Pochi lo ricordano ma perfino il grande, immenso David Bowie cadde su Sanremo (oltre che Sulla Terra, come avveniva all'extraterrestre che impersonava, nel film diretto da Nicolas Roeg).
E per l'esattezza, la cosa avvenne nella edizione del 1997. Era ovviamente la prima volta per lui e con la sua esibizione aprì la terza serata di quel Festival, presentando una versione accorciata del brano Little Wonder, il singolo tratto dal suo album Earthling, appena uscito. In quella occasione andò in scena anche un vero e proprio "corto circuito" che soltanto la televisione riesce ad assemblare. A presentare David fu infatti il povero Mike Bongiorno (all'epoca già 73enne), che di fronte al Duca Bianco, che chiaramente non capiva una sola parola di italiano, disse: “Non mi è mai successo di presentare uno spettacolo presentando un mito… Pensate, è un cantante così famoso da essere l’unico quotato in Borsa!”
Una presentazione grottesca come davvero insolito (e unico) fu il risultato di vedere Bowie esibirsi su palcoscenico dove scendevano tra gli altri, Nilla Pizzi e Albano.
Ma perché un artista come Bowie, sempre all'avanguardia, decise di "compromettersi" - come scrisse qualcuno all'epoca - sul palco di Sanremo?
La risposta la si può ricavare da questa bella intervista che realizzò Roberto Giallo de L'Unità, in occasione della presentazione del nuovo album alla stampa, in Francia, e che qui riportiamo:
DAVID BOWIE, L’ UNICO VERO DIVO A SANREMO
L’ UNITA’ – Venerdì 21 febbraio 1997
Biondissimo, sorridente, felice. Se la categoria degli “splendidi cinquantenni” cercasse un rappresentante ideale, David Bowie sarebbe una scelta naturale. Di passaggio a Sanremo per promuovere il suo nuovo album, Earthling, il Duca Bianco si concede alla stampa. Per raccontare le nuove delizie del drum’n’bass che esplode dal suo disco. Parole chiave: spontaneità, arte e, naturalmente, money. Ecco l’ uomo che cadde su Sanremo.
di Roberto Giallo
SANREMO. Cap Ferrat. Come un gioiello in uno scrigno, David Bowie se ne sta tranquillo in un albergone elegante della. Costa Azzurra, a Cap Ferrat, coccolato a vista da guardie del corpo e discografici, in attesa di suonare al Festival. Compare di colpo tutto di nero vestito, biondissimo, con quegli occhi uno azzurro e uno blu che gli danno (pure!) un’aria sorniona. Qualche anno fa si era definito “oscenamente felice”, e il suo sorriso dice subito che si sente ancora così. In più, sembra un ragazzino, segno inequivocabile che il rock mantiene giovani. Ghigna e scherza, disponibile finché una Erinni multinazionale fa cenno, burbera, che il tempo è finito, e se lo porta via.
Bowie, ha un’idea di dove capiterà questa sera, in che tipo di manifestazione canterà?
No, francamente non ho la minima idea di che show sarà, e altrettanto francamente non mi interessa. Tengo moltissimo a questo mio nuovo disco e voglio fare ogni sforzo per promuoverlo a dovere. La casa discografica mi ha assicurato un’audience altissima e questo va benissimo. Quello che mi interessa è far sentire la mia band, la migliore che ho mai avuto. Per noi 7.000 o 40.000 persone è la stessa cosa, stiamo bene ovunque, indipendentemente dal contesto.
Parla come se avesse trovato la sua via dopo un decennio non proprio azzeccatissimo…
Negli ultimi dieci anni ho fatto molte cose. L’avventura con i Tin Machine mi ha dato molto, mi ha dato energia e una musica che aveva quel “tiro” che volevo. Ritengo molto importante quel che ho fatto negli anni Novanta, per cui sarebbe riduttivo dire che solo adesso ho trovato la mia via… Il disco, però, risulta in certi tratti strepitoso.
C’è un segreto?
