Il trofeo del Teatro Apollo sul Lungotevere,
oggi scomparso, il primo teatro pubblico di Roma, il genio stravagante di
Cristina di Svezia e la palla di cannone nel muro.
Percorrendo
il Lungotevere Tor di Nona che propone uno degli scorci panoramici più
suggestivi sulla città, ci si imbatte ancora oggi, seminascosta dalle fronde
degli antichi platani, nell’antico trofeo che ricorda l’esistenza di un celebre
Teatro oggi scomparso.
Sulla
iscrizione marmorea, sormontata da due maschere e da una lira e sovrastante un
antico marmoreo che fungeva da vasca d’acqua, si legge:
Il Teatro Apollo / sulle pietre dell'antica Torre Orsina / a
fasti e glorie d'arte musicale / aprì le dorate scene / e dove foscheggiò Torre
di Nona / libera si diffuse la melodia d'Itala / del "Trovatore" il
XIX gennaio MDCCCLIX / di "Un ballo in maschera" il VII febbraio
MDCCCLIII / Qui dove sul teatro demolito / passa l'antica strada romana / il
genio di Giuseppe Verdi / affida l'eterna melodia canora / all'aria al sole al
cuore umano / a ricordanza della torre / del teatro del genio creatore / il
Comune di Roma pose / Anno Domini MCMXXV.
L’eleganza
di questa iscrizione dunque racconta già molto della importanza di quello che
fu uno dei più prestigiosi teatri di Roma, vero tempio della lirica, con il
palco per i reali che fu appositamente realizzato dopo l’unità d’Italia.
Quello che però l’iscrizione non dice è che il Teatro Apollo fu in effetti il
primo teatro aperto al pubblico a Roma, che sorse nel 1670 per iniziativa di
una delle menti più brillanti ospitate dalla città eterna nella sua lunga
storia: la regina Cristina di Svezia, che instaurò durante la sua vita, con
Roma un sodalizio lungo e fecondo.
Cristina,
che era rimasta orfana a sei anni, divenne regina assumendo la pienezza dei
poteri all’età di ventiquattro, trasformando rapidamente la corte di Stoccolma
in una sorta di Atene del Nord.
Cristina infatti, anticonformista ed eccentrica, appassionata (si ricordano
storie d’amore con un cugino e con una dama di corte) e colta, si sentiva
attratta da ogni branca del sapere, da ogni materia di conoscenza, scientifica,
teologica, letteraria. Ma la vera svolta
per lei arrivò con la conversione al cattolicesimo, a ventotto anni. Da lì, la scelta di abdicare, e di
trasferirsi in incognito in diversi paesi europei, per conoscere luoghi e
costumi che le sono estranei, ma la
affascinano: prima i Paesi Bassi, poi la Francia e infine l’Italia e
Roma, che la accoglie come una vera regina.
Papa Alessandro VII le tributa un
ingresso solenne davanti alla popolazione festante attraverso la Porta di
Piazza del Popolo (sulla cui sommità una grande iscrizione ancora ricorda
l’avvenimento), poi la riceve in Vaticano dove Cristina arriva, il 23 dicembre
del 1654 a bordo di una meravigliosa lettiga disegnata appositamente per lei da
GianLorenzo Bernini, per ricevere i sacramenti direttamente dalle mani del Papa
nella Basilica di San Pietro.
La
sovrana a Roma si stabilisce prima a Palazzo Farnese, poi direttamente al Bosco
Parrasio, ai piedi del Gianicolo, dove crea quella fantastica Accademia dell’Arcadia che secondo le
intenzioni della nobildonna doveva diventare la corte delle menti più
illuminate di Roma e d’Europa.
Cristina, che destava interesse morboso nelle
cronache dell’epoca anche per i suoi modi disinvolti e per i suoi amori veri o
presunti, ogni venerdì si predisponeva ad ascoltare ciò che avevano da
raccontare i geni dell’arte, dell’architettura, ma anche della teologia,
dell’alchimia, riguardo alle loro conoscenze e scoperte, in un cenacolo
esclusivo, al quale era invitato a partecipare anche ogni ospite illustre che
si trovasse in visita alla Città Eterna.
