio semisecolare" di suoi appunti, note, abbozzi.
"Non c'e' nessuna eredita' letteraria, mie povere care... E voi, soli esseri al mondo capaci di rispettare fino a questo punto tutta una vita di artista sincero, credete che doveva essere molto bello...".
L'indomani, 9 settembre, mentre il medico lo sta visitando, Mallarme' e' ripreso da una crisi di soffocazione; non la supera; muore.
Ha appena 56 anni, essendo nato a Parigi nel 1842. Lascia un'opera relativamente esigua: un libro di Poesies, poemi come Herodiade, Un coup de des, Igitur, L'apres - midi d'un faune, una raccolta di saggi, interventi, poemi in prosa, Divagation, una quantita' di deliziosi versi d'occasione, fra cui i proverbiali eventails (un genere letterario, addirittura!).
Certo agli occhi del loro autore, quei sonetti memorabili, celebrazioni funebri per Baudelaire, Poe, Verlaine, eccetera, o amorose, dovevano rappresentare solo le schegge introduttorie al Libro; sono bastati per assicurare a Mallarme' un posto capitale nella letteratura moderna.
Se due dioscuri, Marcel Proust e James Joyce, si collocano alle origini del romanzo novecentesco, Mallarme' sara' il deus absconditus anzi molto patente di una fetta cospicua della poesia moderna, giu' giu' fino ai nostri giorni.
Parlarne, nel centenario della morte, non e' un semplice ossequio allo scadenzario letterario; soprattutto se serva a mettere in chiaro cio' che ancora puo' (deve) dire l'autore di Igitur allo scrittore e al lettore contemporanei.
"Un uomo abituato al sogno" si era definito aprendo una conferenza su Villiers de l'Isle - Adam. Ecco qui gia' introdotto uno dei significanti r - eve che identificano infallibilmente il suo discorso poetico. Non sono semplici tic, idiosincrasie lessicali, ma punti di condensazione dell'immaginario mallarmeano. Si potrebbe comporne una sfilza - sostantivi e aggettivi riconoscibili anche da un mediocre lettore: sogno, assoluto, nulla, vuoto, bianchezza, volo, stella, cigno, notte, naufragio, caso, assenza, ghiaccio - eppoi sterile, abolito, amaro, puro... elenchi meschini, che depauperano della energia originaria tali vocaboli, che il verso fonde in "una parola totale, nuova, straniera alla lingua, et comme incantatoire", secondo la splendida dizione di una pagina delle Devagations; il verso che nega per un attimo il Caso, le hasard, "vinto parola per parola".
Non si puo' rendere minimamente giustizia alla poesia di Mallarme' in una nota volante, come questa. Ma si capira' subito che tali presenze di linguaggio non hanno piu' niente a che fare con le sostanze dense, succulente, antefatte dai poeti parnassiani da cui tuttavia Mallarme' discendeva. "Dipingere non la cosa ma l'effetto che essa produce" scriveva il giovane autore all'amico Gazalis, esponendogli la sua estetica in nuce - come ricorda Mario Luzi, che e' stato forse il piu' mallarmeano dei nostri poeti, nel suo Studio su Mallarme', uno dei primi contributi critici significativi in Italia, insieme con il memorabile Mallarme' di Carlo Bo.
La lezione di fedelta' al proprio impegno, di rigore supremo credo abbia valore anche cent'anni dopo - devozione feroce e insieme accettazione della sconfitta. Perche' non dirlo? La poesia di Mallarme' segna una disfatta, almeno secondo i parametri del suo autore. Disfatta grandiosa, almeno quanto il progetto inseguito. Poche volte nei secoli la letteratura ha raggiunto picchi maggiori. Un professeur d'attention lo chiama Paul Claudel; etichetta criticamente pertinente, di la' dall'allusione agli anni ingrati dell'insegnamento. Mallarme' ha espulso dal suo lavoro retorica, gonfiezza, facilita', approssimazione.
Come "professione d'attenzione" ha molto da insegnarci.
Nessuna vaghezza - che e' appunto disattenzione profonda; nei suoi versi non si danno sinonimi: ogni parola, nome aggettivo verbo, e' unica, centrata nel suo valore radicale, detta una volta sola per sempre.
Le Muse indefettibili di Mallarme' sono la sintassi e l'etimologia: l'ha mostrato in maniera eccellente (si pensi solo al ricorso "creativo" al dizionario Littre'). Stefano Agosti, oggi il piu' autorevole e acuto mallarmista, non solo in Italia, con le analisi capillari del "Cigno" e del "Fauno". Mallarme' e il simbolismo hanno avuto influsso determinante sulla poesia italiana del secolo: futuristi, ermetici, fino ai piu' prossimi poeti visivi.
Capisco che ai giovani scrittori "simbolismo" suoni qualifica vitanda. Ma Mallarme' e' davvero un simbolista?
In effetti il suo lavoro apre una progettazione piu' ampia e nuova. Mallarme' muore nel 1898;
L'interpretazione dei sogni di Freud inaugura il secolo; pero' certi esemplari mallarmeani non s'inscrivono in una esperienza (testuale) d'inconscio, avant lettre? Non e' del tutto attuale il rapporto fra soggetto e linguaggio, alla base della esperienza mallarmeana?
Mettiamo pure, scriveva Valery, che Mallarme' sia oscuro, sterile, prezioso: ma se attraverso tali difetti mi ha spinto ad anteporre a tutto il possesso cosciente della funzione del linguaggio e il sentimento di una liberta' superiore dell'espressione, questo e' un bene incomparabile, che non mi e' stato mai offerto da nessun libro trasparente e facile.
L'ultima lettera a moglie e figlia "Mere, Veve, il terribile spasmo di soffocazione appena sofferto puo' ripresentarsi durante la notte e sopraffarmi. Allora non vi stupira' che pensi al mucchio semisecolare delle mie note, che diventera' per voi un grande imbarazzo; visto che non un solo foglietto puo' essere utilizzato. Solo io potrei cavarne fuori cio' che contiene... L'avrei fatto se gli ultimi anni non mi avessero tradito. Percio', bruciate tutto: non c'e' nessuna eredita' letteraria, mie povere care. Non sottomettetelo al giudizio di qualcuno: o rifiutate ogni ingerenza curiosa o amichevole. Dite che non ci si capirebbe niente, del resto e' la verita', e voi, mie povere prostrate, i soli esseri al mondo capaci di rispettare fino a questo punto tutta una vita d'artista sincero, credete che doveva essere molto bello...". (da Vie de Mallarme' di Henri Mondor)
Gramigna Giuliano.