Si, c’è: la velocità. E’ un disco pensato, scritto e suonato in due settimane e mezza. Eravamo alla fine del tour, io e la band eravamo al settimo cielo. Abbiamo detto: ingabbiamo subito questa energia spaventosa che abbiamo addosso e tre giorni dopo il tour ci siamo chiusi in sala. Volevo proprio questo: una fotografia dell’energia che il tour aveva tirato fuori. Questo spiega anche come mai i testi sono poco più che armature di contorno alla musica, quello che mi interessa è il suono. E questo suono è molto migliore di quello che c’è in dischi molto più meditati.
Jungle music, drum and bass, elettronica.. I giornali inglesi hanno già scritto: ecco Bowie che rincorre i giovani!
Ah, ma insomma! E quale sarebbe allora la mia musica? Anche tutti i giovani che oggi fanno questa musica un paio d’ anni fa sono entrati in un mondo non loro. è una critica che potrei forse accettare dai caraibici che vivono a Londra, ma credo che non sia importante dove uno prende la roba, ma quel che ne fa. Ecco, io ho preso molto da quei suoni, ma poi il risultato è inequivocabilmente Bowie…
Beh, non si può dire che sia il suo primo approccio alla dance.
No, non si può proprio dire. E nemmeno all’elettronica. Da quando sono andato per la prima volta in Usa ho esplorato quel terreno. E anche il periodo tedesco, i Tangerine Dream, i Kraftwerk… Tutto si mischia. Vedi, credo che il rock sia davvero la più importante svolta artistica del secolo. Nessun altro, forse solo il cinema, ha lo stesso impatto, la stessa forza comunicativa. Ecco: è una forma d’arte che è arrivata davvero a tutti.
Ora è pure quotato in Borsa…
Certo, la parola magica è una sola: money. Ma l’idea è stata dei miei avvocati. Arriva un momento in cui i musicisti vendono i diritti sul loro catalogo e non ne sono più padroni. L’azionariato, i Bowie Bonds, mi sembrano migliori perché io resto padrone del mio repertorio, del mio catalogo, della mia arte.
Suona ancora il sassofono?
Sì, ci provo ancora. è uno strumento che mi piace molto. Inutile dire che adoro Coltrane, ma anche certe sperimentazioni di Miles Davis quando introdusse le manipolazioni elettroniche sulla tromba.
I progetti futuri? Si era parlato anche del Pavarotti International…
Dopo la promozione partiamo con il tour, da marzo a dicembre. E’ vero, ero stato contattato per una partecipazione al Pavarotti International, ma ero sempre in giro a suonare e non ho potuto. Chissà forse ci sarà un’altra occasione.
Bowie, scusi la domanda. Come fa a essere così a cinquant’ anni?
Ma io non ci penso mai ai cinquant’anni! Tutti pensano che il talento degli artisti si affievolisce con l’età, ma non è vero. Non è il talento che va via, è l’entusiasmo. Per la vita, per la musica, per il lavoro. Però non è detto che succeda. Se penso a geni come Burroghs o Picasso… Io voglio lavorare fino alla fine…
e con il senno di poi, possiamo dire che così è stato.
molto interessante sono partito con la curiosità della FORD CAPRI, che ho avuto nel 90, una macchina che non scorderò mai,molto più bella l'affermazione di bowie alla domanda sui 50 anni; condivido in pieno, io mi sono reinventato nei primi 50, essendo un 63' di marzo,il 15, ora ne farò 59; eppure ora mi sento sempre più pronto per fare cose dal teatro al cinema allo scrivere un buon romanzo,sono sempre stato accerchiato da persone negative, tranne mia madre che oggi mi manca di più del 96 anno in cui l'ho persa. Comunque pure io voglio andare avanti fino alla fine cosa che condivido da sempre, ' quando vedo le persone che sono in pensione ora provo solo una tristezza infinita; passare la vita a guardare un orologio o ad aspettare lo stipendio è mediocre è il nulla della storia infinita. warner rondelli crevalcore bo-scrittore,mangiafuoco,animatore-idraulico-BIP-BIP.A TUTTI
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