Le
stranezze riferite a Cristina sono molte e anche divertenti: una di queste
afferma che fu lei a far sparare quella palla di cannone che ancora oggi si
trova, ben visibile, al centro della fontana di fronte all’Accademia di
Francia, allo scopo di tirare giù dal letto il Cardinale Carlo de’ Medici che
abitava nella villa di famiglia, al Pincio, il quale aveva promesso alla
sovrana di portarla in quel giorno a caccia.
La palla sparata dai cannoni di Cristina, incastonata nella fontana di fronte all'Accademia di Francia a Villa Medici al Pincio
Un bel
modo di risvegliare un amico, si direbbe. Del resto di amici e di ammiratori
Cristina ne aveva molti, compreso il cardinale Decio Azzolini, mecenate di
artisti e letterati e così intimo della sovrana che il Papa gli vietò
espressamente le visite.
Nel 1667
Cristina fece ritorno per l’ultima volta in Svezia e in quell’anno morì anche
Alessandro VII, con il quale i rapporti erano stati sempre tempestosi.
La sovrana ricevette mentre era in viaggio,
ad Amburgo, la notizia che sul Soglio di Pietro era stato ora eletto Giulio
Rospigliosi, amico intimo e frequentatore della corte romana di Cristina, con
il nome di Clemente IX, e Cristina, euforica, diede una festa in suo onore
nella città tedesca.
Tornata a
Roma, fu accolta calorosamente dal nuovo pontefice. A quarantadue anni,
Cristina si sentiva ancora piena di energia.
Decise così di occuparsi della ex prigione di Tor di Nona, un luogo
squallido e dalla pessima fama, che l’illuminata sovrana decise di trasformare
in un teatro, anzi, nel primo teatro aperto al pubblico di tutta Roma.
Giacomo
d’Alibert, segretario di Cristina, convinse Clemente IX a concedere le mura
dell’edificio, che erano di proprietà degli Orsini e nel frattempo ospitavano
una locanda, per la creazione di uno spettacolare teatro al quale si poteva
accedere via terra o anche direttamente dal fiume.
Il sogno
di Cristina però fu ben presto avversato, con il Papa che – preoccupato anche
per la presenza di donne sul palcoscenico – lo fece ben presto chiudere con la
motivazione di offese alla moralità, adibendolo a granaio.
Ma
Cristina non si diede per vinta. Ottenne la licenza per poter eseguire almeno i
concerti dei suoi amici compositori: Stradella, Pasquini, Corelli e perfino
Alessandro Scarlatti.
Negli
anni successivi vedrà la morte di Papa Rospigliosi, il cui pontificato durò
appena due anni e l’insediamento di Clemente X e di Innocenzo XI fino alla
morte che la colse all’età di sessantadue anni, dopo una malattia contratta
durante una visita in Campania.
La sua scomparsa scuote la città che ormai
l’aveva adottata. Innocenzo XI, dopo i
quattro giorni di camera ardente, rivestita della splendida mantella di
ermellino, vuole addirittura imbalsamarne il corpo.
E così sarà. Coperta di vesti di broccato e con il volto coperto da una
maschera d'argento, nelle mani uno scettro e sul capo una corona (solo gli
intestini vengono posti in un'urna separata), la regina viene sistemata in tre bare, una dentro l’altra, la prima di
cipresso, una di piombo e l'ultima di quercia.
La processione del funerale
accompagnata dalla folla si snoda dalla chiesa di Santa Maria in Vallicella sino alla Basilica di San Pietro, dove la regina
viene sepolta, per volontà del
pontefice, nelle Grotte Vaticane,
privilegio concesso nella storia soltanto a tre donne.
Tomba di Cristina di Svezia nelle Grotte Vaticane
Ancora
oggi in onore della defunta regina e a
ricordo della sua prodigiosa conversione, si può ammirare nella Basilica
Vaticana il Monumento funebre allestito nel 1702 sotto la supervisione di Carlo
Fontana: Cristina vi è ritratta in un medaglione di bronzo dorato, sostenuto da
un macabro scheletro coronato, poco distante dalla celebre tomba di Alessandro
VII, con l’altro grande scheletro con il capo velato e la clessidra in mano.
tratto da: Fabrizio Falconi, Misteri e segreti dei Rioni e dei Quartieri di Roma, Newton Compton, Roma, 2014.
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